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DIRETTI MENSILE Le edizioni del Baretii Casella Postale 472 TORINO ABBONAMENTO per il 1926 L. 10 ■ Estero E. 15 - Sostenitore L. 100 - Un numero separato L. 1 - CONTO CORRENTE POSTALE Anno II - N. 5 - Maggio 1926 Fondatore: PIERO GOBETTI SOLMI: Note d’arte moderna — ORESTE: Danze — PILLOLE: La scuola del sen. Rastignac — Solarla — L’I AMENDOLA FILOSOFO La parte presa da Giovanni Amendola nella filosofìa italiana del Novecento è strettamente connessa con il periodo formativo della nostra nuova cultura che va dal 1903 al 1913, è anzi rinchiusa cronologicamente in quel decennio.
DIRETTI

MENSILE Le edizioni del Baretii Casella Postale 472 TORINO
Accanto ai nomi di Calderoni e Vailati, il suo compie la triade dei pensatori che rappresentano il pragmatismo critico in Italia.
ABBONAMENTO per il 1926 L. 10 ■ Estero E. 15 - Sostenitore L. 100 - Un numero separato L. 1 - CONTO CORRENTE POSTALE

Anno II - N. 5 - Maggio 1926
Scarse le linee esteriori, scarsa la mole tipografica di quest’opera. Amendola si laureò in filosofia nel 1904, e acquisì la libera docenza in filosofia teoretica presso la R. Università di Pisa nel 1912; pubblicò una serie di studi di carattere tecnico (Filosofia e psicologia nello studio deirio; La categoria;) e acute rassegne critiche sulla filosofia italiana nella Revue de Métaphysique et Morale, colla’borò attivamente al Leonardo, alla Voce, al Rinnovamento, e a varie riviste filosofiche, mantenendo sempre un atteggiamento personale, che si era cominciato a definire nell’opera sulla Volontà e il Bene (1909) con caratteri propri.
Fondatore: PIERO GOBETTI

SOLMI: Note d’arte moderna — ORESTE: Danze — PILLOLE: La scuola del sen. Rastignac — Solarla — L’I
Nel 1911 diresse anzi in collaborazione col Papini e in gran parte compose egli stesso, una rivista sua, L’Anima, dedicata essenzialmente a problemi di carattere etico e religioso. Come storico della filosofìa si occupò con molta serietà e perizia dei pensatori inglesi e francesi della corrente psicologica e associazionistica, da Berkeley di cui tradusse la Teoria della Visione (pubblicata sol dopo la guerra) a Maine de Bìran, di cui espose nitidamente in un bel volume le dottrine.Nè mancava in lui una forte e maschia vena di letterato e di critico di cui si trovano i segni più cospicui nel volume di prose da lui raccolto col titolo litica e biografia (1914) e negli studi dedicati a Leonardo e a Michelangelo, di cui commentò le poesie. L’esercizio del giornalismo e della politica militante sospese poi, ma solo materialmente, questa serena e raffinata attività: e ne filtrò i risultati in una nuova esperienza. Ma essa aveva già recato agli studi filosofici un valido contributo:
AMENDOLA FILOSOFO

La parte presa da Giovanni Amendola nella
se anche non uscì dalla cerchia degli iniziati e del gruppo vociano, verme subito apprezzata e seguita con interesse da òhi poteva intenderla.
filosofìa italiana del Novecento è strettamente

connessa con il periodo formativo della nostra
Il pubblico colto non ne doveva conoscere i frutti se non in via indiretta, e’ più tardi; un paio di volumi tuttavia La volontà e il bene, Etica e biografia, furono abbastanza letti. E del resto, non è il numero dei lettori nè la risonanza mondana che possa aver peso nella valutazione di un filosofo: poiché i filosofi patiscono un poco, in misura più ristretta della fortuna delle loro idee, la cui penetrazione è spesso lenta e si svolge per vie nascoste all’occhio profano.
nuova cultura che va dal 1903 al 1913, è anzi

