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Ma queste bisognava che trovassero un altro sfogo; dalla fioritura dei giovani seguaci ed adepti si passò alla stagione dei giovani autoctoni. I quali, poiché non potevano inventare per sé questa dignità, e eran per forza fiduciosi nel verbo d’un maestro, in una parola segnata, impararono appunto questa, che la loro gioventù era fonte di potenza, che l’esercizio della volontà è garanzia dell’opera, che la vita personale è da affermarsi costruendo da sé il proprio modello; che libertà e creazione sono identici frutti dell’autonomia. Così i giovani si sarebbero sottratti in pieno alla tutela dei padri, non edificando altre leggi o inventando altre forme a conchiudere il mondo dove si sentivano segregati, ma negando insieme il mondo e le sue leggi, qualunque forma e ogni apparenza e ogni verità in quanto non fossero conquista intima e costruzione; imponendo sé stessi in luogo della necessità, ricreando la vita secondo lo spirito che abolisce il tempo e tutto consuma e comprende nell'atto con cui pensa. Scuola di pragmatismo e d’idealismo; scuola di lirica libertà e di novità critica, miraggio magnifico, aria prodigiosamente salubre, dove si respira un’assoluta fiducia di sé, poiché si afferma l’identità tra azione e successo, poiché si supera e si relega nella falsa luce del passato l’errore e il male; ipotesi quanto mai consolante, che abolisce, e continuamente vivifica, Dio.
Ma queste bisognava che trovassero un altro sfogo; dalla fioritura dei giovani seguaci ed adepti si passò alla stagione dei giovani autoctoni. I quali, poiché non potevano inventare per sé questa dignità, e eran per forza fiduciosi nel verbo d’un maestro, in una parola segnata, impararono appunto questa, che la loro gioventù era fonte di potenza, che l’esercizio della volontà è garanzia dell’opera, che la vita personale è da affermarsi costruendo da sé il proprio modello; che libertà e creazione sono identici frutti dell’autonomia. Così i giovani si sarebbero sottratti in pieno alla tutela dei padri, non edificando altre leggi o inventando altre forme a conchiudere il mondo dove si sentivano segregati, ma negando insieme il mondo e le sue leggi, qualunque forma e ogni apparenza e ogni verità in quanto non fossero conquista intima e costruzione; imponendo sé stessi in luogo della necessità, ricreando la vita secondo lo spirito che abolisce il tempo e tutto consuma e comprende nell'atto con cui pensa. Scuola di pragmatismo e d’idealismo; scuola di lirica libertà e di novità critica, miraggio magnifico, aria prodigiosamente salubre, dove si respira un’assoluta fiducia di sé, poiché si afferma l’identità tra azione e successo, poiché si supera e si relega nella falsa luce del passato l’errore e il male; ipotesi quanto mai consolante, che abolisce, e continuamente vivifica, Dio.


Chi dei giovani avrebbe saputo resistere? chi avversarla? In un punto, in un atto l’universo era risolto. Fugate le ombre e appianate le crisi, resa la fantasia a espressione, a etica il sentimento, dedotta e sorretta la vita economica e ha vita fisica quali sue funzioni da quella spirituale — questa era finalmente la celebrazione dell’uomo e di qui cominciava il suo regno, con nulla a lui superiore se non l’ignota ombra d’un pensiero futuro.
Chi dei giovani avrebbe saputo resistere? chi avversarla? In un punto, in un atto l’universo era risolto. Fugate le ombre e appianate le crisi, resa la fantasia a espressione, a etica il sentimento, dedotta e sorretta la vita economica e la vita fisica quali sue funzioni da quella spirituale — questa era finalmente la celebrazione dell’uomo e di qui cominciava il suo regno, con nulla a lui superiore se non l’ignota ombra d’un pensiero futuro.


Tale, al suo simile, sarebbe potuto essere il senso dell’educazione vociana. Su i contemporanei però essa non operava tanto apertamente; da un’ora all’altra non si poteva desumerne la ragione prima e ricondurla alle premesse ideali che la pratica deve mascherare. I motivi fondamentali restavano poco svolti e poco appariscenti, nell’ombra delle azioni polemiche o delle espressioni più clamorose.
Tale, al suo simile, sarebbe potuto essere il senso dell’educazione vociana. Su i contemporanei però essa non operava tanto apertamente; da un’ora all’altra non si poteva desumerne la ragione prima e ricondurla alle premesse ideali che la pratica deve mascherare. I motivi fondamentali restavano poco svolti e poco appariscenti, nell’ombra delle azioni polemiche o delle espressioni più clamorose.


