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Ond’io mi posi con buona lena a questo lavoro, il quale, più che sollecitare l’orgoglio dello scrittore, lo rende strumento paziente di una esigenza, benché specifica della cultura calabrese, necessariamente connessa alla cultura nazionale.
Ond’io mi posi con buona lena a questo lavoro, il quale, più che sollecitare l’orgoglio dello scrittore, lo rende strumento paziente di una esigenza, benché specifica della cultura calabrese, necessariamente connessa alla cultura nazionale.


Lavoro di propedeutica elementare, dunque, ad ogni critica: allestimento di materiali senza cui ogni edificio è privo di base e crolla al primo urto della storia. Con ciò non si vuol dire che la Calabria non abbia avuto i suoi storici e i suoi biografi, chè, in verità, troppi ne ha avuti, ma non ha avuto lo storico nel senso che deve darsi a questa parola, che suona severa ed alta nella monto d’ogni studioso. Dal vecchio {{AutoreCitato|Gabriele Barrio|Barrio}}, che non si ricorda senza commozione por la sua affettuosa sollecitudine di pellegrino attraverso la regione, all’appassionato Accattatis, che intese chiamare a raccolta ai fratelli di Calabria non ignavi ne ignobili eredi della fede e della sapienza degli Avi», si è quasi costantemente mantenuto acceso l’amore per il focolare calabrese o per le sue tradizioni; ma, forse, anzi certamente, quell’amore ha traboccato, quelle tradizioni sono state ingrandite o rimpicciolite a seconda dei criteri e delle passioni, che agitavano o storici o biografi onde è generalmente mancato quel veder sereno, propriamente storico, che, se toglie impeto allo scrittore, gli dà la sicurezza di aver cercato la verità e l’orgoglio di averla dichiarata. Così che, se non rimprovereremo quegli scrittori di Calabria per averla troppo amata ed esaltata almeno nei libri, non possiamo tuttavia plaudire alle conseguenze prodotte dalle loro opere in mezzo agli studiosi calabresi e non calabresi, giacchè la loro voce, o è stata inascoltata e derisa, o — ciò che è avvenuto più spesso — riecheggiata senza controllo critico, salvo alcuni casi di indagini accurate, che è giustizia riconoscere, ma anche individuare. In generale, oggi stesso si mantiene vivo — specie tra gli scrittori della regione — il criterio elogistico, delle «glorie» di casa; e assai di rado si guarda con benefica crudeltà la storia della cultura calabrese, che, come in ogni luogo, è frutto di pochi uomini di genio, di un forte gruppo di buoni operai della mente e di una moltitudine di mediocri scarsi poeti (più spesso, e quasi in linea ininterrotta, latini), e numerosissimi ciarlatani versificatori; alcuni filosofi di marca autentica, e una sequela di sciocchi sofisti impasticciati di casistica, sterili rimasticatori di precettistica stantia; sicché, in ogni nuovo critico, tu scopri un esalatore, che vuol vedere e far vedere quel che non c’è, sicuro del fatto suo in apparenza, ma in realtà traballante su un terreno che frana d’ogni parte. D’altro canto, i più ritornano nel campo coltivato da altri, non per spazzarlo dalle erbacce e rifecondarlo, ma per la facilità di ricucinare gli stessi argomenti, ritinti da secoli in tutte le salse inacidite dall’uso; ed è infrequente il caso di scrittori, che s’inoltrino nella vergine selva del pensiero calabrese per sfrondare un albero senza frutto, riformare una verità, fissare una data dibattuta. Molti — senza le necessarie ricerche e fondandosi su pochi libri — pretendono di far opera critica e bibliografica ''generale'', di abbracciar tutto, dal principio del mondo al loro fortunato avvento. Altri si dilettano beatamente a porre in cima all’edificio della storia universale, e specialmente calabrese, la propria città, il proprio borgo la propria famiglia, con quei risultati che nelle ricerche storiche dà inevitabilmente la tesi fatta, la causa da patrocinare. Tutti mali inerenti a una formazione mentale non ancora ascesa alla limpida visione della funzione dello storico, anche il più umile: ma, a mio modo di vedere, specialmente derivanti da una profonda lacuna culturale.
