Il Re della Prateria/Parte prima/7. L'evasione del marchesino: differenze tra le versioni

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Parte prima - 6. Il Gulf-Stream Parte prima - 8. La caccia al negriero

7.

L'EVASIONE DEL MARCHESINO


Volendo approfittare, fin che poteva, della grande corrente equatoriale che entra nel golfo del Messico passando fra l'arcipelago delle Piccole Antille e non amando la vicinanza della terra americana, che partendo dal capo Orange fino al Venezuela descrive una curva viziosa verso l'ovest, il capitano Nunez mise la prua al nord, essendo sua intenzione di penetrare nel grande golfo nei pressi della Barbada. Avvistato il 23 aprile il capo Orange, che segna il confine fra il Brasile e la Guaiana francese, rientrò nella corrente equatoriale, che aveva per poche ore abbandonata, e si diresse al largo, piegando però leggermente verso l'ovest.

Il tempo si era rimesso, e il vento soffiava regolarmente e sempre in favore, agevolando la corsa dell'Albatros, la cui rapidità si manteneva costante fra i sette e i nove nodi.

Il marchesino continuava a essere tranquillo, ma rifiutavasi energicamente di vedere il barone, e bastava soltanto che Mumbai gli parlasse del rapitore, perché si vedesse montare sulle furie. In quei momenti non pareva più un giovanotto di sedici anni, ma un uomo pronto, determinato a tutto; e minacciava di mettere a soqquadro la cabina e di ribellarsi anche al suo carceriere. Ma anche nei suoi momenti di calma, pareva che un'idea fissa lo tormentasse costantemente, poiché si udiva spesso mormorare e si vedeva sempre assiso dinanzi al sabordo, intento a scrutare l'oceano come se da quella parte aspettasse un liberatore.

Il barone un giorno, temendo che quella prigionia non gli nuocesse, gli aveva fatto proporre da Mumbai che si recasse in coperta dietro promessa di mantenersi tranquillo, ma egli aveva risposto che se fosse comparso sul ponte avrebbe strangolato qualcuno e prima di tutti il rapitore, che odiava con tutte le forze dell'anima ed era rimasto nella sua cabina.

Il 27 aprile, a circa dugentoventi miglia dal capo Orange, un altro vascello si mostrò sulla linea dell'orizzonte. Era un piroscafo di dimensioni enormi, munito di quattro alberi e di tre camini e filava così rapidamente, che subito scomparve verso l'ovest, lasciandosi dietro dei nuvoloni di fumo.

– Deve essere un legno americano – disse il capitano Nunez, che lo aveva osservato con profonda attenzione. – Che audacia e che iniziativa hanno quegli uomini dell'Unione Americana! Saranno pazzi, ma sono da invidiarsi.

– E perché dite che sono pazzi? – chiese di Chivry, che gli stava accanto. – Forse pei loro ardimenti?

– No, perché sono realmente pazzi – rispose il capitano con tutta serietà. – Nol sapevate?

– No, quantunque sia vissuto parecchi anni nelle regioni centrali dell'America settentrionale. E da che cosa arguite che hanno il cervello guasto?

– Vi dirò, signor di Chivry, che si sono fatti degli studi assai curiosi sugli americani del nord, e questi studi hanno dimostrato che quel popolo, se non è precisamente pazzo, poco ci manca.

«Si è infatti osservato che questi americani nordisti vivono in uno stato continuo di eccitazione nervosa, dovuto non a malattie, non alla fusione delle diverse razze, ma al clima.

«Quando un europeo sbarca sulle coste dell'America, specialmente nelle grandi città dell'est, dopo pochi giorni subisce un eccitamento nervoso assai notevole, che riesce molesto ad alcuni, ma che ad altri fa l'effetto esilarante dello Champagne o l'effetto prodotto dal soverchio abuso del caffè o del thè.

