Degli uffici (volgarizzamento anonimo): differenze tra le versioni
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Benchè, o Marco figliuolo, a te il quale già un anno hai udito Cratippo, e ciò in Atene, convenga abbondare di precetti e ammaestramenti di filosofia, per la somma autorità del dottore e della città; delle quali due cose
l una, cioè il dottore, te può accrescere di
scienza
nientedimeno come io
pre congiunsi le cose greche con le latine
e non solo in filosofia
citazione del dire
che debba esser fatto da te
pari nella facultà dell’una e l’altra orazione.
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prò. Ma nientedimeno tu leggerai le cose
nostre, non molto discordantisi da’ peripa-
tetici
cratici e platonici. Di essi fatti usa il giudicio
tuo; imperocché niente io t’impedisco: ma
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jVla io non voglio che questo sia stimato es-
sere stato detto arrogantemente. Imperocché
io
ti
tamente e con oi'dine e ornatamente
in quello studio io ho consumato l’età mia,
se quello a me io piglio
melo quasi di mia ragione.
Per Ja qual cosa molto
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- 3
io ti conforto
zioni mie studiosamente legga
questi libri di filosofìa
quasi si sono pareggiati. Imperocché mag-
gior forza è in quegli del dire *, ma ancora
questo modo di dire è da essere amato
quale è con equabilità
sto ancora io non veggo essere addivenuto
ad alcuno greco, che colui medesimo si affa-
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Demetrio Falereo non potesse essere in que-
sto numero, disputatore sottile, e oratore
poco veemente
do, che tu potresti conoscere ch’egli è di-
scepolo di Teofrasto. Ma noi quanto nell'uno
e 1’ altro modo abbiamo fatto prò
chinlo altri; l’uno e l’altro di certo abbiamo
seguitato. E per certo io stimo che se Pla-
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te, e con molta copia. E se Demostene avesse
tenute quelle cose, le quali egli aveva impa-
rato da Platone
ziare, egltT avrebbe potuto fare splendida-
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mente
io giudico di Aristotile e di Socrate: l’uno
e l'altro de'quali, dilettatosi del suo studio,
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Ma conciosiacosacchè io avessi deliberato
di scrivere a le, in questo tempo, qualcosa
di filosofia, e molte cose da quinci innanzi
io massimamente ho voluto cominciare da
quello, che all’età tua fosse attissimo, e alla
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molte cose sieno in filosofia e gravi, e utili,
e diligentemente da’ filosofi disputate, e con
abbondanza
festarsi quelle
date e insegnate degli uffici. Imperocché nes-
suna parte della vita, nè in fatti pubblici,
nè in privati, nè in quegli del foro, o di ca-
sa
tassi con altrui, può mancare
nell'amar quello è posta ogni onestà della
vita, e ogni bruttezza nello spregiarlo.
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E questa è comune quistione di tutti i
filosofi: imperocché chi è, il quale, quando
egli non ha alcuni precetti dell’ufficio
ardire chiamarsi filosofo ? Ma e’ sono alcune
discipline, le quali
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e de’ mali, rivoltano e abbattono ogni uf-
ficio. Imperocché chi ha ordinato il sommo
bene
la virtù
modi
egli consenta
dalla bontà della natura, è fatto che eg i
non può amare l’amicizia, nè la giustizia»
nè la liberalità. E chi giudica il dolore
essere sommo male
essere forte; uè temperato può essere chi fa
che la voluttà è il sommo bene.
Le quali cose
ste, ch’esse non abbino bisogno di dispu-
ta; nientedimeno in un altro luogo da noi
sono state disputate. Queste discipline adun-
que
zienti
cio. Nè alcuni precetti possono essere dati
fermi, e stabili, e congiunti alla natura, se
non da coloro i quali dicono
nestà debba essere per sè medesima deside-
rata
virtù spezialmente e grandissimamente debba
essere per sè medesima desiderata. Adun-
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6
gli stoici e accademici e peripatetici
poiché la sentenza di Aristone e Pirrone
ed Erillo
abbattuta. I quali nientedimeno avrebbono
la ragion loro di disputare dell’ ufficio
eglino a vessi no lasciato qualche elezione delle
cose, acciocché si potesse andare all’inven-
zione dell'ufficio. Adunque in questo tempo,
e in questa quislione, noi spezialmente se-
guitiamo gli stoici
ma come noi vogliamo
con arbitrio e giudizio nostro, attigneremo
quanto ci parrà.
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CAPO I.
Dell' ufficio
Piaceci adunque
ha a essere dell’ ufficio
che cosa sia ufficio : la qual cosa io mi ma-
raviglio essere stata lasciata da Panezio.
Imperocché ogni ordinamento
qualche cosa è preso dalla ragione
procedere dalla diffinizione
tenda ciò che sia quello
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sputa. Ogni quistione dell’ufficio è doppia r
uno modo è il quale s' appartiene al line
de’ beni
cetti
sere confermo in tutte le parti. Del modo
di sopra questi sono gli esempi : se tutti
gli uffici sono perfetti o no
di loro è maggiore che l’altro
simili a queste. Ma quegli uffici de’ quali
si danno i precetti
tengano al fine de’beni
appariscono di cosi essere
ragguardano all’ ammaestramento della vita
comune
dobbiamo con dichiarazione disputare.
E ancora un altra divisione è degli uffi-
ci. Imperocché e' si chiama alcuno ufficio
mezzo
ficio io stimo che noi chiamiamo retto; il
quale i Greci chiamano catartoma
condo dirittura
chiamano comune. E questi uffici così dif-
fiuiscono
diffiniscono essere perfetto
è mezzo
possa essere data probabile ragione perchè
egli sia fatto.
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Della deliberazione in pigliare il consiglio.
Di tre parti adunque
pare
siglio. Imperocché gli uomini dubitano
quello che eglino hanno a fare sia onesto
o brutto : e questo cade nella deliberazio-
ne
mi sono tirati in contrarie sentenze. E an-
cora o essi cercano
commodità e giocondità della vita
facoltà delle cose, e alle copie, alle abbon-
danze
glino possouo giovare a sé e a' suoi : e se
quello fa utile, del quale eglino delibera-
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ragione dell’ utilità.
E il terzo modo del disputare è
quello che pare utile, pare che combatta con
quello eli’ è onesto. Imperocché conciosiaco-
sacchè T utilità paia a sé rapire
pel contrario paia da sé rimuovere
che l'Animo nel deliberare si divida
rechi sollecitudine dubbiosa del pensare.
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alcuna cosa ) due cose sono state lasciate.
Imperocché non solamente e’ si suole delibe-
rare
preposti due onesti
l’altro. E similmente, preposti due utili, si
suole dubitare se l’uno è più utile che l’al-
tro. E così quella ragione
stimò di essere di tre parti
sere distribuita in cinque. Primamente dun-
que si disputerà dell’ onesto
di
dipoi della comparazione tra loro.