rinchiusa cronologicamente in quel decennio.
Per capire la posizione di Amendola, si ricordi che il risveglio della filosofia italiana nei primi anni del secolo non fu rappresentato dalle grandi costruzioni sistematiche e dalle complesse rivalutazioni storiche del Croce prima, e poi del Gentile, del Martinetti, del Varisco; nè dall’andamento più ricco e vivace degli studi filosofici nelle varie «Scuole». Un merito non indifferente per quel risveglio, anche in senso speculativo., bisogna riconoscere al movimento pragmatistico, così nella sua forma culturale, a cui diedero opera gli scrittori del «Leonardo» e della «Voce», come nella sua forma critica e speculativa, al cui sviluppo l’Amendola contribuì potentemente. Chè anzi il pragmatismo, nato nella cultura filosofica anglosassone come reazione alla idolatria della scienza, di cui essa negava il valore assoluto e dimostrava la natura essenzialmente utilitaria (e in questo senso lo svolse tra noi specialmente il Vailati) assunse subito nell’opera del Calderoni e dell’Amendola quel più profondo aspetto lirico-religioso, di colorito spiccatamente romantico, che rappresentò la fase più alta della sua evoluzione e il suo titolo maggiore di fronte alla filosofia contemporanea.
Accanto ai nomi di Calderoni e Vailati, il suo

compie la triade dei pensatori che rappresentano
Amendola, fin dai suoi primi saggi) criticava con limpido acume la concezione intellettualistica della vita, che vuol chiudere l’attività dello spirito negli schemi predeterminati di «pallide, esangui» categorie. La psicologia tradizionale si rilevava, sotto le sue analisi, un giuoco di fantocci spirituali, che raggiunge lo.
il pragmatismo critico in Italia.

Scarse le linee esteriori, scarsa la mole tipografica
scopo di presentare una veduta complessiva superficialmente chiara della vita dell’aio» solo a patto di sacrificare la fluida ricchezza degli stati d’animo e dei contenuti concreti di cui quest’aio» intesse la sua trama. Il filosofo cercava di riconquistare, attraverso la dissoluzione degli schemi, questa intima e concreta real" tà dell’individuo, nella quale si radica la persona umana, in tutta la sua dignità e in tutto il suo valore: una realtà di squisita finezza, di delicatissima costituzione, risolubile senza residuo in toni puramente qualitativi: la vera realtà, lo spirito. In questo punto di vista di Amendola già affiorava invero una delle esigenze più profonde della filosofia oontemporanea, che oggi appunto si affatica per coniugare le più sottili trame della dialettica con l’infinita varietà degli atti e dei momenti in cui consiste il Teale.
di quest’opera. Amendola si laureò in

filosofia nel 1904, e acquisì la libera docenza
Ma la coscienza di questa molteplicità di natura qualitativa di cui si alimenta il fiume dell’«io» genera il problema della sua unità.
in filosofia teoretica presso la R. Università di

Pisa nel 1912; pubblicò una serie di studi di
Come si collegano in una cerchia saldamente organica i fuggevoli, evanescenti toni della vita?
carattere tecnico (Filosofia e psicologia nello

studio deirio; La categoria;) e acute rassegne
Come scaturisce dal loro instabile flusso l’individuo, la piersona? Ora Amendola, sviluppando il suo pragmatismo, trovò questo centro organizzatore nella volontà: essa fa convergere insieme le multiple forze della vita, essa trasforma il vago indeciso pulsare della coscienza in ritmo creatore, essa è la generatrice della dignità umanae dei valori spirituali, il vero «io». Perchè io Sono in quanto voglio; e si deve intendere questo’«voglio» nel senso più concreto ed effettivo della volontà vivente e operante nel mondo.
critiche sulla filosofia italiana nella Revue de

Métaphysique et Morale, colla’borò attivamente
Posizione di cui è facile indicare le origini in momenti culminanti della filosofia moderna e contemporanea (la teoria Kantiana e fiehtiana del primato della ragion pratica, la filosofia dell’azione predominante nello spiritualismo francese); ma non scevra ancora di difficoltà (donde nasca questa volontà, in quale relazione — Rovella — Panali latrati.
al Leonardo, alla Voce, al Rinnovamento, e a

varie riviste filosofiche, mantenendo sempre un
essa stia col mondo, come possa dominare il camfrutto di una atmosfera europea; che1 le inpo della conoscenza) e di nascoste tendenze verso la religiosità e la trascendenza, che nell’Amendola anzi si resero tosto palesi.
atteggiamento personale, che si era cominciato

a definire nell’opera sulla Volontà e il Bene
fluenze e i contrasti più disparati sono provvidenziali per i geni chiamati a rinnovare.
(1909) con caratteri propri.