«A poco a poco l'europeo si sente invadere da una premura febbrile e finisce col diventare l'uomo più frettoloso, il più nervoso e il più ardente, ma probabilmente con minor facoltà di trattabilità e di fermezza.

«Gettate uno sguardo su di una grande o piccola città degli Stati dell'Unione, e vi persuaderete di leggeri che la popolazione vive in un ambiente ad alta pressione. Si lavora in modo febbrile, si ha fretta di conchiudere tutto e di fare tutto, si va sempre a vapore, si concepiscono opere che sembrano pazzie o miracoli, si commettono eccentricità impossibili. Si direbbe che tutta la popolazione è sempre in preda ad una specie di esaltamento, provenga dalla razza latina o da quella anglo-sassone o dall'ispano-americana.

«Volete una prova più convincente? Guardate le statistiche, e vi persuaderete che il numero dei pazzi cresce smisuratamente ogni anno negli Stati dell'Unione fino a raggiungere ora una cifra che spaventa, poiché i pazzi sono oggi in proporzione di 1 su 1559 abitanti.»1

– Ma da che cosa deriva questo eccitamento che minaccia di convertire la nazione americana in un popolo di pazzi?

– Dal clima, ve lo dissi già, il quale è di una asciuttezza straordinaria ed eccessivamente carico di elettricità. Bagnate una spugna e vedrete che nell'America del Nord si asciuga in pochi istanti; portate colà un mobile qualunque fatto con legno bene stagionato, e lo udrete scricchiolare tutto il tempo dell'anno; tenete del sale, e non lo troverete mai umido, nemmeno durante le giornate piovose.

«L'aria poi è così satura di elettricità, che i fenomeni elettrici si possono osservare in qualsiasi giorno d'inverno. Ne volete una prova? A New-York, io ho acceso il gas strofinando solamente un dito su di un tappeto, e poi, accostandolo al becco della lampada, ho udito la scintilla elettrica scoppiettare distintamente.»

– È incredibile! – esclamò il signor di Chivry stupito. – Ma non credete che quell'orgasmo che regna fra la popolazione americana, non derivi da altre cause?

– Forse non dipende solamente dalle condizioni fisiche, avendo anch'io notato che quello stato di eccitazione non si riscontra in tutte le città americane, ma vi deve entrare qualche altra causa, come una specie di contagio nervoso dovuto forse ad accumulazioni ereditarie di tendenze e...

– Capitano!... – gridò in fretta Mumbai. – Guardate laggiù, a babordo. Temo che quel curioso voglia procurarci delle noie.

Nunez si volse guardando nella direzione indicata, e fece un moto di stizza.

Una piccola nave, una goletta di trecento tonnellate, che prima non era stata veduta, veleggiava parallelamente all'Albatros, manovrando in modo da accostarlo, come volesse meglio osservarlo.

Dalla sua speciale costruzione, dai suoi sabordi, dai quali si vedevano sporgere le gole nere di parecchi cannoni, e dal grande nastro che ondeggiava sulla cima dell'albero di maestra, si capiva a prima vista che era un legno da guerra, una specie d'incrociatore. Era stato scorto dall'equipaggio soli pochi minuti prima in rotta verso il sud, ma improvvisamente aveva virato di bordo dirigendosi verso l'Albatros, non si sapeva se attratto da una potente curiosità o da qualche più imperioso motivo.

– Cosa vuole quel legno del malanno? – si chiese il capitano Nunez, aggrottando la fronte. – Mi ha l'aria di venire a spiarci.

– Che sia un legno brasiliano? – domandò il barone con voce agitata.

– No, è un incrociatore inglese che forse viene dalla Giamaica – rispose Nunez, che era diventato pensieroso.

– Cosa potete temere allora, se viene dal nord?

– Voi dimenticate, signor di Chivry, che io sono un negriero.

– Non avete un solo schiavo nel frapponte.