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Da principio a ogni ragione d'animali è
stato attribuito dàlia natura
sé
cose, le quali paino di dovere nuocere-, e-
tutte quelle cose le quali sieno necessarie-
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Ma comune cosa è di tutti gli animali l’ ap-
petito della congiunzione
procreare
le quali sono state da loro procreate. Ma
tra l’ uomo e la bestia è singolarmente que-
sta differenza
quanto dal senso essa è mossa
presente
comoda
del futuro: ma l’uomo, perchè egli è par-
tecipe della ragione
le cose conseguenti
delle cose, e i progressi di quelle, e quasi
sa quelle cose le quali innanzi vadano, e
agguaglia le similitudini
senti aggiugne e annoda le future
mente vede il corso di tutta la vita
governo di quella egli apparecchia le cose
necessarie. Questa medesima natura colla
iorza della ragione concilia 1’ uomo all’uo-
mo
vita : e ingenera
cipuo amore in coloro
procreati
degli uomini vogliano essere insieme
se ricercarsi. E per queste cagioni tali ra-
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gunate si studiano trovare e acquistare quelle
cose, le quali sovvengono al vivere, e al
vestire
sè solo
tutti quegli altri
e debbino difendere. La quale cura desta
ancora gli animi
le cose.
E tra le prime cose nell’ uomo
pria cosa il cercare e T investigare il vero.
E così quando noi siamo voti di necessarie
cure e faccende, allora noi desideriamo ve-
dere qualche cosa
e stimiamo che la cognizione delle cose o
occulte o mirabili, sia necessaria al vivere
beatamente. Per la qual cosa s’intende
quello che è vero e semplice e puro
simo alla natura dell’ uomo.
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aggiunto un certo desiderio del principato;
che l’ animo bene informato dalla natura
non voglia ubbidire ad alcuno
\jhi insegna o ammaestra, o, per cagione
di suo utile, legittimamente comanda e con
giustizia. Della qual cosa è la grandezza del-
l' anima
Line 384 ⟶ 380:
Ma nè quella è piccola forza della na-
tura e della ragione
male conosce che cosa sia ordine
cosa sia quella la quale si confà ne' detti
e ne' fatti, e che è misura. E così nessuno
altro animale conosce la bellezza e la pu-
litezza di quelle cose
sciute per l’aspetlo, nè la convenienza delle
parti. La qual similitudine
ragione dagli occhi trasferendo allonimo,
molto più ancora stima dovere esser con-
servata la bellezza
dine ne’ consigli e ne’ fatti: e guardasi che
nessuna cosa esso faccia effeminatamente,
e con isconvenienza : e ancora che cosa non
faccia, o non pensi alcuna cosa libidinosa-
mente
opinioni. Per le quali cose si congrega e
fassi quell’ onesto
quale se non fosse nobilitato, nientedimeno
sarebbe onesto: e quello che in verità noi
diciamo
lodato
rebbe laudabile.
« i
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Belle quattro virtù
Line 426 ⟶ 422:
Tu, o Marco, ora vedi la forma di essa
onestà : la quale se cogli occhi fosse vedu-
ta
tone
onesta
tro parti: imperocché o esso onesto si ri-
volta nel ragguardamento del vero, e nella
sollecitudine di quello
compagnia umana
scuno il suo, e nella fede delle cose contrat-
tate 5 o nella grandezza e fortezza dell’ a-
nimo invitto ed eccelso
modo di tutte le cose
diconsi
peranza.
Le quali quattro cose
sieno avviluppate e collegate, nientedimeno
di ciascuna per sé nascono certe ragioni
di uffici. Come
prima fu descritta
mo la sapienza e la prudenza
dentro è il cercare e il trovare la verità :
Line 456 ⟶ 452:
Imperocché come ciascuno massimamente
conosce quello
rissimo
può e vedere e sviluppare la ragione
stui rettamente suol essere tenuto pruden-
tissimo e saviissimo. Per la qual cosa a co-
stei è suggetta la verità
quale essa tratti, e nella quale essa si ri-
volghi.
Ma alle altre tre
poste le necessità all’ acquistare e al difen-
dere quelle cose
il governo della vita
giunzione e la compagnia degli uomini sia
conservata; e l’eccellenza e grandezza del-
l’animo riluca
danze
a' suoi
Ma l’ ordine
zione
queste
quale debba essere dato un certo fare, e
non solamente il rivoltare la mente. Impe-
Line 484 ⟶ 480:
Line 490 ⟶ 486:
i5
tate nella vita
venienza e 1' onestà.
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De’ quattro luoghi, ne' quali noi abbiamo
diviso la natura e la forza dell’onesto
primo
ro
Imperocché tutti siamo tirati e siamo me-
nati alla cupidigia della cognizione e della
scienza
bella eccellere : ma trascorrere
essere ingannato
essere cosa trista e brutta. In questa ra-
gione naturale e onesta
essere schifati : l’ uno
mo le cose incognite per le conosciute
qual vizio chi lo vorrà fuggire ( ma tutti
debbono volere) aggiugnerà, al considerare
Line 523 ⟶ 519:
t6
Ma
di opera sarà posto nelle cose oneste e degne
di cognizione
lodato. Come in astrologia noi abbiamo o-
dito aver fatto Caio Sulpicio
metria conoscemmo fare Sesto Pompeo
molti in loica
quali arti tutte consistono nell' investigazio-
ni del vero; per lo studio del quale, ri-
muoversi dal fare le faccende
l'ufficio. Imperocché ogni loda di virtù con-
sista nel faccimeuto : dal quale nientedime-
no spesso si fa intermissione
tornate sono date agli studi. Ancora il com-
movimento della mente
si riposa
del pensare, ancora senza nostra opera. Ma
ogni pensiero e movimento di animo sarà
rivolto, o nel pigliare i consigli delle cose
oneste
mente vivere, o negli studi della cognizione
e della scienza. E già noi abbiamo detto,
Line 552 ⟶ 548:
Delle tre ragioni le quali restano, lar-
ghissimamente si manifesta quella
quale la compagnia degli uomini tra loro
e quasi la communione della vita
tiene. Della quale due parti sono: la giu-
stizia
simo della virtù
nati gli uomini buoni *, e a questa è con-
giunta la beneficenza
mente è lecito chiamare benignili, o vero
liberalità. Ma della giustizia è il primo do-
no
provocato da ingiuria
cose comuni per comuni, e le privale come
per sue.
