Al Polo Nord/18. Una nave speronata: differenze tra le versioni

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Più tardi, Jones, Middleton ed altri inglesi ne esplorarono le coste constatando il contrario, senza però osare inoltrarsi verso l'ovest, finché Ross e Parry riuscivano a scoprire gli stretti del Principe Reggente e di Lancaster.
 
Quando il ''Taimyr'', abbandonate le coste dell'isola Bylot si inoltrò nelle acque della baia, si trovò subito dinanzi ad enormi ice-bergs che navigavano verso occidente, scendendo dal canale di Smith.
Ve n'erano di tutte le dimensioni e di tutte le forme ed alcuni dovevano pesare parecchie migliaia di tonnellate. Alcuni erano aguzzi ed in forma di piramide; altri sembravano dadi giganteschi ed altri ancora veri castelli galleggianti irti di punte, di guglie, di strane torri semidiroccate, di bastioni capricciosamente merlati o di cupole bizzarre e di arcate d'una arditezza ammirabile.
 
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Di tratto in tratto qualche torre, o qualche guglia o qualche bastione si sfasciavano con grande fracasso, con vere detonazioni, le quali si propagavano indefinitamente fra quei colossi; oppure qualche montagna, perduto l'equilibrio in causa delle acque che erano meno fredde dell'aria e che ne rodevano le basi, strapiombava bruscamente, sollevando delle ondate enormi, le quali facevano oscillare gli altri colossi, causando altre cadute.
 
L'ingegnere, avvertito dal timoniere della presenza di quelle barriere polari, erasi affrettato a salire sulla piattaforma in compagnia di Orloff e le esaminava attentamente col cannocchiale, onde cercare un passaggio abbastanza vasto da lasciare il passo al ''Taimyr'', senza che questi potesse correre il pericolo di venire schiacciato o guastato.
 
— Ebbene, signor Nikirka — chiese il secondo, dopo alcuni minuti. — Credete che sia giunto il momento?...
 
— Non ancora — rispose l'ingegnere. — Dietro a queste barriere noi troveremo ancora il mare libero, poiché verso il nord non iscorgo l'''ice-blink''.
 
— Credete che i grandi campi di ghiaccio siano ancora lontani?...
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— Andiamo all'est, adunque.
 
Dopo quel breve colloquio da cui Mac-Doil, che stava sempre all'erta, non aveva potuto ricavare alcuna notizia sulla rotta misteriosa del battello, i due comandanti scesero ed il ''Taimyr'' riprese la sua corsa, cacciandosi audacemente in mezzo agli icebergs''ice-bergs''.
 
La sua corsa a fior d'acqua fu però di breve durata poiché le montagne di ghiaccio crescevano di numero e crollavano così frequentemente da rendere pericolosissimo il passaggio fra di loro. Per di più i canali che esistevano fra quei colossi erano ingombri di ghiacci minori, i quali tuttavia avevano tale spessore da mettere a dura prova lo sperone del battello.
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L'ingegnere non volendo rallentare la velocità o perdere tempo nella ricerca d'altri passaggi, fece chiudere il boccaporto e diede il comando di scendere a quattrocentocinquanta metri per passare sotto quegli ostacoli.
 
Il ''Taimyr'' potè quindi proseguire liberamente la sua corsa verso le coste occidentali della Groenlandia, malgrado quelle montagne di ghiaccio che avrebbero impedito l'avanzarsi di qualsiasi nave.
 
Mac-Doil e SandoèSandoë si erano messi agli sportelli in compagnia di Kalutunak, sperando di vedere dei pesci, ma l'Oceano Artico, almeno in quelle regioni, pareva molto scarso di abitanti. Erano sempre i soliti narvali, le solite foche, qualche banda di aringhe o di merluzzi. Poterono però osservare una balenottera franca nel momento in cui saliva verso la superficie per respirare o per cercare la sua zuppa di boete. Era lunga dodici o tredici metri, di colore nerastro a riflessi d'acciaio, col capo enorme, la coda conica terminante in una immensa pinna triangolare e le pinne pettorali lunghe almeno due metri.
Vedendo il battello, la balenottera si avvicinò fino a sfiorarlo colle sue pinne, credendo forse che fosse qualche compagna, e lo seguì per alcuni istanti battendo vigorosamente la coda, ma accortasi dell'errore s'affrettò ad innalzarsi, scomparendo agli sguardi attoniti dei due cacciatori e dell'esquimese.
 
Verso le quattro del meriggio, l'ingegnere, non scorgendo più nelle acque quei riflessi bianchi proiettati dai ghiacci e credendo di aver superata quella formidabile barriera dHcebergs, diede il comando di risalire a galla per rendersi conto della situazione e per accertarsi se il mare era libero.
 
Il ''Taimyr'' era già quasi giunto a fior d'acqua, senza rallentare la corsa, quando tutto d'un tratto, avvenne un urto così formidabile, che tutti gli uomini che lo montavano furono atterrati, mentre la mobilia si spostava o si rovesciava.
 
Le lastre d'acciaio del gigantesco fuso non cedettero, ma rintronarono con un fragore metallico assordante.
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— È scoppiata la macchina?...
 