Nel 1911 diresse anzi in collaborazione col
Jacopo Bellini reca innata in sè l’esperienza Pure, il valore etico di questa filosofia è indel mosaico bizantino e del segno gotico (che calcolabile. La massima in cui essa viene a concretarsi, «la volontà c il bene», rappresenta è il punto di partenza dell’ispirazione dei Vivarini), ma approfitta del duro contorno esaveramente l’acme dello spirito moderno, della -1l’-...: J-1Ì- 1 — :
Papini e in gran parte compose egli stesso, una

rivista sua, L’Anima, dedicata essenzialmente
gerato fino alla rigidità della Scuola di Squartante volte già iniziata (col Cristianesimo, con la Riforma e il Rinascimento, con Kant e il romanticìsmd). L’opera principale di Amendola in cui quella massima è vivacemente svolta, rappresenta veramente la chiave di volta della sua filosofìa e della sua polìtica. Concepire la volontà come il bene, unico bene essenziale e positivo, significa infatti considerare le conseguenze, le circostanze, le opportunità, le utilità come elementi affatto trascurabili e secondari di fronte alle esigenze della dignità personale, dell’azione morale. Male è non agire; male è cedere, piegarsi; la personalità umana vive in quanto si afferma, lotta, resiste contro la bufera anche a costo di spezzarsi. E’ questo il nuovo stoicismo del mondo moderno; fu questa non solo l’idea, ma la legge della vita di Giovanni Amendola. Il filosofo si arresta cauto a jxmderare le incertezze che lascia ribollenti dietro la sua scia questa superba dottrina, le distinzioni che essa trascura, le.esigenze critiche che le stanno contro; il politico si preoccupa delle perturbanti illazioni che se ne possono ricavare a confronto della coscienza normale e mediocre di un’immensa maggioranza. Ma quando noi la vediamo attuata, nella sua natura splendidamente aristocratica, come l’abbiamo vista attuare da Amendola stesso nella sua operosità quotidiana, — le difficoltà si attenuano, i dubbi teorici svaniscono, l’interprete e il critico si trasformano in ammiratori.
a problemi di carattere etico e religioso. Come