Line 571 ⟶ 567:
zione, come addiviene a coloro, i quali per
lo passato entrarono nelle cose non posse-
dute
quali le hanno acquistate per battaglia
per legge j o per patto j o per condizione
Line 580 ⟶ 576:
o per sorte. Per la qual cosa è fatto che i
campi arpinati sieno detti degli Arpinali
tusculani de’Tusculani. £ simile è la divi-
sione delle possessioni private. Per la qual
cosa poicchè ciascuno possiede per suo di
quelle cose
comuni*, quello che ad alcuno tocca, quello
Line 590 ⟶ 586:
alcuno tenga. Per questo se alcuno a sé più
appetirà
mana compagnia.
Ma perchè
egregiamente
nati
buisce la patria
piace agli stoici
terre sono generate
gli uomini
gione degli uomini
l’uno faccia prò all'altro
biamo seguire la natura per guida
biamo recare in comune le utilità comuni
con permutazione di uffici
do
facultà
degli uomini tra loro.
Line 626 ⟶ 622:
Ma il fondamento della giustizia è la fede:
cioè la costanza e la verità di quello che noi
abbiamo detto
qual cosa
cuno duro
di seguitare gli stoici
cercano donde le parole sieuo dette : e cre-
deremo che la fede sia chiamata, perchè e’
si fa quello che è detto.
! ■ X : !\
CAPO Vili.
Line 641 ⟶ 637:
Ma due ragioni sono d'ingiustizia: l’una
di coloro i quali muovono l’ingiuria
di coloro, da’ quali non è rimossa l'ingiu-
ria, se da loro si può
fatta. Imperocché chi ingiustamente fa im-
peto contro ad alcuno
o da qualche perturbazione, costui par che
metta le mani addosso al compagno. Ma chi
Line 653 ⟶ 649:
30
non si difeude e non si oppone all’ ingiuria
se egli può, tanto è in vizio, quanto se egli
abbandonasse il padre e la madre
ci, ola patria.
Line 667 ⟶ 663:
fatte per cagione di nuocere, spesso proce-
dono da paura : quando colui il quale pensa
nuocere a altri
quello, esso non sia preso da qualche in-
comodità. Ma la grandissima parte sono as-
salili al fare l' ingiuria
quistino quelle cose, le quali eglino hanno
desiderate : nel qual vizio larghissimamente
Line 676 ⟶ 672:
Ma le ricchezze sono desiderate sì agli usi
necessari della vita
luttà. Ma in chi è maggiore animo, in co-
storo la cupidità delle pecunie ragguarda
alla potenza, e alla facultà del farsi grato.
Come
alcuua roba essere assai grande a colui, il
Line 693 ⟶ 689:
cipale, se de’ frutti di quella egli non po-
tesse nutricare 1' esercito. Dilettano ancora
i magnifici apparati
verno della vita con eleganzia e copia. Per
le quali cose è fatto, che la cupidigia delle
pecunie sia infinita. Ma l’amplificazione della
roba tua non debbe essere ripresa
essa non nuoce ad alcuno
sempre debbe essere fuggita.
Ma massimamente sono molti indotti
dalla dimenticanza della giustizia essi sono
presi
pidigia degli imperii, degli onori, e della
gloria. Imperocché quello che è appresso
a Ennio
santa
nifesta. Imperocché ciò che è in questo mo-
do
più uomini
tanta contesa
conservare la santa compagnia. Tal cosa è
stata dimostrata ora dalla temerità di Caio
Cesare
umane e divine, per acquistare quello prin-
cipato
Line 723 ⟶ 719:
a sé aveva finto convenirsi. Ma in questa
tal virtù è molesto
animi grandissimi, e negli splendidissimi in*
gegni
perio, della potenza, e della gloria : per
la qual cosa tanto più è da guardarsi, che
in lai cosa non si pecchi.
Ma in ogni ragione d' ingiustizia
si differenzia, se per qualche perturbazione
di animo ( la quale molle volte è breve e
a tempo) o se con consiglio sia fatta l’ingiu-
ria
giere sono quelle cose
con subito movimento
sono fatte innanzi pensate, e con prepara-
zione. E del muovere ingiuria assai già ne
Line 747 ⟶ 743:
Più sogliono essere le cagioni del lasciare
la difesa
nuto a difendere. Imperocché questi tali uo-
mini non vogliono ricevere nimicizie
Line 760 ⟶ 756:
a3
che
per pigrizia, o per dappocaggine, o perchè
essi non l’apprezzino: ovvero essi da certi
loro studi e occupazioni cosi sono impedi-
ti
sere difesi, gli abbandonano, e patiscono
che eglino sieno offesi. Adunque è da ve-
dere che non assai è quello che da Platone
fu detto contro i filosofi, che perchè eglino
si rivoltano nella investigazione del vero
e spregiano quelle cose le quali molti gran-
demente desiderano
loro combattono, per questo essi stimano
essere giusti. Imperocché conciosiacchè egli-
no conseguitino l’uno modo della giustizia,
che essi non nuocono ad alcuno
scano nell’ altra ingiuria : imperocché im-
pediti dallo studio dello imparare, eglino
Line 782 ⟶ 778:
debbano andare a governare la repubblica,
se non costretti: più giusta cosa era, che
eglino andassi no di loro volontà
ché quello è giusto il quale è fatto retta-
mente
Ma e sono ancora alcuni
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studio delle loro cose familiari
di alcuni uomini
faccende
fare ingiuria ad alcuno : i quali mancano
dell’uno modo dell’ ingiustizia
nell’altro. Imperocché essi abbandonano la
compagnia della vita
te eglino conferiscono di studio, niente di
opera
que, preposte due ragioni d'ingiustizia
abbiamo aggiunto le cagioni dell’ una e del-
l’altra 5 e innanzi noi ordinammo quelle co-
se
gevolmente noi potremo giudicare che tem-
po sia di ciascuno ufficio, se già noi molto
Line 811 ⟶ 807:
sciamo quelle cose, le quali a noi accaggiono
prospere o avverse, che quelle le quali ad-
divengono agli altri
mo
altrimenti noi giudicheremo di loro
dì noi. Per la qual cosa bene comandano
Line 831 ⟶ 827:
coloro, i quali 'vietano che tu faccia alcuna
cosa
ingiusta : imperocché T equità per sé me-
Line 838 ⟶ 834:
Ma spesse volte accaggiono tempi, quando
quelle cose le quali massimamente paiono
essere degne del giusto uomo
>1 quale noi chiamiamo uomo buono, sono
fatte contrarie: come è rendere il deposito
e fare la promessa. Le quali cose, perchè
esse si appartengono alla verità e alla fe-
de
si fa giusta cosa. Imperocché ei si confà
eh’ esse sieuo riferite a quelli fondamenti
della giustizia, i quali io posi nel princi-
pio : primamente eh’ ei non si nuoca ad al-
cuno
Quelle cose col tempo si mutano
1' ufficio
Line 870 ⟶ 866:
Come P ufficio si muta
il medesimo.