Lavoro di propedeutica elementare, dunque, ad ogni critica: allestimento di materiali senza cui ogni edificio è privo di base e crolla al primo urto della storia. Con ciò non si vuol dire che la Calabria non abbia avuto i suoi storici e i suoi biografi, chè, in verità, troppi ne ha avuti, ma non ha avuto lo storico nel senso che deve darsi a questa parola, che suona severa ed alta nella mente d’ogni studioso. Dal vecchio {{AutoreCitato|Gabriele Barrio|Barrio}}, che non si ricorda senza commozione por la sua affettuosa sollecitudine di pellegrino attraverso la regione, all’appassionato Accattatis, che intese chiamare a raccolta « i fratelli di Calabria non ignavi ne ignobili eredi della fede e della sapienza degli Avi», si è quasi costantemente mantenuto acceso l’amore per il focolare calabrese o per le sue tradizioni: ma, forse, anzi certamente, quell’amore ha traboccato, quelle tradizioni sono state ingrandite o rimpicciolite a seconda dei criteri e delle passioni, che agitavano e storici e biografi onde è generalmente mancato quel veder sereno, propriamente storico, che, se toglie impeto allo scrittore, gli dà la sicurezza di aver cercato la verità e l’orgoglio di averla dichiarata. Così che, se non rimprovereremo quegli scrittori di Calabria per averla troppo amata ed esaltata almeno nei libri, non possiamo tuttavia plaudire alle conseguenze prodotte dalle loro opere in mezzo agli studiosi calabresi e non calabresi, giacchè la loro voce, o è stata inascoltata e derisa, o — ciò che è avvenuto più spesso — riecheggiata senza controllo critico, salvo alcuni casi di indagini accurate, che è giustizia riconoscere, ma anche individuare. In generale, oggi stesso si mantiene vivo — specie tra gli scrittori della regione — il criterio elogistico, delle «glorie» di casa; e assai di rado si guarda con benefica crudeltà la storia della cultura calabrese, che, come in ogni luogo, è frutto di pochi uomini di genio, di un forte gruppo di buoni operai della mente e di una moltitudine di mediocri scarsi poeti (più spesso, e quasi in linea ininterrotta, latini), e numerosissimi ciarlatani versificatori; alcuni filosofi di marca autentica, e una sequela di sciocchi sofisti impasticciati di casistica, sterili rimasticatori di precettistica stantia; sicchè, in ogni nuovo critico, tu scopri un esalatore, che vuol vedere e far vedere quel che non c’è, sicuro del fatto suo in apparenza, ma in realtà traballante su un terreno che frana d’ogni parte. D’altro canto, i più ritornano nel campo coltivato da altri, non per spazzarlo dalle erbacce e rifecondarlo, ma per la facilità di ricucinare gli stessi argomenti, ritinti da secoli in tutte le salse inacidite dall’uso; ed è infrequente il caso di scrittori, che s’inoltrino nella vergine selva del pensiero calabrese per sfrondare un albero senza frutto, riformare una verità, fissare una data dibattuta. Molti — senza le necessarie ricerche e fondandosi su pochi libri — pretendono di far opera critica e bibliografica ''generale'', di abbracciar tutto, dal principio del mondo al loro fortunato avvento. Altri si dilettano beatamente a porre in cima all’edificio della storia universale, e specialmente calabrese, la propria città, il proprio borgo la propria famiglia, con quei risultati che nelle ricerche storiche dà inevitabilmente la tesi fatta, la causa da patrocinare. Tutti mali inerenti a una formazione mentale non ancora ascesa alla limpida visione della funzione dello storico, anche il più umile; ma, a mio modo di vedere, specialmente derivanti da una profonda lacuna culturale.


La fonte cui attingono gli scrittori ogni qualvolta si occupano della Calabria, non può differire da quella che storici e biografi speciali, cioè calabresi, hanno formata; e se essa è ineguale — qui torbida, là navigabile, ora secca, più oltro troppo gonfia e piena di insidie — , ben pochi vi possono attingere con sapiente discernimento, onde i più, vedendosi affondare, preferiscono salire nel cielo della fantasia, tambureggiando a tutta foga. E' ovvio che le opere «generali» (di storia civile o etico-politica, di letteratura, di filosofia, ecc.), che sono di più facile consultazione, non possono ovviare a questa deficienza, limitandosi ad un cammino per sommi capi, e facendovi entrare la Calabria nei punti obbligati: d’altronde anch’esse risentono i danni della incertezza delle fonti della cultura regionale (2), e ripetono, di secolo in secolo, errori iniziali, trascurano elementi importanti, senza sollecitare la scoperta del nuovo o l’accertamento del vecchio. Non si esclude che un’opera di dissodamento si sia illividita dal secolo passato per la storia calabrese (3), anche se si debba constatare non senza rammarico (in cui, forse, può includersi l’orgoglio del «natio loco» ricercato da altri) che è stato un francese, il {{AutoreCitato|François Lenormant|Lenormant}}, a dare una opera, per quanto incompleta e non priva di errori, fondamentale su la Magna Grecia (4). Ma, ripeto, il lavoro che si è fatto è ancora iniziale, non colma la deplorata lacuna delle «fonti», se mai dove spronare a nuove ricerche per disegnare con sicurezza la storia della Calabria.