– È vero; ma se quei furfanti d'inglesi sospettano che io sia un trafficante di carne umana, vorranno procedere a una visita e dalle carte di bordo apprenderanno che io vengo dall'Africa, e non sarà qui tutto. Se avessi tempo, farei levare gli anelli e le catene fissate nel frapponte, cose sufficienti per indicare a quale traffico io mi dedico.

– Cosa contate di fare?

– Di spiegare tutte le vele possibili e di tenere pronti i cannoni. Se l'Albatros, come spero, si lascia a poppa quella goletta dannata, me ne rido di quei curiosi con le giacche rosse.

– Non perdiamo tempo allora; quell'incrociatore non dista che due miglia, e in quindici minuti può esserci addosso.

– Mumbai! – gridò Nunez. – Fa' caricare il cannone da caccia e spiegare i coltellacci, gli scopamari, i contropappafichi e gli stragli.

Il mastro d'equipaggio stava per accostare il fischietto alle labbra onde chiamare a raccolta l'equipaggio, quando a poppa della nave si udì un tonfo che pareva prodotto da un corpo pesante che cade in mare.

Carrai! – esclamò il capitano Nunez impallidendo. – Chi è caduto?...

– Nessuno – rispose Mumbai, gettando un rapido sguardo sul ponte del veliero.

– Ma questo tonfo?... – chiese di Chivry.

– Sarà stato un pescecane che...

– Un uomo in mare! – gridò in quel momento il timoniere.

– Mille tuoni! – esclamò Nunez nella cui mente era balenato un sospetto.

Si slanciò verso poppa seguìto dal barone, dal mastro d'equipaggio e da parecchi marinai che si erano muniti di corde.

Un grido di furore irruppe dalle labbra del negriero.

– È il marchesino! – gridò.

– È impossibile! – esclamò il barone diventando livido.

– È lui!... – esclamarono i marinai.

– Fugge verso la goletta!... – gridarono altri.

– E nuota come un pesce.

– Una scialuppa in mare! – tuonò Nunez. – Presto o siamo perduti, se giunge alla goletta!...

A centocinquanta braccia dalla poppa, infatti, si vedeva Almeida. Nuotava con sovrumana energia, rizzandosi vigorosamente sulle onde dell'oceano e si dirigeva velocemente verso la piccola nave da guerra sul cui ponte si vedevano raggruppati parecchi uomini.

– Presto!... Presto!... – esclamò di Chivry. – Venti scudi a chi lo riprende.

– Mumbai, vira di bordo – gridò Nunez. – Spicciatevi, voialtri, se vi preme la pelle; e vivo o morto riportatelo a bordo!...

In pochi istanti il gran canotto fu calato in mare. Dieci uomini, fra i quali il gigantesco Mumbai, vi presero posto e si misero ad arrancare con lena disperata sulle tracce del fuggiasco.

Questi, che di quando in quando volgeva il capo verso l'Albatros, per vedere se lo inseguivano, raddoppiò la velocità dirigendosi verso la piccola nave da guerra e lanciò tre tuonanti chiamate:

– A me, marinai!... Aiuto!... Fate fuoco sui pirati!...

Quantunque la goletta fosse ancora lontana, quelle diverse grida dovevano essere giunte fino sul ponte, poiché la si vide virare prontamente di bordo e veleggiare verso la nave negriera.

– Mille lampi!... – esclamò Nunez. – Avremo ora da fare con quei cani d'inglesi?...

– Che si dirigano su noi? – chiese il barone con voce sorda e aggrottando la fronte.

– Non li vedete? Vorranno sapere chi è il caduto, perché gridava, chi siamo noi, e non so come ce la caveremo.

– Facciamo sparire il marchesino.

– Volete ucciderlo?

– No davvero; ma possiamo nasconderlo.

– Dove?

– Nel pozzo delle catene o fra le casse della camera dell'equipaggio.

– Griderà!

– Lo imbavaglieremo.

– Si dibatterà.

– Lo legheremo. Mi rincresce di dover ricorrere a questi mezzi, ma non voglio perderlo.