Line 890 ⟶ 886:
£ può ancora accadere che alcuna pro-
messa c convegna sia disutil cosa a essere fat-
ta
colui il quale ha promesso. Imperocché se
( com’è nelle favole ) Nettuno non avesse
Line 898 ⟶ 894:
ve, di tre desiderate dimande, questa era
la terza, che adirato, egli desiderò della
morte di Ippolito : la quale impetrata
cascò in grandissimi pianti.
Adunque quelle promesse non debbono
essere osservate
coloro a’ quali tu V hai promesse : nè an-
cora se a te esse più nuocono
fanno prò a colui
so. Contro all’ ufficio è, il maggior danno
essere anteposto al minore. Come se tu a-
vessi ordinato andare avvocato a un fatto
presente, e in questo mezzo il tuo figliuolo
avesse cominciato ammalare gravemente
non è contro all’ufficio non fare quello che
tu avevi ordinato. E più si partirebbe co-
Line 918 ⟶ 914:
Line 927 ⟶ 923:
non vede che in quelle promesse non si deb-
ba stare, le quali alcuno, costretto da pau-
ra
so? le quali, molle sono liberate per la ra-
gione del pretore
" C ^ ' ' «li iV(
Line 940 ⟶ 936:
certa calunnia, e per la troppa scaltrita e
maliziosa interpetrazione della ragione : on-
de
fatto proverbio già molto trito. Nel qual
modo ancora nella repubblica si fanno molti
peccati. Come colui, il quale quando le trie-
gue erano fatte per trenta di
notte i campi
rano fatte de’ dì, e non delle notti. E an*
cora non debbe essere lodato
ro
qualche altro (imperocché io non ho altro
che l’udito ) il quale, dato dal senato arbi-
tro a’ Nolani e a’ Napoletani de’ contini dei
loro campi
Line 959 ⟶ 955:
2$
nato
1' altra : e questo era
lessino o fare o appetire alcuna cosa cupi-
damente; e che piuttosto volessino andare
a dietro
loro ebbono fatto questo, come costui aveva
detto
terreno : e così egli terminò i confini di co-
storo
ch'era avanzalo in mezzo, giudicò che do-
vesse essere del popolo romano. Ma questo
Line 979 ⟶ 975:
Sono ancora certi uffici i quali debbono
essere osservati inverso coloro
avrai ricevuto T ingiuria. Imperocché e’ ci è
il modo del vendicare
so se egli è assai
giuriato
< sso da quinci innanzi non più faccia tal
cosa, e gli altri sieno all'ingiuria più tardi.
Line 999 ⟶ 995:
Imperocché conciosiacosacchè ei sieno due
ragioni di combattere, l’una per deputa-
zione
sacchè quella propriamente s’appartenga al-
l’ uomo
fuggire a questa di dopo, se non è lecito
usare quella di sopra.
Per la qual cosa le guerre debbono es-
sere prese per questa cagione
ingiuria si viva nella pace. Ma, acquistata
la vittoria, debbono essere conservati colo-
ro
ra
ancora nella città ricevettono i Tusculani,
gli Equi, i* Volsci
ma Cartagine e Numanzia mandarono a ter-
ra insino a’ fondamenti. Io non vorrei che
eglino avessino fatto così di Corinto : ma
io credo che alcuni considerarono all’ op-
portunità del luogo
non potesse qualche volta confortare a muo-
ver guerra. Ma a mio parere sempre si con-
siglierà alla pace
vere avere d’ inganno. Nella qual cosa se
Line 1 030 ⟶ 1 026:
a me fosse stalo obbedito, se noi non aves-
simo ottima repubblica, almeno noi l’avrem-
mo qualcuna
coloro ancora si debbe fare prò
'per forza tu hai vinto: e coloro debbono
essei’e ricevuti
fuggiranno alla fede degli imperadori; ben-
ché dall’ ariete sieno state percosse le loro
mura. Nella qual cosa tanto appresso agli
antichi nostri fu amata la giustizia
loro i quali nella fede avessino ricevute le
città e le nazioni
sino difensori di quelle, secondo il costu-
me degli antichi.
E l’equità della guerra santissimamente
è ordinata
romano. Dalla qual cosa può essere inteso,
che niuna guerra è giusta
che è fatta per le cose addimandate
innanzi essa sia stata denunziata
data. Pompilio imperadore teneva la provin-
cia
gliuolo di Catone, nuovo soldato. Ma con-
ciosiacosacchò a Pompilio paresse licenziare
Line 1 059 ⟶ 1 055:
perchè per voglia del combattere colui ri-
mase nell’ esercito
lio, che se pativa che colui rimanesse nel-
l’esercito, ch’egli l'obbligasse col secondo
Line 1 071 ⟶ 1 067:
ha udito come egli è stato licenziato dal con-
sole, conciosiacchèegli era soldato nella guer-
ra macedonica
ch’egli si guardi, che egli non pigli la zuf-
fa. Imperocché egli dice
gione, che colui il quale non sia soldato com-
batta col nimico.
Quello ancora io considero, che colui il
quale nel proprio nome era perduelle
chiamato oste
mitigante la tristizia del fatto. Imperocché
appresso agli antichi nostri, oste era chia-
malo colui
regrino. Questo dimostrano le dodici tavo-
le, ove era, il di ordinato coll'oste: e an-
cora
che può essere aggiunto a tanta mansuetudi-
ne
chiamato con si piacevole nome? benché l’an-
tichità già ha fatto questo nome duro. Impe-
rocché e’ s’ è partito dal peregrino, ed è ri-
masto propriamente in colui
tra ci arreca l’ arme.
Line 1 103 ⟶ 1 099:
Ma quando e’ si combatte dell’imperio, e
per guerra è cercala la gloria
tedimeno che vi sieno le cagioni delle guer-
re, e quelle giuste 5 come poco innanzi io
Line 1 113 ⟶ 1 109:
altrimenti se egli addimanda il medesimo che
noi: coll’uno è il combattimento dell’onore
e della dignità
fama. Co’ Celtiberi e Cimbri si faceva la
Line 1 128 ⟶ 1 124:
e Sanniti, con gli Affricani, con Pirro si
combatteva dell'imperio. Gli Affricani fu-
rono rompitori di fede -
le
è quella bella sentenza del rendere i prigio-
ni : A me io non addomando oro
non darete prezzo. Noi non facciamo merca-
tanzia della guerra
tenti. Col ferro e non con oro combattiamo
Cuna parte e l' altra. Proviamo colla virtù
chi la fortuna padrona vuole che signoreg-
gi
Alla virtù di chi la fortuna della guerra ha
perdonato
cosa perdonare. Toglietevegli in dono
vegli f, volenti i grandi Iddii. Questa sentenza
per certo fu di re
discesi di Eaco.
Line 1 149 ⟶ 1 145:
in quello debbe essere conservata la fade.