storico della filosofìa si occupò con molta serietà
e perizia dei pensatori inglesi e francesi
della corrente psicologica e associazionistica, da
Berkeley di cui tradusse la Teoria della Visione
(pubblicata sol dopo la guerra) a Maine de
Bìran, di cui espose nitidamente in un bel volume
le dottrine.Nè mancava in lui una forte
e maschia vena di letterato e di critico di cui
si trovano i segni più cospicui nel volume di
prose da lui raccolto col titolo litica e biografia
(1914) e negli studi dedicati a Leonardo e a
Michelangelo, di cui commentò le poesie. L’esercizio
del giornalismo e della politica militante
sospese poi, ma solo materialmente, questa
serena e raffinata attività: e ne filtrò i risultati
in una nuova esperienza. Ma essa aveva già recato
agli studi filosofici un valido contributo:
se anche non uscì dalla cerchia degli iniziati e
del gruppo vociano, verme subito apprezzata e
seguita con interesse da òhi poteva intenderla.
Il pubblico colto non ne doveva conoscere i
frutti se non in via indiretta, e’ più tardi; un
paio di volumi tuttavia La volontà e il bene,
Etica e biografia, furono abbastanza letti. E
del resto, non è il numero dei lettori nè la
risonanza mondana che possa aver peso nella
valutazione di un filosofo: poiché i filosofi patiscono
un poco, in misura più ristretta della
fortuna delle loro idee, la cui penetrazione è
spesso lenta e si svolge per vie nascoste all’occhio
profano.
Per capire la posizione di Amendola, si ricordi
che il risveglio della filosofia italiana nei
primi anni del secolo non fu rappresentato
dalle grandi costruzioni sistematiche e dalle
complesse rivalutazioni storiche del Croce prima,
e poi del Gentile, del Martinetti, del Varisco;
nè dall’andamento più ricco e vivace degli
studi filosofici nelle varie «Scuole». Un
merito non indifferente per quel risveglio, anche
in senso speculativo., bisogna riconoscere
al movimento pragmatistico, così nella sua forma
culturale, a cui diedero opera gli scrittori del
«Leonardo» e della «Voce», come nella sua
forma critica e speculativa, al cui sviluppo
l’Amendola contribuì potentemente. Chè anzi
il pragmatismo, nato nella cultura filosofica anglosassone
come reazione alla idolatria della
scienza, di cui essa negava il valore assoluto
e dimostrava la natura essenzialmente utilitaria
(e in questo senso lo svolse tra noi specialmente
il Vailati) assunse subito nell’opera del
Calderoni e dell’Amendola quel più profondo
aspetto lirico-religioso, di colorito spiccatamente
romantico, che rappresentò la fase più alta della
sua evoluzione e il suo titolo maggiore di
fronte alla filosofia contemporanea.
Amendola, fin dai suoi primi saggi) criticava
con limpido acume la concezione intellettualistica
della vita, che vuol chiudere l’attività
dello spirito negli schemi predeterminati
di «pallide, esangui» categorie. La psicologia
tradizionale si rilevava, sotto le sue analisi, un
giuoco di fantocci spirituali, che raggiunge lo.
scopo di presentare una veduta complessiva superficialmente
chiara della vita dell’aio» solo
a patto di sacrificare la fluida ricchezza degli
stati d’animo e dei contenuti concreti di cui
quest’aio» intesse la sua trama. Il filosofo cercava
di riconquistare, attraverso la dissoluzione
degli schemi, questa intima e concreta real"
tà dell’individuo, nella quale si radica la persona
umana, in tutta la sua dignità e in tutto
il suo valore: una realtà di squisita finezza, di
delicatissima costituzione, risolubile senza residuo
in toni puramente qualitativi: la vera
realtà, lo spirito. In questo punto di vista di
Amendola già affiorava invero una delle esigenze
più profonde della filosofia oontemporanea,
che oggi appunto si affatica per coniugare
le più sottili trame della dialettica con l’infinita
varietà degli atti e dei momenti in cui consiste
il Teale.
Ma la coscienza di questa molteplicità di natura
qualitativa di cui si alimenta il fiume
dell’«io» genera il problema della sua unità.
Come si collegano in una cerchia saldamente
organica i fuggevoli, evanescenti toni della vita?
Come scaturisce dal loro instabile flusso l’individuo,
la piersona? Ora Amendola, sviluppando
il suo pragmatismo, trovò questo centro organizzatore
nella volontà: essa fa convergere insieme
le multiple forze della vita, essa trasforma
il vago indeciso pulsare della coscienza in ritmo
creatore, essa è la generatrice della dignità umanae
dei valori spirituali, il vero «io». Perchè
io Sono in quanto voglio; e si deve intendere
questo’«voglio» nel senso più concreto ed effettivo
della volontà vivente e operante nel mondo.
Posizione di cui è facile indicare le origini
in momenti culminanti della filosofia moderna
e contemporanea (la teoria Kantiana e fiehtiana
del primato della ragion pratica, la filosofia
dell’azione predominante nello spiritualismo
francese); ma non scevra ancora di difficoltà
(donde nasca questa volontà, in quale relazione
— Rovella — Panali latrati.
essa stia col mondo, come possa dominare il camfrutto
di una atmosfera europea; che1 le inpo
della conoscenza) e di nascoste tendenze
verso la religiosità e la trascendenza, che nell’Amendola
anzi si resero tosto palesi.
fluenze e i contrasti più disparati sono provvidenziali
per i geni chiamati a rinnovare.
Jacopo Bellini reca innata in sè l’esperienza
Pure, il valore etico di questa filosofia è indel
mosaico bizantino e del segno gotico (che
calcolabile. La massima in cui essa viene a concretarsi,
«la volontà c il bene», rappresenta
è il punto di partenza dell’ispirazione dei Vivarini),
ma approfitta del duro contorno esaveramente
l’acme dello spirito moderno, della
-1l’-...: J-1Ì- 1 — :
gerato fino alla rigidità della Scuola di Squartante
volte già iniziata (col Cristianesimo, con
la Riforma e il Rinascimento, con Kant e il
romanticìsmd). L’opera principale di Amendola
in cui quella massima è vivacemente svolta,
rappresenta veramente la chiave di volta della
sua filosofìa e della sua polìtica. Concepire la
volontà come il bene, unico bene essenziale e
positivo, significa infatti considerare le conseguenze,
le circostanze, le opportunità, le utilità
come elementi affatto trascurabili e secondari
di fronte alle esigenze della dignità personale,
dell’azione morale. Male è non agire; male
è cedere, piegarsi; la personalità umana vive
in quanto si afferma, lotta, resiste contro la bufera
anche a costo di spezzarsi. E’ questo il
nuovo stoicismo del mondo moderno; fu questa
non solo l’idea, ma la legge della vita di Giovanni
Amendola. Il filosofo si arresta cauto a
jxmderare le incertezze che lascia ribollenti dietro
la sua scia questa superba dottrina, le distinzioni
che essa trascura, le.esigenze critiche
che le stanno contro; il politico si preoccupa
delle perturbanti illazioni che se ne possono ricavare
a confronto della coscienza normale e
mediocre di un’immensa maggioranza. Ma quando
noi la vediamo attuata, nella sua natura
splendidamente aristocratica, come l’abbiamo
vista attuare da Amendola stesso nella sua operosità
quotidiana, — le difficoltà si attenuano,
i dubbi teorici svaniscono, l’interprete e il critico
si trasformano in ammiratori.
Uno dei Verri.
Uno dei Verri.

