I selvaggi della Papuasia: differenze tra le versioni

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Vi furono allarmi, paure, ma niente di più. L’equipaggio, man mano sentiva sfumare l’ebbrezza, ripigliava animo e coraggio. Ai primi albori ogni paura era scomparsa, almeno quella di un naufragio imminente.
 
Il capitano si affrettò a visitare il bastimento e rendersi conto della minuta sua posizione e della situazione. L’''Haar­lemHaarlem'' erasi arenato su un banco sabbioso a meno di mille passi dalla costa, di fronte a un fiumicello, circondato per ogni dove da scoglietti che si allargavan a mo’ di molteplici corone. Non potevasi credere che fosse perduto. Con un po’ di pazienza, alando al mulinello, dopo aver gettato alcuni ancorotti al babordo e gettato buona parte del carico, approfittando dell’alta marea si poteva ancora scogliarlo. Esaminata la costa che appariva boscosa ma, a quanto pareva deserta, diede il comando di mettersi subito all’opera, non nascondendo un po’ di timore per la vicinanza di quell’isola tutt’altro che ospitale.
 
L’equipaggio rassicurato non perdette un istante. Si cominciò alacremente a lavorare allo scarico, aprendo il boccaporto e gettando in mare il ''segù'', lavoro faticoso se si pensa fatto sotto un calore torrido, ma di cui nessuno osò lagnarsi. Ufficiali e marinai lavoravano di comune accordo, e già tutto induceva a credere che si sarebbe riusciti a riporre a galla l’''Haarlem'', quando verso le dieci del mattino il secondo mozzo che si era arrampicato fino alla caffa dell’albero di maestra per ammainare il velaccio, segnalò una flottiglia di sei piroghe che, uscendo dal fiumicello, movevano verso il brigantino.