Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871)/Rassegna bibliografica/Cronache della città di Fermo: differenze tra le versioni

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Cesare Paoli

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Rassegna bibliografica - Sixte-Quint Rassegna bibliografica


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Cronache della città di Fermo. Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana. 1870; un vol. in 4to di pag. XI-607. - È il IV Vol. dei Documenti di Storia Italiana pubblicati a cura della R. Deputazione i Storia Patria per le provincie di Toscana, dell’Umbria e delle Marche


Gli studi storici in Italia aveano preceduto ed accompagnato le riforme politiche e civili nel secolo scorso, e preannunciarono il rinnovamento italiano in questo secolo. Liberata la patria, gli studi della storia di essa, prima disgregati, si ripigliarono con ordine maggiore, e se non progredirono come s’attendeva, fu pe’ grandi sacrifici che dovette costare l’unificazione politica e civile, e la restaurazione industriale e commerciale dell’Italia. Lo spirito d’associazione fattore principale delle forze economiche attuali, ravvivò pure gli studi i cultori di tali discipline in parecchie Deputazioni protette dallo Stato. Delle quali massima apparve quella per la regione sarda e lombarda che già pubblicò XII volumi in foglio di Historiae Patriae Monumenta, e nove volumi ponderosi in ottavo grande di Miscellanea di Storia Italiana. Nel settimo de’ quali il Ceruti, bibliotecario dell’Ambrosiana pubblicò del Domenicano Salvano Fiamma da Milano contemporaneo di Dante il Chronicon extravagans ed il Chronicon maius, ambi di molto interesse.

La Toscana non avea la libertà politica nell’unificazione a far prosperare gli studi delle storie italiane, che già sino dal 1842, per opera del compianto G. P. Vieussex, pubblicava prima Monumenti ed Appendici, indi dal 1855 [p. 129 modifica]quattro volumi all’anno del giornale, Archivio Storico Italiano, il quale, costituito il regno d’Italia e morto il Vieusseux, diventò organo della Deputazione sugli studi di storia patria per le provincie di Toscana, dell’Umbria e delle Marche, e venne da quella continuato. Questa Deputazione, fuori del campo dell’Archivio, e coi tipi di quello, pubblicò a cura del diligentissimo Cesare Guasti due volumi delle Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, testè pubblicò in unico volume in foglio di 607 pagine le Cronache della città di Fermo con annotazioni ed illustrazioni e per cura di Gaetano De Minicis vice Presidente di quella Deputazione, e chiaro per lunghi ed amorosi studi sulle storie fermane e picene e per raccolta di monumenti e documenti, di Marco Tabarrini Segretario della Deputazione e benemerito Consultore dell’Archivio, e di Cesare Trevisani.

Fra le città antiche d’Italia Fermo e Siena serbarono più puro il tipo genuino di colonie romane, sorte saldamente e fieramente in mezzo a popolazioni mordenti il freno e minacciose, e prosperate per agricoltura e per industria. Siena al segno della lupa coi gemelli, Fermo a quello dell’aquila delle legioni, serbarono vive sempre le tradizioni romane, ed ebbero storia armonizzante colle loro origini. Siena dal facile e grazioso idioma, seppe non solo fare, ma anche raccontare le storie sue in parecchie cronache e scritture note; ma Fermo lontana dal moto del rinnovamento delle lettere, e solinga intorno al suo eccelso Girifalco fu meno loquace. Ebbe bensì alcune cronache, ma non divulgate nè molto diffuse, laonde la storia d’una città tanto ragguardevole sotto ogni rispetto rimaneva nel mistero delle nebbie. Fece quindi opera molto desiderata la Deputazione per la storia patria, pubblicando in questo volume tutte le cronache, ed anche un codice diplomatico fermano che le completa e le illustra.

La storia ecclesiastica fermana si potè conoscere nel lavoro dell’Ughelli e nell’opera de Firmana Ecclesia del canonico Michele Catalani morto nel 1805; le origini di Fermo vennero illustrate da’ esso Catalani, dal Collucci nella grande opera sui Piceni, e dal De Minicis; ma della storia politica e civile di Fermo nel medio evo e ne’ tempi moderni, nessuna notizia si poteva trovare fuori degli archivi di quella città. [p. 130 modifica]L'avvocato Giuseppe Fracassetti nel 1841 in Fermo pubblicò l’opuscolo Notizie storiche della città di Fermo nel quale sommariamente comunica i fatti appurati più salienti della storia politica. Ivi lagnasi a ragione che nessuno abbia fatto conoscere al Muratori la Cronaca latina di Fermo del notaio Antonio di Niccola, la quale dal 1176 viene sino al 1447, e che fu continuata sino al 1502 da Luca Costantini. Di quella Cronaca erano parecchie copie, ed una migliore nella raccolta del De Minicis servì, a lui specialmente, nella edizione che accennammo.