– Vedremo. Presto, presto, Mumbai!...

Il mastro e i suoi uomini non avevano bisogno di venire eccitati. La scialuppa, sotto le vigorose battute di quei dieci remi robustamente manovrati, filava come una freccia; ma il giovane marchese se perdeva via non si ristava dal gridare all'equipaggio della goletta:

– Fate fuoco su quei pirati!...

I suoi sforzi dovevano rimanere però senza effetto. In capo a cinque minuti la scialuppa non era distante che dieci braccia.

– Fermatevi! – gli gridò Mumbai.

– Aiuto! – gridò invece il marchesino.

– Volete tacere? – urlò il mastro furibondo.

– No, pirata!...

– Un ultimo sforzo, amici – disse il gigante.

Con un ultimo slancio la scialuppa fu addosso al fuggiasco, il quale ormai aveva esaurito quasi tutte le forze in quella rapida nuotata.

Vedendosi ormai preso, si lasciò andare a picco, sperando di sfuggire ancora; ma Mumbai immerse rapidamente un braccio e lo afferrò pel colletto.

– Orsù, venite adunque! – gridò, traendolo a galla. – Dovevo aspettarmi questo brutto giuoco.

Almeida, invece di arrendersi, si mise a dibattersi con furore; ma il gigante possedeva una forza straordinaria. Lo sollevò come se fosse una piuma e lo depose nel fondo della scialuppa, mettendogli una mano sulle labbra per impedirgli di gridare.

– A bordo! E senza perdere una battuta – disse il gigante, lanciando un bieco sguardo sulla goletta.

La nave da guerra si avvicinava allora a tutte vele spiegate, cercando di frapporsi fra la scialuppa e l'Albatros. Senza dubbio il suo equipaggio, che doveva avere dei sospetti circa il traffico che esercitava la nave spagnola, si era vieppiù allarmato da quella scena svoltasi sotto i suoi occhi, che non aveva l'apparenza d'un comune salvataggio, ed esigeva delle chiare spiegazioni.

Era però quella nave ancora troppo lontana per tagliare la via alla scialuppa, che era montata dagli uomini più robusti dell'Albatros. Mumbai, che non la perdeva d'occhio, s'accorse a tempo della manovra e filò dritto verso la nave negriera, la quale, dal canto suo, veleggiava incontro a lui.

In sette minuti la nave e la scialuppa s'incontrarono, e Mumbai, afferrato fra le robuste braccia il giovane marchese, lo portò sul ponte non ostante la sua disperata resistenza.

– Disgraziato, volete perderci tutti! – gli gridò il barone, quando si vide dinanzi il fuggiasco.

– Miserabile! – urlò Almeida. – Ti farò appiccare!

– Conducetelo via, – disse Nunez, – e voi issate la scialuppa e spiegate tutte le vele.

– Dove devo portarlo? – chiese Mumbai.

– Legatelo, e per ora conducetelo nella sua cabina – disse il barone.

– E fatelo guardare da due uomini – aggiunse Nunez.

Poi rizzandosi quanto era lungo, gridò con voce maschia ed energica:

– Otto uomini al pezzo da caccia e al mio comando fate fuoco. Ah! Non conoscete ancora il mio Albatros, signori inglesi! A noi, adunque!

In quell'istante un colpo di cannone rimbombò sul ponte della goletta, ma non si udì alcun fischio che indicasse il passaggio della palla.

– Si apre il fuoco di già! – esclamò il barone.

– Non ancora – rispose Nunez. – È un colpo in bianco.

– E significa?...

– Mi s'intima di fermarmi.

– E voi?

– Carico il mio legno di vele e fuggo.

– E se ci raggiungono?

– Assaggeranno il mio ferro. Ehi! Timoniere, la barra all'orza e la prua al nord! Lo faremo correre e lo caleremo a picco!...


Note

  1. Nel 1880 i pazzi avevano raggiunto la proporzione di 1 su 662 abitanti.