La fonte cui attingono gli scrittori ogni qualvolta si occupano della Calabria, non può differire da quella che storici e biografi speciali, cioè calabresi, hanno formata; e se essa è ineguale — qui torbida, là navigabile, ora secca, più oltro troppo gonfia e piena di insidie — , ben pochi vi possono attingere con sapiente discernimento, onde i più, vedendosi affondare, preferiscono salire nel cielo della fantasia, tambureggiando a tutta foga. E' ovvio che le opere «generali» (di storia civile o etico-politica, di letteratura, di filosofia, ecc.), che sono di più facile consultazione, non possono ovviare a questa deficienza, limitandosi ad un cammino per sommi capi, e facendovi entrare la Calabria nei punti obbligati: d’altronde anch’esse risentono i danni della incertezza delle fonti della cultura regionale (2), e ripetono, di secolo in secolo, errori iniziali, trascurano elementi importanti, senza sollecitare la scoperta del nuovo o l’accertamento del vecchio. Non si esclude che un’opera di dissodamento si sia iniziata dal secolo passato per la storia calabrese (3), anche se si debba constatare non senza rammarico (in cui, forse, può includersi l’orgoglio del «natio loco» ricercato da altri) che è stato un francese, il {{AutoreCitato|François Lenormant|Lenormant}}, a dare una opera, per quanto incompleta e non priva di errori, fondamentale su la Magna Grecia (4). Ma, ripeto, il lavoro che si è fatto è ancora iniziale, non colma la deplorata lacuna delle «fonti», se mai dove spronare a nuove ricerche per disegnare con sicurezza la storia della Calabria.


Questo lavoro intende appunto contribuire alla indagine delle «fonti» della cultura calabrese, che è come dire ricercare in gran parte anche le fonti della sua storia nei significati più complessi e specifici. I criteri, che ho seguiti, sono gli stessi di ogni buon metodo storico. Ho escluso qualsiasi giudizio su gli scrittori (salvo i casi in cui non era possibile lasciare una lacuna), non solo por evitare che l’opera assumesse una ampiezza, che avrebbe richiesto molti anni di lavoro e troppi volumi, ma anche perchè non è possibile che un solo studioso pretenda di fare contemporaneamente il filosofo e l’esteta, il giurista e il naturalista, e così via di seguito, senza cadere nel più banale superficialismo pretenzioso e ridicolo. Oltre a ciò, un’altra ragione fondamentale m’impediva di seguire il metodo dogli enciclopedici, vale a dire la ferma convinzione che l’opera critica sarà, presto o tardi, il frutto di questo lavoro di ricerca, che, spianando la via con l’indicazione delle fonti, e offrendo la possibilità di raggruppamenti per materie, per periodi, per caratteri di individui, ecc., invoglierà anche altri studiosi a quella ricostruzione storica accurata della cultura calabrese, che sino ad oggi non esiste. Per tanto mi sono attenuto al criterio di riassumere criticamente i dati della vita di ciascun scrittore e — criticamente dov’era il caso — di fornire una bibliografia possibilmente esauriente. Ma, per facilitare ancora il compito degli studiosi, ho voluto descrivere secondo il metodo bibliografico seguito nei cataloghi, tutte lo opere degli autori, che mi è stato possibile esaminare; per modo che si possa distinguere l’opuscolo dal volume, e, di conseguenza, il lavoro — se non addirittura il valore — dello scrittore. Cómpito assai facile a spiegare, ma ben duro a realizzare, non soltanto per il tempo necessario e la pazienza dell’esame, ma altresì per la difficoltà di trovare le opere degli scrittori calabresi.
Questo lavoro intende appunto contribuire alla indagine delle «fonti» della cultura calabrese, che è come dire ricercare in gran parte anche le fonti della sua storia nei significati più complessi e specifici. I criteri, che ho seguiti, sono gli stessi di ogni buon metodo storico. Ho escluso qualsiasi giudizio su gli scrittori (salvo i casi in cui non era possibile lasciare una lacuna), non solo por evitare che l’opera assumesse una ampiezza, che avrebbe richiesto molti anni di lavoro e troppi volumi, ma anche perchè non è possibile che un solo studioso pretenda di fare contemporaneamente il filosofo e l’esteta, il giurista e il naturalista, e così via di seguito, senza cadere nel più banale superficialismo pretenzioso e ridicolo. Oltre a ciò, un’altra ragione fondamentale m’impediva di seguire il metodo dogli enciclopedici, vale a dire la ferma convinzione che l’opera critica sarà, presto o tardi, il frutto di questo lavoro di ricerca, che, spianando la via con l’indicazione delle fonti, e offrendo la possibilità di raggruppamenti per materie, per periodi, per caratteri di individui, ecc., invoglierà anche altri studiosi a quella ricostruzione storica accurata della cultura calabrese, che sino ad oggi non esiste. Per tanto mi sono attenuto al criterio di riassumere criticamente i dati della vita di ciascun scrittore e — criticamente dov’era il caso — di fornire una bibliografia possibilmente esauriente. Ma, per facilitare ancora il compito degli studiosi, ho voluto descrivere secondo il metodo bibliografico seguito nei cataloghi, tutte lo opere degli autori, che mi è stato possibile esaminare; per modo che si possa distinguere l’opuscolo dal volume, e, di conseguenza, il lavoro — se non addirittura il valore — dello scrittore. Cómpito assai facile a spiegare, ma ben duro a realizzare, non soltanto per il tempo necessario e la pazienza dell’esame, ma altresì per la difficoltà di trovare le opere degli scrittori calabresi.