— Fuggiamo! — gridò SandoéSandoë. — Forse stiamo per saltare!
 
Trascinando con loro l'esquimese che pareva istupidito, si precipitarono verso la scaletta, dove s'incontrarono coll'ingegnere e con Orloff che uscivano allora dalle cabine.
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— Dove andate? — chiese l'ingegnere, con voce affatto tranquilla.
 
— Fulmini! — rispose SandoéSandoë. — È scoppiata la macchina, signore.
 
— Con vostro permesso, la macchina funziona e continuerà per un bel po' ancora.
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— Sì, — rispose un macchinista, — ma le eliche girano senza agire.
 
— Ciò vuol dire che abbiamo dinanzi a noi una massa ben più enorme del ''Taimyr'' — disse l'ingegnere. — Cosa dite, signor Orloff?...
 
— Forse abbiamo speronata una nave? — chiese invece il secondo.
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— Macchina indietro e fate funzionare le eliche laterali in senso inverso — disse l'ingegnere, dopo qualche istante di riflessione. — Bisogna liberare lo sperone.
 
In quell'istante il ''Taimyr'' cominciò ad inclinarsi verso prora, mentre verso le ultime lastre che si congiungevano allo sperone, si udivano dei violenti scricchiolìi.
 
Orloff impallidì.
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Ciò detto si recò nella gabbia di prora seguito dal secondo, mentre gli scricchiolìi aumentavano ed il battello s'inclinava come se venisse costretto a scendere nei baratri dell'Oceano Artico da un peso enorme.
 
Ormai non vi era da ingannarsi. Il ''Taimyr'', nel salire alla superficie senza rallentare la sua velocità, era andato a speronare la carena d'un veliero, forse una nave baleniera; e questa ora, empiendosi d'acqua, lo trascinava a picco non avendo potuto le eliche liberare la prora che doveva essere entrata tutta nella stiva.
 
Giunti nella gabbia, i due comandanti guardarono dinanzi a loro ed a tre metri di distanza videro una massa enorme, nerastra, entro la quale era penetrato non solo lo sperone, ma un quarto del gigantesco fuso.
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L'ingegnere però non sembrava preoccuparsi di quella discesa involontaria.
 
— Bah! Riusciremo a liberarci — disse ad Orloff. — Quando giungeremo ad una certa profondità, il ''Taimyr'', spinto dallo sforzo delle acque che tendono a portarlo a galla, abbandonerà la funebre compagnia.
 
— Non si sarà guastato lo sperone?
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Nessuna scialuppa era stata scorta e nessun volto umano era stato veduto. Doveva quindi trattarsi d'una nave abbandonata e forse da molto tempo.
 
Il ''Taimyr'' l'aveva speronata sotto la poppa, in vicinanza del timone, un po' a tribordo, aprendole uno squarcio immenso e fracassandole completamente l'asta, in modo da spostare gli ultimi corbetti ed il fasciame.
Cinque minuti dopo la nave ed il suo speronatore scendevano proprio a picco, ma obliquamente.
 
Le quattro eliche continuavano a turbinare, senza però risultato, anzi non facevano altro che imprimere al battello ed alla nave delle scosse disordinate. A prora si udivano degli scricchiolìi violenti, continui, mentre la poppa, che veniva spinta in alto dallo sforzo delle acque tendenti a condurre a galla quel grande fuso vuoto, continuava a spostarsi.
 
Erano già discesi a quattrocento metri, quando il ''Taimyr'' si liberò bruscamente da quella carcassa che lo trascinava negli abissi, abbandonandola al suo triste destino.
 
Allora la nave, che continuava a scendere obliquamente attraverso gli strati acquei, apparve distintamente. Un fremito d'orrore percorse le membra dei due cacciatori e dei due comandanti.
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Il battello che veniva trasportato a galla allontanandosi dalla nave affondante, arrestò la sua ascensione e poco dopo tornava ad inabissarsi, descrivendo una grande curva.
 
La nave baleniera, che a poco a poco spariva, in pochi istanti fu raggiunta ed il ''Taimyr'' descrisse attorno ad essa un cerchio, fugando i feroci delfini gladiatori che si erano già gettati sui cadaveri.
 
Passando sotto la poppa, delle lettere bianche, ancora ben distinte, apparvero sopra il quadro, lungo il coronamento.
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— Riposate in pace — mormorò Mac-Doil.
 
Il ''Taimyr'' riprendeva la salita verso la superficie. La nave, che aveva ormai raggiunti i fondi tenebrosi, non si distingueva che come una massa confusa. Continuava a scendere obliquamente, con una ondulazione marcata, lasciandosi indietro qualche cadavere che l'acqua, essendo meno fredda, faceva staccare dalla coperta, sciogliendo il ghiaccio che ve lo teneva aderente.
 
A poco a poco la grande massa scomparve negli strati inferiori, mentre il ''Taimyr'' s'innalzava frettolosamente, come se avesse paura di venire attirato nei tenebrosi abissi dell'Oceano Artico.
 
Quando Mac-Doil udì la prora balzare sull'acqua e vide un raggio di sole scendere dalla gabbia della lampada elettrica, emise un sospirone, mentre l'ingegnere ed Orloff si guardavano a lungo.