La pittura veneta del ’400
La pittura veneta.
La pittura veneta del ’400 La pittura veneta.

La Venezia del ’400 6 la città delle sagre
La Venezia del ’400 6 la città delle sagre e delle processioni: questo carattere si ripercuote nella sua arte, arte di lusso. La pittura veneziana non ha un periodo mistico: dal bizantino passa subito alla decorazione c al gusto per la pittura narrativa. Il giottismo di Guariento e di Jacobel del Fiore non ha fortuna (il mosaico al posto doli’affresco). Il mosaico può continuare insieme col formalismo ecclesiastico sino al ’400 perchè la vita veneziana occupata in attività pratica manca di libera critica, di poesia, di ambiente letterario; è dominata dallo spirito popolare, dall’acquiescenza alle idee fatte. Venezia, come Genova al tempo del suo massimo fiore commerciale, nou può avere una civiltà (tutt’al più, oltre i commerci, un’architettura e un’arte- decorativa).
e delle processioni: questo carattere si ripercuote

nella sua arte, arte di lusso. La pittura
Questo sembra apparentemente paradossale, ma invece ben si comprende se si pensa che i popoli orientali coi quali Venezia era in contatto erano ormai in decadenza. Gli Arabi avevano già data tutta la loro civiltà ai popoli mediterranei nell’alto medioevo. I Turchi non portano nulla di nuovo. Venezia dunque nel ’300 e in parte del ’400 è il centro d’Europa solo come centro di passaggio. Una civiltà a Venezia può cominciare soltanto quando la Repubblica viene a partecipare alla vita della penisola e si incontra col Rinascimento in pieno fiore. (Ecco la ragione politica del fatto che i maestri dell’arte a Venezia siano Donatello, Gentile da Fabriano, c, per i Veneziani, Antonello da Messina e Giovanni di Colonia).
veneziana non ha un periodo mistico: dal

bizantino passa subito alla decorazione c al
L’occupazione di Padova creerà la cooperazione Mnntegna-Bellim, uno dei fenomeni più gloriosi c più significativi della nostra storia.
gusto per la pittura narrativa. Il giottismo

di Guariento e di Jacobel del Fiore non ha
fortuna (il mosaico al posto doli’affresco). Il
mosaico può continuare insieme col formalismo
ecclesiastico sino al ’400 perchè la vita
veneziana occupata in attività pratica manca
di libera critica, di poesia, di ambiente letterario;
è dominata dallo spirito popolare, dall’acquiescenza
alle idee fatte. Venezia, come
Genova al tempo del suo massimo fiore commerciale,
nou può avere una civiltà (tutt’al più,
oltre i commerci, un’architettura e un’arte- decorativa).
Questo sembra apparentemente paradossale,
ma invece ben si comprende se si
pensa che i popoli orientali coi quali Venezia
era in contatto erano ormai in decadenza. Gli
Arabi avevano già data tutta la loro civiltà ai
popoli mediterranei nell’alto medioevo. I Turchi
non portano nulla di nuovo. Venezia dunque
nel ’300 e in parte del ’400 è il centro
d’Europa solo come centro di passaggio. Una
civiltà a Venezia può cominciare soltanto quando
la Repubblica viene a partecipare alla vita
della penisola e si incontra col Rinascimento
in pieno fiore. (Ecco la ragione politica del
fatto che i maestri dell’arte a Venezia siano
Donatello, Gentile da Fabriano, c, per i Veneziani,
Antonello da Messina e Giovanni di
Colonia).
L’occupazione di Padova creerà la cooperazione
Mnntegna-Bellim, uno dei fenomeni più
gloriosi c più significativi della nostra storia.
Jacopo Bellini.
Jacopo Bellini.