Come nella prima guerra affricana, Regolo
preso da’ Cartaginesi
mandato a Roma per barattare i prigioni
Line 1 156 ⟶ 1 152:
34
aveva giurato di tornare
va. Primamente come egli venne nel senato
giudicò che i prigioni non si dovcssino ren-
dere
nuto da'suoi
più tosto volle tornare al tormento
lire la fede data al nimico. E degli uffici della
guerra assai già si è detto.
Line 1 172 ⟶ 1 168:
inverso gl’ infimi debbe essere osservata. Ma
la condizione e fortuna de' servi è infima.
I quali servi
ch’eglino sieno usati come mercenai al ri-
scuotere l’opéra
giuste
cosacchè in due modi si faccia l’ingiuria
colla fraude e colla violenza
quasi proprietà della volpe
del lione : l’una e l’altra è alienissima dal-
l’ uomo
odio. Ma d’ ogni ingiustizia nessuna è più
Line 1 191 ⟶ 1 187:
35
capitale
massimamente ingannano, quello fanno che
essi paiono essere buoni. Assai si è detto della
Line 1 202 ⟶ 1 198:
Della Liberalità.
• *
Di quinci, come si era proposto, dicasi
della beneficenza e liberalità
niente è alla natura dell’uomo più accomo-
dato. Ma essa ha molte cautele. Imperocché
prima si debba vedere che la benignità non
nuoca
vere essere fatto benignamente, e agli altri:
dipoi che la benignità non sia maggiore che
la facultà : la terza è che a ciascuno si dia se-
condo la dignità. Imperocché questo è il fon-
damento della giustizia
essere riferite tutte queste cose. Imperocché
coloro i quaii nel gratificare nuocono a chi
eglino mostrano volere fare prò
bono essere chiamati beneficatori e liberali,
ma dannosi assentatori : e coloro i quali
nuocono agli altri
essi sieno liberali
Line 1 228 ⟶ 1 224:
36
giustizia
vertissino nella sua. Ma e sono molti cupidi
dello splendore e della gloria
a altri quello che a altri essi donino. A co-
storo pare essere beneficatori degli amici, se
Line 1 237 ⟶ 1 233:
che all' ufficio niente possa essere più contra-
rio. Vuoisi adunque vedere che noi usiamo
quella liberalità
mici
il trasferimento di Lucio Siila e di Caio Ce-
sare delle pecunie
alieni
ché niente è liberale
non sia giusto.
Line 1 249 ⟶ 1 245:
Delle cause della seconda cautela.
L’ altra cautela era
fosse maggiore che le facultà. Perchè coloro
i quali vogliono essere più benigni che non
patisce il fatto loro
peccano
Line 1 262 ⟶ 1 258:
Imperocché costoro trasferiscono alle genti
aliene quella roba
mente doveva essere in aiuto
ta a quegli prossimi. Ma in tale liberalità
molte volte è la cupidigia del rapire e dello
involare
al donare. Ma egli è lecito che noi veggiamo
molti, i quali non tanto per natura liberali,
quanto indotti da una certa gloria
essi paiano benefìcatori
le quali paiono più venire da ostentazione
che da volontà. Ma tale simulazione è più
congiunta alla vanità
onestà.
Line 1 284 ⟶ 1 280:
Nella qual cosa i costumi di colui saranno
considerati, nel quale sia conferito il bene-
fìcio
cora sarà considerata la comunione, e la
compagnia della vita con noi
innanzi fatti inverso noi. Le quali cose, se
Line 1 294 ⟶ 1 290:
38
tutte concorreranno
se non
più di peso.
Ma e perchè si vive cogli uomini non per-
fetti e pienamente savi
quali si fa qualche cosa egregiamente
pure che ivi sono l’effìgie della virtù
sto ancora io stimo che debba essere inteso,
che uessuno di coloro debba essere spregia-
to
zione di virtù
ornato di queste virtù leggiere, cioè della
modestia
desima giustizia, della quale già sono state
dette molte cose. Imperocché l’animo forte
Line 1 318 ⟶ 1 314:
Line 1 337 ⟶ 1 333:
Ma della benevolenza la quale alcuno ab-
bia inverso noi
cio, che a colui molto noi diamo, dal quale
molto noi siamo amati. Ma la benevolenza
noi giudicheremo npn come i giovanetti
con un certo ardore di amore
sto con stabilità e costanza. Ma se i meriti
vi saranno
renduta e non presa
essere aggiunta: perocché nessuno ufficio è
più necessario, che rendere la grazia. Chè
se
possa ) rendere con maggiore misura quelle
cose
or che dobbiamo noi fare
mo provocati del beneficio ? Or dobbiamo
noi fare come fanno i grassi campi
molto più rendono eh' essi non hanno ri-
cevuto? Imperocché se noi non dubitiamo
fare i beneficii inverso coloro
Line 1 361 ⟶ 1 357:
4o
speriamo doverci far prò
mo noi essere inverso coloro, i quali già a
noi hanno fatto prò ? Imperocché concio-
siacosaccbè due sieno le ragioni della libe-
ralità
del renderlo
stra potestà
lecito al buon uomo
possa fare senza ingiuria.
Line 1 380 ⟶ 1 376:
£ de’ beneficii ricevuti debbe essere fatta
6celta : e non è dubbio che a ciascuno gran-
dissimo
tenuti. Nella qual cosa nientedimeno, pri-
mamente debbe essere pensato con che ani-
Line 1 386 ⟶ 1 382:
avrà fatto quel beneficio inverso noi. Im-
perocché molti fanno molte cose senza con-
siderazione
no
mo, e quasi dal vento. I quali beneficii non
Line 1 398 ⟶ 1 394:
4 1
debbono essere stimati egualmente grandi
come quegli i quali sono fatti costantemen-
te
i benefici!
le altre cose saranno pari
mente s 1 appartiene all’ ufficio
alcuno avrà specialmente bisogno di aiuto,
così a lui spezialmente noi aiutiamo. La qual
cosa pel contrario è fatta da molti : impe-
rocché da chi eglino molto sperano
se colui non ha bisogno di loro, nientedi-
meno a lui molto essi servono.
Line 1 417 ⟶ 1 413:
Ma ottimamente sarà conservata la con-
giunzione e compagnia umana
enilo sarà congiuntissimo
tissima benignità sarà conferita. Ma che
principii della natura sieno della comuni-
Line 1 428 ⟶ 1 424:
la compagnia di tutta la generazione uma-
na
il parlare: la qual cosa insegnando, impa-
rando
cando, concilia gli uomini tra loro, e con-
giugneli con una naturale compagnia. Nè
per alcuna cosa noi più da lungi ci disco-
stiamo dalla natura delle fiere
noi diciamo spesso eh’ è la fortezza; come
ne’ cavalli e ne'lioni : ma la giustizia
quità, la bontà noi non diciamo essere in
loro
e il parlare.