La Deputazione pubblica in questo volume non solo la Cronaca di Antonio di Niccolò, ma la continuazione di Luca Costantini, e Cronache di Giampaolo Montani dal 1445 al 1557, ed Annali di Fermo più diffusi dal 1415 al 1557.

Nei secoli XIII e XIV le democrazie europee, ma specialmente le italiane, trassero potente aiuto dagli ordini loro figli de’ Francescani e de’ Domenicani, che diventarono gli economi, gli esattori, i tesorieri, ed anche gli archivisti di molti nostri Comuni. Se ad Ascoli Piceno ai Francescani era affidata la custodia degli Statuti, Fermo depositò presso i Domenicani i suoi archivi che prima stavano negli stipi dei Priori o degli Anziani. Que’ frati li custodirono gelosamente in un sotterraneo della cappella di S. Domenico, dove scamparono bensì ad incendi e a devastazioni, ma dove anche patirono per umidità ed aria stagnante. Per tale nascondiglio Fermo potè serbare il tesoro di 1665 carte dal secolo X al XV. Le quali vennero primamente ordinate da Michele Hubart, segretario del Comune nel 1624 con indice e sommarii, indice topografico, che dall’arcidiacono Giuseppe Nicola Eroni venne anche ridotto cronologico. Nel 1794, fuggendo alla rivoluzione il canonico Giuseppe Antonio Vogel da Basilea riparò a Fermo, ed a temperare l’amarezza dell’esilio si pose a fare transunti delle carte fermane in due volumi che, caduti in proprietà di Achille Gennarelli, vennero testé acquistati dalla Deputazione per li studi di storia patria. Nel settembre del 1859 da quelle carte fermane il Betmann trasse trentatrè diplomi imperiali pei Monumenta Germaniae Historiae.

Il Tabarrini, colla sagacia che lo distingue, dal Sommario del Vogel riscontrato cogli anteriori, trasse grosso manipolo [p. 131 modifica]di Regesta Firmana, dal 907 all’anno 1300 in 627 sommari od estratti, ai quali aggiunse ventiquattro documenti interi dal 1177 al 1385, cavato da altri copioni diligenti e da una storia inedita della famiglia Zen che da Venezia erasi trapiantata a Fermo. Così per questi benemeriti si compose e divulgò un tesoro di storie fermane, dal quale poi, col sussidio degli studi topici, storici, artistici, naturali, economici, statistici, etnografici, linguistici, alcuno informato allo spirito della storia de’ tempi nostri, potrà trarre la storia popolare di Fermo dalle origini a noi. E Fermo, sì generosa sempre per le cose pubbliche, non ristarà dall’incoraggiare tale lavoro.

È molto notevole la Cronaca di Antonio di Niccolò perchè redatta per anni e giorni senza pompa oratoria, ha fisonomia di verità limpida, e ricorda fatti altrimenti non reperibili. Per essa sappiamo che Atri nel 1291 fa presa e distrutta interamente (ad nichilum reduxerunt) dai Saraceni. Vediamo come nel 1310 il popolo di Fermo, d’accordo coi Francescani, uccise il tiranno, Mercenario di Monte Verde, ed al grido di viva il popolo e morte alle gabelle, pace e morte ai tiranni, espulse i contadini. Onde s’argomenta che i feudatarii esterni s’allearono coi villani contro la democrazia cittadina, onde esercitare il dispotismo, e questa opposizione de’ villici ai cittadini vediamo tuttavia alimentata in Francia, ed ora in Italia per opera di poteri dispotici ecclesiastici. Ma i Monte Verdi nel 1370 ripigliarono la tirannia dalla città, temperata colla nomina di nove capitani del popolo, un sindaco ed un gonfaloniere della giustizia. Ma anche quella tirannia parve insopportabile tanto che il popolo, vinti e presi Rinaldo e tutta la di lui famiglia a Monte Falcone, li giustiziò con una crudeltà da medio evo. Perchè essendo tutto il popolo vestito a nuovo, con varii colori per ognuno de’ sestieri, o per ognuna delle sei porte della città, vennero condotti su asini volti verso la coda e con corona di spine sul capo, nella piazza di San Martino, ed in mezzo ai tripudi decapitati, e sotto i loro capi infissi si pose lapide colla scritta:

Tiranno fui pessimo e crudele
Sol per mai far di me e di Luchina (la moglie)
Cari miei figli patiste disciplina.