Benché tutte le sue più grandi opere siano
Benché tutte le sue più grandi opere siano andate perdute, Jacopo Bellini si può considerare come un potente pittore. Vivono in lui risorse precise di creazione. La sua pittura è nuova; ossia ha un’originalità bizantina, ma s’inquadra in un gusto e in una curiosità di perfetta rinascenza. Nei suoi disegni ci sono già le luci, la chiarezza della pittura veneziana.
andate perdute, Jacopo Bellini si può considerare

come un potente pittore. Vivono in lui
Le Madonne invece, le sole pitture che ci siano rimaste- di lui, benché siano molto più agili delle rigide calligrafie di Squarcione, hanno ancora elementi tradizionali in certe regolarità di contorno, negli ori, nella disposizione degli angeli. Eppure già s’intravvéde il tipo della Madonna di Giovanni Bellini (Louvre, Venezia). Nei disegni di Jacopo Bellini ciò che sorprende è la sua audacia di progettista, la sua curiosità di effetti e di composizione, la potenza del segno ridotta a una singolare grazie di rapporti. I suoi soggetti Iranno dato idee ai pittori di tre generazioni. Egli ha creato un ambiente spirituale in cui si è potuta svolgere la Scuola veneziana. Se è difficile dare; i documenti della sua perfezione di pittore, infinite e inconfutabili sono le prove della sua genialità di creatore. Egli è lino di quei capo-stipiti leggendari come Uberto van Eyck. La storia della sua formazione è veramente una curiosa e verace leggenda clic sta quasi a simboleggiare la fortuna della sua famiglia, come di tutta la sua stirpe. Suo padre è l’artiere non ancora artista, ma Jacopo si trova proprio per un’eredità alla soglia dell’arte.
risorse precise di creazione. La sua pittura è

nuova; ossia ha un’originalità bizantina, ma
Egli ha la gioia dell’uomo padrone del mestiere; non- è clic le sue abilità tecniche siano formidabili, anzi gli ostacoli che egli è in grado di superare non sono grandi, ma lm la fortuna di non potersi proporre degli ostacoli che non sappia superare. Non fa prove di bravura, ma è sicuro di sè. C’è in questo proprio Patteggiamento sano dell’operaio eseute da raffinati problemi e da duri ideali, ma clic ha saputo dare un ritmo c tuia consolazione spirituale alla sua opera. In questo creatore primitivo che cerca mari non navigati, non c’è senso del mistero nè tragedia d’iiiipotttuza. E anche questo sarà un dono della razza, immune dalla malinconia degli Umbri, come dal senso della morte precoce dei Fiorentini.
s’inquadra in un gusto e in una curiosità di

perfetta rinascenza. Nei suoi disegni ci sono
Non si può dire clic Jacopo Bellini sia un pittore colto, eppure egli è completamente cosciente, e tutti gli elementi della cultura de!
già le luci, la chiarezza della pittura veneziana.

Le Madonne invece, le sole pitture che
suo tempo seno familiari, noti diremo al suo cervello, ma alla sua mano, alla sua pratica di pittore. E’ una forma di cultura innata che non si può dare se non a Venezia per gli incontri c i contatti, le esperienze che dà la città commerciale. Abbiamo in lui una prova luminosa che la grande pittura è quasi sempre senza riceverne influenza. Vive a Venezia, a Ferrara, a Padova, a Verona. Gentile da Fabriano lo inizia ai segreti di una pittura già secolare. Conosce Pisanello. E’ probabile che nelle1 sue peregrinazioni abbia incontrato Van der Weyden e Paolo Ucello. Influenza Man^ tegna, lo libera da Squarcione, ed è poi abbastanza duttile da capire e tentare di assimilare i formidabili elementi di genialità che scorge in Mantegna. Ivi’ tutto questo fuoco di esperienze, con la sua innata aspirazione alle grandi costruzioni, rimane mirabilmente sobrio. E’ felice anche nella vita pratica; la sua fama occupa tutto il Veneto, tutti richiedono la sua opera. Nulla va disperso — i suoi due figli impareranno da lui a essere1 grandi pittori — Giovanni, il figlio illegittimo che egli ha saputo rendere felice come non ne ha avuto che gioie, realizzerà pittoricamente gran parte del suo programma. Dando in moglie a Mantegna una sua figlia, Nicolosia, egli sembrava intravvedere un vero destino di storia pittorica. I rapporti tra Mantegna e Giovanili Bellini sono infatti importantissimi per il futuro.
ci siano rimaste- di lui, benché siano molto