Accanto ai filosofi, mossi un po’ dalle medesime ragioni o sofferenze, altri amici stavano a rappresentare l'esigenza lirica, come sforze verso la libertà pura senza responsabilità nè sottintesi che si esaurisce nel grido. Una volontà rozza e primordiale si gettava così nello schema della composta bellezza a scompigliando; e si compiaceva come d’una vittoria dei segui delle rotture, dei resti e dei frammenti. Si andava a parare senza paura, come a un'estrema perfezione, al singhiozzo e alla risata.
Accanto ai filosofi, mossi un po’ dalle medesime ragioni o sofferenze, altri amici stavano a rappresentare l'esigenza lirica, come sforze verso la libertà pura senza responsabilità nè sottintesi che si esaurisce nel grido. Una volontà rozza e primordiale si gettava così nello schema della composta bellezza a scompigliando; e si compiaceva come d’una vittoria dei segni delle rotture, dei resti e dei frammenti. Si andava a parare senza paura, come a un'estrema perfezione, al singhiozzo e alla risata.


Non era impresa tanto facile accomodare questi clementi di pura volontà in una forma di pensiero. Gli abbozzi di teorie che potevano servire, volta per volta, non avevano importanza maggiore dell’immediata giustificazione, della scusa momentanea. Per ognuna delle licenze pareva opportuno stabilire una regola, che spesso si tramutava in una battuta polemica, negativa e insultante. A poco a poco si combinavano delle litanie d’improperi, che garantivano e corazzavano i nuovi tentativi d’espressione, come se ogni poeta principiante dovesse esser agitato dii uno spirito di vendetta e d’offesa; e non parve a molti lecito altro modo di parlare che quello dei massacri e delle stroncature. Perfino quando si trattava di rivelare i geni ignoti, di portare alle stelle i colleghi e complici stranieri, di scoprire, di testimoniare e d’applaudire, non è raro che l’elogio fosse pieno d’una deviata acrimonia e che, nonostante la solenne pompa dei riti, si scoprisse la vera natura e lo scopo della celebrazione: quello dove s’incensavano i loro santi era palesemente un contrattare. I momenti di serenità erano assai poco frequenti, come si vede dalla breve apertura dei loro canti e dal solo appello d’amore che conobbero: oh, lasciateci divertire!
Non era impresa tanto facile accomodare questi elementi di pura volontà in una forma di pensiero. Gli abbozzi di teorie che potevano servire, volta per volta, non avevano importanza maggiore dell’immediata giustificazione, della scusa momentanea. Per ognuna delle licenze pareva opportuno stabilire una regola, che spesso si tramutava in una battuta polemica, negativa e insultante. A poco a poco si combinavano delle litanie d’improperi, che garantivano e corazzavano i nuovi tentativi d’espressione, come se ogni poeta principiante dovesse esser agitato dii uno spirito di vendetta e d’offesa; e non parve a molti lecito altro modo di parlare che quello dei massacri e delle stroncature. Perfino quando si trattava di rivelare i geni ignoti, di portare alle stelle i colleghi e complici stranieri, di scoprire, di testimoniare e d’applaudire, non è raro che l’elogio fosse pieno d’una deviata acrimonia e che, nonostante la solenne pompa dei riti, si scoprisse la vera natura e lo scopo della celebrazione: quello dove s’incensavano i loro santi era palesemente un contraltare. I momenti di serenità erano assai poco frequenti, come si vede dalla breve apertura dei loro canti e dal solo appello d’amore che conobbero: oh, lasciateci divertire!


