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per le praterie mongole 131


verso la strada. Essi ci facevano dei segnali. Giunti vicini abbiamo riconosciuto fra loro il nostro bravo mongolo della vigilia, vestito del suo pomposo abito paonazzo, che si affaticava a gesticolarci un espressivo: Fermi! Eravamo al suo villaggio, ed intendeva onorarci della sua ospitalità. Si mostrava così espansivo e sincero che non volemmo procurargli il dispiacere di proseguire come ne avevamo voglia; e l’Itala, con una bella evoluzione, andò a fermarsi nel recinto del campo dei nomadi. Un mo-


Nel deserto di Gobi. — L’alt ad un pozzo.



mento dopo sedevamo in giro all’interno della yurta più bella, la yurta del capo.


Ardeva il fuoco nel mezzo, e il fumo acre e leggermente muschiato sfuggiva per l’apertura centrale della cupola. Un bel vecchio, il padre dei nostro amico, c’intratteneva cerimoniosamente con una pontificale solennità di gesti, ed una vecchia, la madre, deponeva con rispetto avanti a noi vassoi pieni di formaggio, coppe di latte acido e di panna, tazze di thè fumante, e bicchieri colmi di un liquore chiaro e dolce fatto con latte fermentato. I bicchieri, di provenienza europea, erano stati presi con gelosa cura dal vecchio in un piccolo mobile cinese del quale egli aveva