[p. 132 modifica]I miseri Ebrei, tollerati perchè spesso soccorrevano di denaro i potenti, quasi sempre ai verde, pure in Fermo erano esposti agli impeti dei popolani, ed anche, ove rapacità consigliava, de’ nobili. Nel 1396 i nobili esterni, fatto impeto in Fermo al grido viva lo popolo e la gente ghibellina inceperunt derubare et mittere ad saccum totam Judeam, idest omnes iudeos. Da questa Cronaca si raccoglie, che nel 1107 il partito di Lodovico di Baviera col marchese papale contro Ladislao, fornito dai Della Rocca, ghibellini d’Ascoli Piceno, entro in quella città, e che certo Macchiato con altri Fermani andava spargendo per Ascoli sale, miglio e lupini, pare a segno di città deserta, perchè molti ne erano fuggiti. Le rivalità tra Ascoli e Fermo rimontanti alla guerra sociale, apparivano forti frequentemente. È curioso il fatto d’un frate Antonio che, nel 1412, tratti seco venti fanatici tra uomini e donne, e fattili spogliare nudi al fiume Tenna, e battezzatili, con loro, nudo affatto lui, e nudi affatto tutti, giunse in piazza S. Martino a Fermo, dove vennero poi carcerati per ordine del vicario del vescovo.

Con molto amore il cronista descrive gli sforzi de’ Fermani per liberarsi dalla tirannide degli Sforzeschi, e come nel 1440 cedettero il Girifalco, come fu poi diroccato, e come il partito popolare per afforzarsi si conciliò coi vicini, e fece la pace anche cogli Ascolani contra tirannicam pravitatem Sfortianorum et aliorum tyrannorum; come mediatore sia stato il benemerito domenicano Iacopo da Monte Prandone; come per questa pace vennero due giureconsulti con sei sindaci e circa quattrocento cittadini ascolani colle confraternite e con palme d’olivo. Entrati per porta S. Giuliano, e giunti nella piazza maggiore, ivi, dopo la predica dei frate Iacopo, cantando rime volgari si abbracciarono e baciarono Ascolani e Fermani, ed ogni famiglia di questi volle avere ospite alcuno di Ascoli. Quattro anni dopo ad Ascoli si pose sul ponte Solestano lapide commemorante la lega fatta tra Ascoli e Fermo. Il dotto De Minicis con 218 note viene illustrando e completando così questa Cronaca da fare quasi una storia compita per tutti gli anni che abbraccia.

Nei documenti fermani pubblicati in questo volume, rinvengonsi anche parecchie voci degne di considerazione. E [p. 133 modifica]specialmente queste, cassero, stile, pirone, carronaria o corbonaria. Anche nella Toscana e ad Ascoli s’incontra cassero per sommo castello già prima del secolo XIV. E pare derivato dal greco κασσωρεῖον solario, o luogo ove si poneano i meridiani. Certe picche romane si dicevano pile, e così a Brescia come a Fermo la via e la porta ove queste erano infisse, o forse dove era il deposito loro chiamossi Pile. Chi non sa quante volte i gironi si trovano nel poema di Dante? Erano cinte rotonde di luoghi come fortificati, e tolte dall’uso volgare in Toscana e nell’Italia centrale. Non si rinvengono nell’Italia settentrionale. Carronaria o carbonaria già nel secolo XI è una parte di fortilizio, e da altro documento ascolano pare che fosse una fossa.

In un atto del 1063 troviamo nominata presso Fermo o verso il mare, via Francesca, forse dal passaggio di Carlo Magno o d’altri re franchi, come quella d’egual nome che radeva il Piemonte lombardo. Quell’atto è donazione fatta secondo il diritto longobardo di una torre al Tronto al vescovo di Fermo da due nobili portanti nomi germanici. Vi si notano testimoni tutti con nome italiano e senza cognome. Da un privilegio di Federico I del 1161 al capitolo de’ canonici di Fermo si concede loro libertà di nominarsi il preposito e di fare il loro beneplacito nei loro castelli. La chiesa cattedrale di Fermo era dedicata a S. Maria Assunta, celebrata il 15 agosto, dieci giorni dopo il patrono di Ascoli. Dovette surrogare o Giunone o Venere nel Campidoglio fermano, ed i vassalli di Fermo, sino dal secolo XII si obbligavano a portarle i palii nella solennità.

Abbiamo spigolato qualche notizia tra le molte contenute nelle Cronache e negli atti pubblicati dalla R. Deputazione sugli studi di storia patria nel volume predetto, onde si vegga quanto materiale storico vi si contenga: ne abbiano lode i collettori ed illustratori, e stimolo i dotti Fermani a stillarne la storia popolare della patria.

G. Rosa.