Sicché la scuola dell’ idealismo — che fu appunto detto militante — non riuscì mai a un ordine pacato. Sarebbe stato necessario abbandonare i fervorosi, non fidarsi dei credenti più semplici che son privi d’accortezza e di misura. Ma il distacco di ''Laceria'' non tolse che alcuni detriti, già compresi fu ''pectore'' nell’organismo vociano, e dai quali non gli sarebbe stato aggiunto nulla. Dall’idealismo avevano imparato tutti. Ospite estraneo era stato Croce, più vicino e partecipante Gentile, e la loro polemica. Quella scuola però si può chiamare idealista solo per ragioni eufemistiche; per quel tanto, o magari quel poco, d’agitato e d’eccitante che, come s’è visto, l’idealismo conteneva e per cui veniva a sodisfare la romantica ansia dei giovani; poiché anche a chi dirigeva la ''Voce'', benché se ne proclamasse seguace, mancava il genio e la possibilità d’assumerlo in pieno, e la sua propaganda fermentava d’idealismo, come anche di pragmatismo o di puritanesimo. C’era in lui una spiccata tendenza all’analisi, e un immodesto desiderio di riforme; cosicché i sommi principi venivano messi in ballo per i più bassi servizi. Si sentì tanto spesso lo scarto tra il tono dei criteri direttivi, assoluto e concludente, sebbene anch’esso polemico, e le proposte pratiche, dall’ambito breve, dalla risonanza ristretta, così bonarie e borghesi che non ci si riuscì mai a convincere che la fede — o il pensiero — di {{Wl|Q1227513|Prezzolini}} si fosse fissata. Le sue oscillazioni erano la misura dell’incertezza, della confusione cara al suo spirito così attivo.
Sicché la scuola dell’ idealismo — che fu appunto detto militante — non riuscì mai a un ordine pacato. Sarebbe stato necessario abbandonare i fervorosi, non fidarsi dei credenti più semplici che son privi d’accortezza e di misura. Ma il distacco di ''Laceria'' non tolse che alcuni detriti, già compresi fu ''pectore'' nell’organismo vociano, e dai quali non gli sarebbe stato aggiunto nulla. Dall’idealismo avevano imparato tutti. Ospite estraneo era stato Croce, più vicino e partecipante Gentile, e la loro polemica. Quella scuola però si può chiamare idealista solo per ragioni eufemistiche; per quel tanto, o magari quel poco, d’agitato e d’eccitante che, come s’è visto, l’idealismo conteneva e per cui veniva a sodisfare la romantica ansia dei giovani; poiché anche a chi dirigeva la ''Voce'', benché se ne proclamasse seguace, mancava il genio e la possibilità d’assumerlo in pieno, e la sua propaganda fermentava d’idealismo, come anche di pragmatismo o di puritanesimo. C’era in lui una spiccata tendenza all’analisi, e un immodesto desiderio di riforme; cosicchè i sommi principi venivano messi in ballo per i più bassi servizi. Si sentì tanto spesso lo scarto tra il tono dei criteri direttivi, assoluto e concludente, sebbene anch’esso polemico, e le proposte pratiche, dall’àmbito breve, dalla risonanza ristretta, così bonarie e borghesi che non ci si riuscì mai a convincere che la fede — o il pensiero — di {{Wl|Q1227513|Prezzolini}} si fosse fissata. Le sue oscillazioni erano la misura dell’incertezza, della confusione cara al suo spirito così attivo.


Questi difetti si vedono ora; ma come Dio volle non erano palesi alla nostra mente di ragazzi, e anzi, a quel momento, costituivano un pregio. Infatti in un panorama mobile e frastagliato, dove nessuna linea si disegnava precisa e centrale, ma le asprezze e i toni diversi erano accostatile l’uno nell’altro diffusi da una specie di nebbia leggèra, era facile per ognuno di noi riposare l’ occhio e imaginare una forma d’attraente bellezza. Altri allora lamentavano in quell’insegnamento, non tutto disprezzabile anche secondo il parere della gente educata a studi più ponderati, l’abbondare di rappresentazioni crude, di conclusioni sommarie, d’aforismi paradossali; e la palese tendenza a violentare e a conquistare gli animi invece che a persuaderli, il gusto d’eccitare. Lo scandalo però nasceva quando si mettevano a confronto le diverse maniere e si protestava in nome d’un altro sistema pedagogico, non per noi, digiuni e affamati, che si pigliavano le apparenze più rischiose per un segno di mirabile sincerità.
Questi difetti si vedono ora; ma come Dio volle non erano palesi alla nostra mente di ragazzi, e anzi, a quel momento, costituivano un pregio. Infatti in un panorama mobile e frastagliato, dove nessuna linea si disegnava precisa e centrale, ma le asprezze e i toni diversi erano accostati e l’uno nell’altro diffusi da una specie di nebbia leggèra, era facile per ognuno di noi riposare l’ occhio e imaginare una forma d’attraente bellezza. Altri allora lamentavano in quell’insegnamento, non tutto disprezzabile anche secondo il parere della gente educata a studi più ponderati, l’abbondare di rappresentazioni crude, di conclusioni sommarie, d’aforismi paradossali; e la palese tendenza a violentare e a conquistare gli animi invece che a persuaderli, il gusto d’eccitare. Lo scandalo però nasceva quando si mettevano a confronto le diverse maniere e si protestava in nome d’un altro sistema pedagogico, non per noi, digiuni e affamati, che si pigliavano le apparenze più rischiose per un segno di mirabile sincerità.