più agili delle rigide calligrafie di Squarcione,
hanno ancora elementi tradizionali in certe regolarità
di contorno, negli ori, nella disposizione
degli angeli. Eppure già s’intravvéde il
tipo della Madonna di Giovanni Bellini (Louvre,
Venezia). Nei disegni di Jacopo Bellini
ciò che sorprende è la sua audacia di progettista,
la sua curiosità di effetti e di composizione,
la potenza del segno ridotta a una singolare
grazie di rapporti. I suoi soggetti Iranno
dato idee ai pittori di tre generazioni. Egli
ha creato un ambiente spirituale in cui si è
potuta svolgere la Scuola veneziana. Se è difficile
dare; i documenti della sua perfezione di
pittore, infinite e inconfutabili sono le prove
della sua genialità di creatore. Egli è lino di
quei capo-stipiti leggendari come Uberto van
Eyck. La storia della sua formazione è veramente
una curiosa e verace leggenda clic sta
quasi a simboleggiare la fortuna della sua famiglia,
come di tutta la sua stirpe. Suo padre
è l’artiere non ancora artista, ma Jacopo si
trova proprio per un’eredità alla soglia dell’arte.
Egli ha la gioia dell’uomo padrone del
mestiere; non- è clic le sue abilità tecniche siano
formidabili, anzi gli ostacoli che egli è in
grado di superare non sono grandi, ma
lm la fortuna di non potersi proporre degli
ostacoli che non sappia superare. Non fa prove
di bravura, ma è sicuro di sè. C’è in questo
proprio Patteggiamento sano dell’operaio eseute
da raffinati problemi e da duri ideali,
ma clic ha saputo dare un ritmo c tuia consolazione
spirituale alla sua opera. In questo
creatore primitivo che cerca mari non navigati,
non c’è senso del mistero nè tragedia
d’iiiipotttuza. E anche questo sarà un dono
della razza, immune dalla malinconia degli
Umbri, come dal senso della morte precoce
dei Fiorentini.
Non si può dire clic Jacopo Bellini sia un
pittore colto, eppure egli è completamente cosciente,
e tutti gli elementi della cultura de!
suo tempo seno familiari, noti diremo al suo
cervello, ma alla sua mano, alla sua pratica di
pittore. E’ una forma di cultura innata che
non si può dare se non a Venezia per gli incontri
c i contatti, le esperienze che dà la città
commerciale. Abbiamo in lui una prova luminosa
che la grande pittura è quasi sempre
senza riceverne influenza. Vive a Venezia, a
Ferrara, a Padova, a Verona. Gentile da Fabriano
lo inizia ai segreti di una pittura già
secolare. Conosce Pisanello. E’ probabile che
nelle1 sue peregrinazioni abbia incontrato Van
der Weyden e Paolo Ucello. Influenza Man^
tegna, lo libera da Squarcione, ed è poi abbastanza
duttile da capire e tentare di assimilare
i formidabili elementi di genialità che scorge
in Mantegna. Ivi’ tutto questo fuoco di esperienze,
con la sua innata aspirazione alle grandi
costruzioni, rimane mirabilmente sobrio. E’
felice anche nella vita pratica; la sua fama
occupa tutto il Veneto, tutti richiedono la sua
opera. Nulla va disperso — i suoi due figli impareranno
da lui a essere1 grandi pittori — Giovanni,
il figlio illegittimo che egli ha saputo
rendere felice come non ne ha avuto che gioie,
realizzerà pittoricamente gran parte del suo
programma. Dando in moglie a Mantegna una
sua figlia, Nicolosia, egli sembrava intravvedere
un vero destino di storia pittorica. I rapporti
tra Mantegna e Giovanili Bellini sono
infatti importantissimi per il futuro.
Jacopo Bellini non è dominato dai classici:
Jacopo Bellini non è dominato dai classici:

si vota al realismo, studia il nudo, capisce l’architettura.
si vota al realismo, studia il nudo, capisce l’architettura.

Giovanni e Gentile Bellini.
Giovanni e Gentile Bellini.

In Giovanni.c’è più sensibilità moderna, in
In Giovanni.c’è più sensibilità moderna, in Gentile prevale il senso dello stupore di’ fronte allo spettacolo: Giovanni è un pittore di psicologia, Gentile di decorazione. In Gentile le ricerche di colore sono sopratutto di atmosfera e di luce. Gentile è il primo pittore di Venezia, della città. Lo supererà Carpaccio. E’ immediato, osservatore ingenuo e sorpreso, non ha ancora le astuzie di Carpaccio. Il suo orientalismo è autentico. La sua capacità di segno e di psicologia è visibile nel ritratto di Maometto in cui egli si è veramente superato e nei donatori del miracolo della Croce. Ma la sua curiosità è di natura estetica.
Gentile prevale il senso dello stupore di’ fronte