Line 1 444 ⟶ 1 440:
uomini j e a tutti tra tutti si manifesta que-
sta compagnia: nella quale debbe essere os-
servata la comunità di tutte quelle cose
le quali la natura ha generate al comune
uso degli uomini: come quelle cose, le quali
Line 1 451 ⟶ 1 447:
com’è stato ordinato. Per le quali cose le
altre cose sieno osservate, com’è nel pro-
verbio de’ greci
tutte comuni : imperocché tutte quelle cose
paiono essere comuni, le quali sono di quel-
Line 1 459 ⟶ 1 455:
43
la ragione
cosa
l'uomo il quale mostra al compagno errante
la via
fa che niente meno a lui riluca
colui egli l'abbia acceso. Imperocché
una cosa
senza danno può essere accomodato
sia attribuito ancora a uno
non conosciamo. Donde sono quelle cose
comuni : non vietare l’acqua corrente
tire ch’ei si pigli il fuoco dal fuoco
il consiglio fedele
farà di qualcosa a te la dimanda : le quali
cose sono utili a coloro i quali le ricevono,
e non moleste a chi le dà. Per la qualcosa
queste cose debbono essere usate da noi
e sempre debbe essere arrecata qualche cosa
all’utilità comune. Ma perchè le abbondanze
degli uomini in particolarità sono piccole,
e la moltitudine è infinita di coloro i quali
ne abbisognano
essere riferita a quel fine di Ennio
nientedimeno a se riluca : acciocché e' sia
facoltà, per la quale noi siamo liberali in-
Line 1 502 ⟶ 1 498:
più. Imperocché, acciocché noi ci partiamo
da quella infinita, più pressa compagnia è
quella della medesima gente, e uazione
e lingua
uomini si congiungono. Più a dentro è
a essere della medesima città: imperocché
molte cose sono a' cittadini tra loro co-
muni
le vie, le leggi, le ragioni, i giudici)*, il
ragunarsi a consigliare; le usanze, oltre a
questo, e le familiarità
gioni contratte con molti. Ma più stretta
collegazione della compagnia è de 1 propin-
qui : imperocché da quella smisurata com-
pagnia della generazione umana
de in una piccola e stretta.
Imperocché conciosiacosacchè questo sia
comune della natura degli animali
essi abbiano la libidine del procreare
prima compagnia è in esso matrimonio; la
Line 1 534 ⟶ 1 530:
45
prossima è ne’figliuoli
e tutte le cose comuni : e questo è il prin-
cipio della città, e quasi il semenzaio del-
Line 1 542 ⟶ 1 538:
capere in una casa, escono in altre case,
come in colonie. Seguitano di quinci i ma-
ritamenli e parentadi
più propinqui
schiatta è origine delle repubbliche.
Line 1 550 ⟶ 1 546:
ché egli è grande cosa avere le medesime
cose fatte per commemorazione degli an-
tichi
sepolcri comuni. Ma di tutte le compa-
gnie nessuna è più eccellente
più ferma
simili di costumi
liarità. Imperocché quell’ onesto
spesso noi diciamo, noi muove, benché in
altri noi lo ragguardiamo
a colui, nel quale pare che sia quell’ one-
sto. E benché ogni virtù noi alletti
cia che noi amiamo coloro ne’ quali essa
Line 1 566 ⟶ 1 562:
46
mostri essere
la liberalità fa quello massimamente.
Ma niente è più amabile nè più accop-
piato che la similitudine de’buoni costumi:
imperocché in chi sono i medesimi studi
e le medesime volontà
l'uno egualmente si diletti dell'altro, come
di sè medesimo. E fessi quello che vuole
Pitagora nell'amicizia
più. Grande è ancora quella comunità la
quale è fatta pe'beneGcii di qui e di lì dati
e ricevuti
bievoli e grati
sono legati con ferma compagnia.
Ma quando tu avrai attornialo tutte le
cose con l'animo e con la ragione
di tutte le società è più grata
cara
e ciascuno di noi. Cari sono i padri e le
madri
e familiari
ciato tutte le carità di tutte le cose : per
la quale ciascuno uomo non dubita mori-
re
la qual cosa più è da essere maledetta la
crudeltà di costoro
Line 1 602 ⟶ 1 598:
leralezza hanno lacerato la patria; e in gua-
stare quella insino al fondo
occupati.
CAPO XXIII.
Line 1 614 ⟶ 1 610:
a’beneficii de’quali grandissimi, noi siamo
obbligati: i prossimi sieno i tìgliuoli, e tut-
ta la famiglia
soli, e non può avere altro rifugio: dipoi
i propinqui bene d’ accordo con noi
quali spesso la fortuna ancora è comune. Per
la qual cosa i necessari aiuti della vita deb-
Line 1 622 ⟶ 1 618:
quali io lio nominati. La vita comune, e il
vivere, ei consigli, sermoni, conforti, con-
solazioni
ni
cizie. E quella è giocondissima amicizia
quale similitudine di costumi ha congiunto.
Line 1 634 ⟶ 1 630:
dovrà vedere quello che a ciascuno spezial-
mente sia di bisogno
no
conseguitare. Cosi i gradi delle congiunzioni
non saranno i medesimi di quegli de’tem-
pi : e sono uffici i quali sono dovuti più a
uno che a un altro
sto il vicino, che il fratello o il familiare,
nel raccorre i frutti. Ma se sarà lite nel giu-
dicio, difenderai più tosto il propinquo e
1 ’ amico
adunque debbono essere conosciute in ogni
ufficio -, e debb’essere presa l’usanza e l’eser-
citazione
bene ragione degli uffici 5 e aggiugnendo e
rimovendo
di quello che resta
derai quanto a ciascuno tu sia tenuto.
* Ma come i medici, e gl’ imperadori
gli oratori
i precetti dell’arte
tare alcuna cosa degna di grande laude
senza uso ed esercitazione
i precetti del conservare 1’ ufficio 5 cioè
che noi medesimi facciamo quegli. E come
l'onesto del quale è fatto l'ufficio sia menato
Line 1 667 ⟶ 1 663:
fla quelle cose
della compagnia umana, assai quasi ne ab-
biamo detto.
Line 1 675 ⟶ 1 671:
t
Bel terzo fonte dell' onesto
cioè della fortezza.
Ma conciosiacosaccbè noi abbiamo propo-
sto
delle quali venga l'onestà e l’ ufficio j noi
dobbiamo intendere che quella generazione
Line 1 685 ⟶ 1 681:
mo grande e alto, e spregiante le cose uma-
ne. Adunque nelle vituperazioni assai è ma-
nifesto
detta : voi
mina
cuna cosa ancora tale si può dire : dà le
spoglie a'Salmaci
per l’avverso nella lode si pongono quelle
cose
de e forte, ed eccellentemente: e quelle cose
non so in che modo noi le lodiamo colla
piena bocca. Di quinci è il campo de' ret-
toria de’ fatti di Maratona
3
Line 1 709 ⟶ 1 705:
di Platea, di Termopili * diLeutri; di quinci
è lodato il nostro Coelite 5 di quinci sono
lodati i Decii, gli Scipioni
tri infiniti. Massimamente il popolo romano
eccelle per la grandezza dell’ animo : ma e
si dimostra lo studio della gloria delle batta-
glie
l’ornato quasi militare.