Per apprezzarle a dovere, bisognava infatti intuire la vera natura di quelle crudeltà, che era quanto mai ingenua e gentile; e di ciò noi si era capaci. Il buono delle intemperanze verbali, era la golosa accoratezza che custodivano; la debolezza, quanto dolce, degli animi inquieti e solitari cui i contatti soliti, le carriere, la vita di relazione, forse persino gli studi in comune, le ricerche sistematiche, qualunque minima forma di disciplina che sia vigilati da occhi estranei, suonano inculto. C’erano, dunque, uomini quasi seri che ripetevano e esasperavano con la coscienza le impressioni sottili e perturbanti della nostra vita di ragazzi — quelle che sembrano disfare il mondo sensibile e indurci in una fantastica veglia dove tutte le cose pigliano proporzioni di sogno. Era come se si leggessero tante parole nostre non mai dette; se si ottenesse, nel ricordo e nella imagine altrui, una precisione, delle nostre impressioni primitive, quasi dei nostri istinti, a cui non s’era mai potuti giungere. Una mano, amica benché estranea, veniva a frugarci dentro dove non era penetrato nessun consiglio; non importa se ci faceva un po’ male, poiché ci aveva desti. Si snodava così davanti a noi, febbrile, impreciso, il poema della nostra adolescenza; e non si poteva sognar cosa più inebriante.
Per apprezzarle a dovere, bisognava infatti intuire la vera natura di quelle crudeltà, che era quanto mai ingenua e gentile; e di ciò noi si era capaci. Il buono delle intemperanze verbali, era la golosa accoratezza che custodivano; la debolezza, quanto dolce, degli animi inquieti e solitari cui i contatti soliti, le carriere, la vita di relazione, forse persino gli studi in comune, le ricerche sistematiche, qualunque minima forma di disciplina che sia vigilati da occhi estranei, suonano insulto. C’erano, dunque, uomini quasi seri che ripetevano e esasperavano con la coscienza le impressioni sottili e perturbanti della nostra vita di ragazzi — quelle che sembrano disfare il mondo sensibile e indurci in una fantastica veglia dove tutte le cose pigliano proporzioni di sogno. Era come se si leggessero tante parole nostre non mai dette; se si ottenesse, nel ricordo e nella imagine altrui, una precisione, delle nostre impressioni primitive, quasi dei nostri istinti, a cui non s’era mai potuti giungere. Una mano, amica benché estranea, veniva a frugarci dentro dove non era penetrato nessun consiglio; non importa se ci faceva un po’ male, poiché ci aveva desti. Si snodava così davanti a noi, febbrile, impreciso, il poema della nostra adolescenza; e non si poteva sognar cosa più inebriante.


Contavano forse gli accenti nudi e lo scherno e il disprezzo — talvolta urtanti fino a una sensazione fisica, violenti quasi carnalmente? Quelle illazioni che non capivamo, quelle ripetute interferenze con la vita pratica quale, più o meno, si facevan tutti, con la nostra casa e gl’insegnamenti paterni e la nostra religione? Ma chiunque, s’è detto, a una cert’ora è nemico della casa, e non c’era davvero per noi ragazzi l’assillo della vita logica. Si deve dire che anche negli attacchi più poderosi, o nelle parole oscure (come oscure quand’erano, mettiamo, del limpido Croce e filosofiche noi si trovava molta soddisfazione. Il formato del giornale, la spigliatezza de’ suoi consigli e delle sue note, quell’aria di brevità provvisoria, il suo gusto elastico, la sua caparbietà giovanile (quando non c’era di meglio; e cioè le pagine di lirica e d’autobiografia) ci facevano da ottimo condimento, da appetitoso invito per gli altri scritti più sostanziosi; e c’inducevano in tale spensieratezza d’umore che si sarebbe giurato di capirli. Si camminava, bendati, sull’orlo di caotici abissi, e ci s’illudeva dì veder smagliare, sotto un bel sole d’oro, i prati più freschi. Se, come accadeva, si cominciava a scoprirla, ci si beava di questa contraddizione; in piena avventura spirituale ci si manteneva candidi e allegri.