allo spettacolo: Giovanni è un pittore di psicologia,
In Giovanni ci sono più preoccupazioni, ancora in una piano di primitivo, ma con commozione elaborata. Bellini è il primo pittore pensoso ed attento a tutte le emozioni. La sua arte non è facile: non è il dramma di Mantegna lira piuttosto una ricerca umana e melanconica di contemplare segno e colore. Giovanni è il solo dei tre in cui si noti un progresso continuo, in cui l’arte si ragioni anno per anno, mentre Carpaccio, Gentile, Giorgione si possono studiare in blocco e la loro arte non ha date. Carpàccio e Gentile hanno una fantasia più agile e compiuta, Giovanni più laboriosa.
Gentile di decorazione. In Gentile le

ricerche di colore sono sopratutto di atmosfera
Gli schemi di Giovanni sono 4 o 5: La Madonna, la Conversazione, Cristo’, il quadro allegorico.
e di luce. Gentile è il primo pittore di Venezia,

della città. Lo supererà Carpaccio. E’
In questi schemi egli lavora per portarli a perfezione; Nella Madonna, da Bisanzio a Tiziano, ossia dalla decorazione alle carni c al colore. Nel Cristo sotto la influenza di Mantegna con la necessità di contempcrarla ai suoi toni naturalmente più delicati.
immediato, osservatore ingenuo e sorpreso,

non ha ancora le astuzie di Carpaccio. Il suo
Il sommo di questa ascensione, di questa liberazione dal decorativo per giungere a materie e colore autonomi è Ciorgionc. Bellini che si cimenta.vecchio con Giorgione e lo vince è un destino, non una bizzarria; l’aveva vinto prima che Giorgione nascesse, nel Cristo di Brera e nel Cristo di Londra.
orientalismo è autentico. La sua capacità di

segno e di psicologia è visibile nel ritratto di
Così illuminata intorno ad un dramma pittorico l’arte di Oianibeliino non è più una poesia mancata o visione isterica: è una necessità lirica, compiuta pacatamente. Pacata infatti c non morbosa è la sua religiosità. Senza programmi, senza tormenti, l’arte di Venezia compie nei due Bellini una lunga era. E’ ormai l’arte matura e Giorgione e Tiziaifo hanno i loro problemi già risolti.
Maometto in cui egli si è veramente superato

e nei donatori del miracolo della Croce. Ma
La felicità di Tiziano si spiega così. Giorgione è più tormentato perchè l’annuncio che egli porta è quasi estremista e incendiario.
la sua curiosità è di natura estetica.

In Giovanni ci sono più preoccupazioni, ancora
Giorgione è un futurista del ’500. In realtà però egli va connesso con Bellini.
in una piano di primitivo, ma con commozione
elaborata. Bellini è il primo pittore
pensoso ed attento a tutte le emozioni. La sua
arte non è facile: non è il dramma di Mantegna
lira piuttosto una ricerca umana e melanconica
di contemplare segno e colore. Giovanni
è il solo dei tre in cui si noti un progresso
continuo, in cui l’arte si ragioni anno per anno,
mentre Carpaccio, Gentile, Giorgione si possono
studiare in blocco e la loro arte non ha
date. Carpàccio e Gentile hanno una fantasia
più agile e compiuta, Giovanni più laboriosa.
Gli schemi di Giovanni sono 4 o 5: La Madonna,
la Conversazione, Cristo’, il quadro allegorico.
In questi schemi egli lavora per portarli
a perfezione; Nella Madonna, da Bisanzio
a Tiziano, ossia dalla decorazione alle carni
c al colore. Nel Cristo sotto la influenza
di Mantegna con la necessità di contempcrarla
ai suoi toni naturalmente più delicati.
Il sommo di questa ascensione, di questa liberazione
dal decorativo per giungere a materie
e colore autonomi è Ciorgionc. Bellini che si
cimenta.vecchio con Giorgione e lo vince è
un destino, non una bizzarria; l’aveva vinto
prima che Giorgione nascesse, nel Cristo di
Brera e nel Cristo di Londra.
Così illuminata intorno ad un dramma pittorico
l’arte di Oianibeliino non è più una poesia
mancata o visione isterica: è una necessità
lirica, compiuta pacatamente. Pacata infatti
c non morbosa è la sua religiosità. Senza
programmi, senza tormenti, l’arte di Venezia
compie nei due Bellini una lunga era. E’ ormai
l’arte matura e Giorgione e Tiziaifo hanno
i loro problemi già risolti.
La felicità di Tiziano si spiega così. Giorgione
è più tormentato perchè l’annuncio che
egli porta è quasi estremista e incendiario.
Giorgione è un futurista del ’500. In realtà
però egli va connesso con Bellini.
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