Ma quell’altezza di animo la quale è rag-
guardata ne 1 pericoli e nelle fatiche
manca di giustizia, e combatte non per la
salute comune, ma pe’suoi commodi, è po-
sta nel vizio. Imperocché questo non sola-
mente non s’appartiene a virtù
tosto si appartiene alla disumana crudeltà,
scacciante da sé ogni umanità. Adunque ot-
timamente si definisce dagli stoici la gran-
dezza dell’ animo : conciosiacchè essi dica-
no
tà. Per la qual cosa nessuno ha acquistato
loda con malizia e con inganni, il quale ha
Line 1 734 ⟶ 1 730:
Egregio è adunque quel detto di Plato-
ne
Line 1 745 ⟶ 1 741:
5 1
za la quale manca di giustizia
chiamata più tosto callidità che sapienza
ma ancora 1' animo apparecchialo al peri-
colo, se egli è commosso per sue cupidità,
Line 1 752 ⟶ 1 748:
sto il nome dell'audacia che della fortezza.
Adunque noi vogliamo che gli uomini forti
e magnanimi sieno buoni
plice virtù
del mezzo della lode della giustizia.
Ma quello è odioso, che in questa altezza
e grandezza di animo agevolissimamente na-
sce la pertinacia
gnoreggiare. Imperocché
a Platoue : ogni costume de' Lacedemoni è
infiammato dalla cupidità del vincere j come
ciascuno spezialmente eccelle per la gran-
dezza dell' animo
vuol essere il signore di tutti, e ancora più
tosto solo. Ma egli è malagevole
desidererai avanzare lutti gli altri
vare l'equità
pria della giustizia. Per la qual cosa si fa
che gli uomini non patiscano essere vinti,
Line 1 777 ⟶ 1 773:
5a
volte sono i donatori
acciocché essi acquistino ricchezze
più tosto per forza di sopra agli altri
per giustizia pari. Ma quello eh’ è più ma-
lagevole, quello è più egregio: imperocché
Line 1 788 ⟶ 1 784:
ranno coloro, i quali non fanno, ma scac-
ciano la ingiuria. Ma la vera e savia gran-
dezza d’animo giudica
quale massimamente la natura segue
posta ne’ fatti
tosto essa vuol essere principe che parere.
Imperocché chi è nell’ errore dell’ iudotta
moltitudine
tra gli uomini grandi. Ma agevolissimamente
colui è commosso a fare ingiustizia
le ha l'animo altissimo e desideroso di glo-
ria. Il quale luogo per certo fa gli uomini
trascorrere. Imperocché malagevolmente si
trova chi
tiche
deri la gloria
Line 1 814 ⟶ 1 810:
fortuna. Conciosiacchè già si è dichiarato
che l'uomo non debba o desiderare, o ma-
ravigliarsi
che sia onesto e conveniente, e non debba
sottoporsi nè ad alcun’uomo, nè alla per-
turbazione deH’animo, nè alla fortuna. L’al-
tra cosa è
disposto coll’animo
si
mamente utili e molto malagevoli
ne di fatiche e di pericoli -, per cagione sì
della vita, sì di tutte le altre cose, le quali
Line 1 828 ⟶ 1 824:
Di queste due cose ogni splendore è l’am-
plitudine-, e a questa aggiungo ancora l’uti-
lità
cagione e la ragione facciente gli uomini
grandi, è nel primo luogo. Imperocché in
Line 1 839 ⟶ 1 835:
C4
eccellenti
questa medesima cosa è conosciuta in due
cose; se tu giudichi solamente quello essere
buono il quale è onesto
da ogni perturbazione di animo. Imperocché
quelle cose le quali a molti paiono esimie
ed eccellenti
spregiare con ragione ferma e stabile
debbe dire essere d'animo forte e grande:
e quelle cose le quali paiono acerbe
quali molte e varie sono rivolte nella vita
e fortuna degli uomini
che niente ci parta dallo stato della natura,
niente dalla dignità
mo savio
Imperocché e’ non è consentaneo che chi
non è rotto dalla paura
la cupidità
ca
cosa queste sopradette cose sono da essere
conosciute
pidità della pecunia : imperocché niente è
che più s'appartenga all'animo vile e pic-
colo
più magnanimo e più onesto che spregiare
la pecunia se tu non l’hai, e se tu l’hai,
Line 1 879 ⟶ 1 875:
55
usarla a magnificenza e liberalità. Àncora
come di sopra io dissi
cupidigia della gloria; imperocché essa leva
la libertà all'animo : per la quale agli uo-
Line 1 887 ⟶ 1 883:
CAPÒ XXVI.
Che gV imperii non si debbono desiderare
ma alcuna volta sono da essere deposti :
e da chi la tepublica si debba governare .
Ma non gli imperii sono da essere desi-
derati
li piglieremo
giù. Ma si debbe mancare d' ogni pertur-
bazione d'animo, sì di cupidigia e di pau-
ra, sì ancora di dolore e piacere d'animo
e d’ ira
dell'animo sia con noi presente
arrechi sì la costanza, sì la dignità. Ma mol-
ti sono e furono, i quali desideranti quella
Line 1 904 ⟶ 1 900:
dalle pubbliche faccende, e fuggirono all'o-
zio. Tra costoro sono nobilissimi filosofi e
mollo principali
Line 1 914 ⟶ 1 910:
chè non poterono sopportare i costumi dei
popoli e de'priucipi. E alcuni si sono vi-
vuti ne’ loro poderi
delle loro cose familiari
to il medesimo proposito che a’ re
eh' essi non abbisognassino d’ alcuna cosa,
e non ubbidissino ad alcuna, e usassino la
libertà
come tu vuoi.
Per la qual cosa conciosiacosaccbè que-
sto sia a comune tra’ desiderosi della po-
tenza
si
pensano potere soddisfare al desiderio loro,
se essi acquistano grandi ricchezze 5 e que-
gli altri
loro, benché poca sia. Nientedimeno il pro-
posito dell'una parte e l'altra
sarà al tutto spregiato : ma la vita degli
oziosi è più facile e più secura
iosa e molesta agli altri : ma di più frutto
è alla generazione umana
quistare stima e farsi grande
coloro
repubblica
Line 1 944 ⟶ 1 940:
qual cosa e forse si debbe concedere a co-
loro
ca
hanno dato alla dottrina : e a coloro i quali
o per debolezza della loro sanità
cun'altra più grave cagione impediti, si sono
partiti dal governo della repubblica
essi hanno conceduto agli altri la potestà del-
l’ amministrare la repubblica, e ancora la
Line 1 960 ⟶ 1 956:
dicono che spregiano quelle cose di che molti
si maravigliano, cioè le signorie e i magistra-
ti
essere lodati
presi. Il giudizio de' quali
spregiano la gloria
difficile a non lodare : ma e' mostrano temere
le fatiche e le noie
degli scacciamenti, quasi vergogna ed infamia.