Contavano forse gli accenti nudi e lo scherno e il disprezzo — talvolta urtanti fino a una sensazione fisica, violenti quasi carnalmente? Quelle illazioni che non capivamo, quelle ripetute interferenze con la vita pratica quale, più o meno, si facevan tutti, con la nostra casa e gl’insegnamenti paterni e la nostra religione? Ma chiunque, s’è detto, a una cert’ora è nemico della casa, e non c’era davvero per noi ragazzi l’assillo della vita logica. Si deve dire che anche negli attacchi più poderosi, o nelle parole oscure (come oscure quand’erano, mettiamo, del limpido Croce e filosofiche noi si trovava molta sodisfazione. Il formato del giornale, la spigliatezza de’ suoi consigli e delle sue note, quell’aria di brevità provvisoria, il suo gusto elastico, la sua caparbietà giovanile (quando non c’era di meglio; e cioè le pagine di lirica e d’autobiografia) ci facevano da ottimo condimento, da appetitoso invito per gli altri scritti più sostanziosi; e c’inducevano in tale spensieratezza d’umore che si sarebbe giurato di capirli. Si camminava, bendati, sull’orlo di caotici abissi, e ci s’illudeva dì veder smagliare, sotto un bel sole d’oro, i prati più freschi. Se, come accadeva, si cominciava a scoprirla, ci si beava di questa contraddizione; in piena avventura spirituale ci si manteneva candidi e allegri.


Sarebbe segno di una molto illusoria saggezza mettersi ora a rimpiangere un’educazione sciupata, e siamo forse tratti ormai a sopravalutare, per rancore, la coltura, gl’interessi che ci mancano. Certo il nostro tipo dello scolaro di licèo, che ci rimane in cuore come l’unico tipo che si sia giunti finora a vivere, come una dolce e ilare parte che s’è rappresentata consumandovi tutta il nostro fervore, stacca di molto dai precedenti e dai seguenti. S’era assunta, e per sentimento intimo, non per istigazione dei pedagoghi riformatori di cui non leggevamo le pagine, un’aria da autodidatti, ci si faceva critici e concorrenti dei nostri professori. E’ raro il caso che le loro lezioni trovassero in noi un animo vergine; ci si armava di mille pregiudizi, si sfoggiavano decise opinioni su le materie che non si conoscevano ancóra. Può darsi che qualche volta si riuscisse così a collaborare, che certi argomenti, per un nostro disordinato interesse preventivo, si riuscisse a possederli un po’ meglio che a fil di logica, o di cronologia; ma come spesso si pigliavan le cose sotto gamba, e non si stava nemmeno a ascoltare, perchè ci si sentiva «superiori»! Questa era la fine dei latino, non parliamo di Cicerone, che a ammirarlo ci sarebbe sembrato una colpa morale, ma di Tacito e di Virgilio, e, ahimè, anche del greco — ché le nostre passioni letterarie stavano confinate in una certa «modernità» dove entravano Dante o Leopardi, Michelangiolo e Campanella; ma ne erano banditi Petrarca, Ariosto e Foscolo; non che li considerassimo maestri cattivi e pericolosi, ci parevan soltanto inutili, incapaci di darci un fremito, di rispondere ai nostri bisogni d’espressione.
Sarebbe segno di una molto illusoria saggezza mettersi ora a rimpiangere un’educazione sciupata, e siano forse tratti ormai a sopravalutare, per rancore, la coltura, gl’interessi che ci mancano. Certo il nostro tipo dello scolaro di licèo, che ci rimane in cuore come l’unico tipo che si sia giunti finora a vivere, come una dolce e ilare parte che s’è rappresentata consumandovi tutta il nostro fervore, stacca di molto dai precedenti e dai seguenti. S’era assunta, e per sentimento intimo, non per istigazione dei pedagoghi riformatori di cui non leggevamo le pagine, un’aria da autodidatti, ci si faceva critici e concorrenti dei nostri professori. E’ raro il caso che le loro lezioni trovassero in noi un animo vergine; ci si armava di mille pregiudizi, si sfoggiavano decise opinioni su le materie che non si conoscevano ancóra. Può darsi che qualche volta si riuscisse così a collaborare, che certi argomenti, per un nostro disordinato interesse preventivo, si riuscisse a possederli un po’ meglio che a fil di logica, o di cronologia; ma come spesso si pigliavan le cose sotto gamba, e non si stava nemmeno a ascoltare, perchè ci si sentiva «superiori»! Questa era la fine dei latino, non parliamo di Cicerone, che a ammirarlo ci sarebbe sembrato una colpa morale, ma di Tacito e di Virgilio, e, ahimè, anche del greco — ché le nostre passioni letterarie stavano confinate in una certa «modernità» dove entravano Dante o Leopardi, Michelangiolo e Campanella; ma ne erano banditi Petrarca, Ariosto e Foscolo; non che li considerassimo maestri cattivi e pericolosi, ci parevan soltanto inutili, incapaci di darci un fremito, di rispondere ai nostri bisogni d’espressione.


