Pagina:Il Baretti - Anno V, n. 1, Torino, 1924-1928.djvu/3: differenze tra le versioni
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Indeciso su la via da seguire (e sovra tutto esitante circa una efficacia adeguata al necessario impiego di energie per compilare un Dizionario bio-bibliografico di tutti gli scrittori calabresi, raggruppati con ordine alfabetico), allorché fui invitato a preparare questo lavoro, mi tornava assai spesso alla memoria — come un mònito e quasi una preventiva condanna — il severo giudizio di {{AutoreCitato|Francesco De Sanctis|Francesco De Sanctis}} su la ''Storia della letteratura italiana'' di {{AutoreCitato|Cesare Cantù|Cesare Cantù}}. «Compiuta la lettura, aveva detto il nostro maggior critico del secolo scorso, è difficile ti rimanga nell'animo qualcosa di netto e di chiaro, come ultima impressione ed ultimo risultato. Ti senti girar pel capo una confusa congerie di cose e di persone, e ti par proprio sii uscito da una torre di Babele o da un castello incantato, percorso con diletto, ma senza che te ne rimanga chiara ricordanza. Allora sei costretto a raccoglierti, a meditarvi sopra, a rifare tu il lavoro, se vuoi afferrarne il concetto e darne adeguato giudizio» (1). E sebbene il De Sanctis si riferisse ai giudizi del Cantù, sformati dal preconcetto moralistico, sovrappostovi nella valutazione delle cose letterarie, io dicevo a me stesso: — Che cosa resterà di un lavoro in cui non potrò neppure esercitare un qualsiasi giudizio, costretto a rintracciare le |
Indeciso su la via da seguire (e sovra tutto esitante circa una efficacia adeguata al necessario impiego di energie per compilare un Dizionario bio-bibliografico di tutti gli scrittori calabresi, raggruppati con ordine alfabetico), allorché fui invitato a preparare questo lavoro, mi tornava assai spesso alla memoria — come un mònito e quasi una preventiva condanna — il severo giudizio di {{AutoreCitato|Francesco De Sanctis|Francesco De Sanctis}} su la ''Storia della letteratura italiana'' di {{AutoreCitato|Cesare Cantù|Cesare Cantù}}. «Compiuta la lettura, aveva detto il nostro maggior critico del secolo scorso, è difficile ti rimanga nell'animo qualcosa di netto e di chiaro, come ultima impressione ed ultimo risultato. Ti senti girar pel capo una confusa congerie di cose e di persone, e ti par proprio sii uscito da una torre di Babele o da un castello incantato, percorso con diletto, ma senza che te ne rimanga chiara ricordanza. Allora sei costretto a raccoglierti, a meditarvi sopra, a rifare tu il lavoro, se vuoi afferrarne il concetto e darne adeguato giudizio» (1). E sebbene il De Sanctis si riferisse ai giudizi del Cantù, sformati dal preconcetto moralistico, sovrappostovi nella valutazione delle cose letterarie, io dicevo a me stesso: — Che cosa resterà di un lavoro in cui non potrò neppure esercitare un qualsiasi giudizio, costretto a rintracciare le “fonti”, registrandole col criterio quasi meccanico del catalogatore? — Ma Benedetto Croce, con la chiarezza consueta, mi fece rilevare più che l’utilità, la necessità d’una opera siffatta, indispensabile por una revisione critica coscienziosa della cultura calabrese. |
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Ond’io mi posi con buona lena a questo lavoro, il quale, più che sollecitare l’orgoglio dello scrittore, lo rende strumento paziente di una esigenza, benché specifica della cultura calabrese, necessariamente connessa alla cultura nazionale. |
Ond’io mi posi con buona lena a questo lavoro, il quale, più che sollecitare l’orgoglio dello scrittore, lo rende strumento paziente di una esigenza, benché specifica della cultura calabrese, necessariamente connessa alla cultura nazionale. |