Eppure, si faceva figura d'essere e ci si stimava buoni scolari. S’era anzi convinti che la vera scuola cominciasse con noi, e che i metodi, la pazienza, la dottrina dei maestri fossero roba superflua e noi non degna, quasi un impiccio alla nostra voglia e al nostro ardore. Si aveva quindi bisogno di testi differenti da quelli ufficiali, d’un dopo-scuola che fosse un contro-scuola. Anche per questo ufficio la ''Voce'' era perfetta. C’insegnava a odiare la gente meticolosa e studiosa, a diventar arroganti con quei, diciamo, scienziati che incuton terrore e stizza ai ragazzi perchè hanno descritta sulla faccia una vita di stenti senza successi e senza nemmeno orgoglio. C’erano davvero già a quell’ora in noi i germi d’un avvenire disastroso; capaci di sognare a occhi aperti e di immaginarci d’esser grandi, soltanto fra di noi si manteneva un tono equilibrato e da bravi figliuoli; di fronte agli altri s’era sempre con l’animo in battaglia, col desiderio della prepotenza. Sdegnavamo i rapporti soliti: non ci si contentava più delle beffe ai professori, degl’immaturi disordini e delle momentanee pazzie; ogni cosa portavamo su un piano tragico, da ogni infantile prodezza volevamo trarre ragione d’orgoglio e di dignità. Alle suggestioni più semplici e più naturali si voleva restar sordi, chissà quale miracolo ci pareva di sentirci inappagati, di, a poco a poco, escludere e svalutare razione, come cosa inutile, o quasi a noi ostile. S’era spostato il campo delle difficoltà e degli stimoli per quell’ebbrezza che ci toglieva di vedere le cose rettamente; ci si pasceva di questioni teoriche che quasi non si capivano, o la vita pratica ci affliggeva con fantastiche imaginarie ombre paurose. Di qui anche nasceva il desiderio delle riforme, sebbene in questo si andasse un po’ cauti; e uno fede tutta astratta nell’avvenire, come un’attesa di cosa straordinarie.
Eppure, si faceva figura d'essere e ci si stimava buoni scolari. S’era anzi convinti che la vera scuola cominciasse con noi, e che i metodi, la pazienza, la dottrina dei maestri fossero roba superflua e noi non degna, quasi un impiccio alla nostra voglia e al nostro ardore. Si aveva quindi bisogno di testi differenti da quelli ufficiali, d’un dopo-scuola che fosse un contro-scuola. Anche per questo ufficio la ''Voce'' era perfetta. C’insegnava a odiare la gente meticolosa e studiosa, a diventar arroganti con quei, diciamo, scienziati che incuton terrore e stizza ai ragazzi perchè hanno descritta sulla faccia una vita di stenti senza successi e senza nemmeno orgoglio. C’erano davvero già a quell’ora in noi i germi d’un avvenire disastroso; capaci di sognare a occhi aperti e di immaginarci d’esser grandi, soltanto fra di noi si manteneva un tono equilibrato e da bravi figliuoli; di fronte agli altri s’era sempre con l’animo in battaglia, col desiderio della prepotenza. Sdegnavamo i rapporti soliti: non ci si contentava più delle beffe ai professori, degl’immaturi disordini e delle momentanee pazzie; ogni cosa portavamo su un piano tragico, da ogni infantile prodezza volevamo trarre ragione d’orgoglio e di dignità. Alle suggestioni più semplici e più naturali si voleva restar sordi, chissà quale miracolo ci pareva di sentirci inappagati, di, a poco a poco, escludere e svalutare razione, come cosa inutile, o quasi a noi ostile. S’era spostato il campo delle difficoltà e degli stimoli per quell’ebbrezza che ci toglieva di vedere le cose rettamente; ci si pasceva di questioni teoriche che quasi non si capivano, o la vita pratica ci affliggeva con fantastiche imaginarie ombre paurose. Di qui anche nasceva il desiderio delle riforme, sebbene in questo si andasse un po’ cauti; e uno fede tutta astratta nell’avvenire, come un’attesa di cosa straordinarie.