Imperocché e' sono alcuni, i quali nelle cose
contrarie hanno poca costanza : essi severis-
vimamente spregiano la voluttà
trascorrono
passione dell'infamia : e queste cose fanno non
assai costantemente.
Line 1 982 ⟶ 1 978:
tati al fare le cose, saranno presi i magistrati
senza indugio alcuno
repubblica. Imperocché altrimenti non si
può reggere la repubblica
mostrare la grandezza dell’animo. Ma i pi-
glianti il governo della repubblica
no che i filosofi
bano usare la magnificenza
delle cose umane
detto, e la tranquillità, e la sicurtà: impe-
rocché essi non debbono essere ili angosce
ma più tosto debbono vivere con gravità e
costanza.
Le quali cose sono più facili a’filosofi
ché meno cose si manifestano nella vita loro
le quali la fortuna percuota
no cose abbisognano
versità addiviene
possono cascare. Per la qual cosa non senza
cagione maggiori commovimenti sono desti,
e fare maggiori cose, ne’governanti la repub-
blica
cosa più debb’ essere appresso di costoro la
grandezza dell'animo, c la mancanza delle
Line 2 015 ⟶ 2 011:
Che in ogni cosa che s' ha a fare
fare diligente preparazione : c che le cose
urbane si preponghino alle cose di guerra.
Ma chi piglia a fare la cosa
solamente consideri quanto quella cosa sia
onesta
poterla fare. Nella qual medesima cosa si
debbe considerare, eh’ essa
gione si disperi per pigrizia
si confidi per cupidità. Ma in tutte le faccen-
de
una diligente preparazione.
Ma perchè molti stimano, che i fatti delle
armi sieno maggiori che quelli della città
io voglio amminuire questa opinione. Ini*
perocché molti spesse volte hanno cerco le
Line 2 036 ⟶ 2 032:
volte addiviene negli animi e ingegni grandi:
e tanto più se essi erano atti al fatto delle ar-
mi
vogliamo giudicare con verità
della città sono state maggiori, e più di fama,
che quelle della guerra.
Line 2 050 ⟶ 2 046:
6o
Imperocché
volmente sia lodato
gloria che quello di Solone
chiamata la città di Salamina, testimone della
nobilissima vittoria
consiglio di Solone
quale da prima esso ordinò gli Arcopagiti
non è da essere giudicato meno egregio que*
sto fatto che quello. Imperocché quello una
volta fece prò
con questo consiglio si conservarono le leggi
degli Ateniesi
ordini degli antichi. E Temistocle niente a-
vrà detto, con che esso abbia aiutalo all’areo-
pago
Temistocle : imperocché la battaglia si fece
col consiglio di quel senato
ordinato da Solone.
Le medesime cose è lecito dire di Pausa-
nia e di Lisandro: pe’ fatti de’ quali
la signoria de’ Lacedemoni fosse ampliata
nientedimeno non sono da essere agguagliati,
da una minima parte
plina di Licurgo : che ancora per queste me-
desime cose
bidienti e più forti. Quando noi eravamo
Line 2 086 ⟶ 2 082:
6 1
fanciulli
desse a Caio Mauro: nè quando noi ci rivol-
tavamo nella repubblica
deva a Gneo Pompeo. Imperocché piccola
cosa sono le armi di fuori
è in casa. Nè più Albicano
imperatore, fece prò alla repubblica per in-
guastare Numanzia
tempo Pubblio Nasica privato
uccise Tiberio Gracco : benché questo fatto
non solamente è della ragione di casa
cora è tocca la ragione di fuori
armi
quello medesimo fu fatto con consiglio della
città
Ma quel fatto è ottimo
essere assalito da tristi ed invidiosi : le armi
cedano alla toga
gua. Imperocché
quando noi governavamo la repubblica
noncedetteno le armi alla toga? Imperocché
nella repubblica non fu mai più grave peri-
colo
c pe’ consigli nostri
degli audacissimi cittadini sono cascate le ar-
mi. Adunque che fatto di battaglia fu mai di
Line 2 123 ⟶ 2 119:
agguagliato ?
O mio figliuolo
appresso a te
dità di questa gloria
miei. Gneo Pompeo
dante di lode di guerre, molti udentilo, a
me questo attribuì : che egli disse
esso doveva essere per avere il terzo trionfo,
se pel mio beneficio inverso la repubblica
egli non dovesse avere dov’esso trionfasse.
Adunque le fortezze di casa non sono più
basse che quelle di fuora
Nelle quali domestiche fortezze più ancora
d’opera e di studio si debbe porre, che in
quelle altre.
Al tutto quella onestà
chiamo delPaiiimo alto e magnifico, si fa col-
le forze dell'animo e non del corpo. Ma il
corpo si debbe esercitare ed affaticarlo
esso possa ubbidire al consiglio e alla ragio-
ne nel fare le faccende, e nel sopportare la
fatica. Nella qual cosa non minore utilità ar-
recano coloro
repubblica, che coloro i quali fanno le guer-
re. E così pel consiglio di coloro
le guerre o esse non sono prese
fatte, o esse alcune volte sono mosse. Come
la terza guerra affricana
glio di Marco Catone
tè 1’ autorità di Catone morto.
Per la qual cosa più si debbe addoman-
dare la ragione del deliberare
tezza del combattere. Ma e’ sarà da guardar-
si
per fuggire il combattere, che per ragione
dell'utilità. Ma la guerra così si pigli, che
niente altro paia essere cerco
pace.
Line 2 171 ⟶ 2 167:
Ma al forte e costante animo si appartiene
non essere perturbato per cose aspre, e come
si dice
mosso dal grado suo : ma usare l’animo favo-
reggianle e il consiglio, e non si partire dalla
ragione: benché questo si appartenga all’a-
nimo
siero prevedere le cose future
Line 2 183 ⟶ 2 179:
innanzi ordinare quello, che possa addive-
nire nell’ una e l' altra parte
da fare quaudo alcuna cosa sarà addivenuta,
e non commettere in modo, che alcuna volta
Line 2 189 ⟶ 2 185:
Queste sono opere dell’ animo grande e alto,
e confidantesi nella prudenza e nel consiglio.
Ma senza ragione rivoltarsi nelle schiere
combattere col nimico
simile alle bestie. Ma quando il tempo e la
necessità lo domanda
e anti porre la morte alla servitù e bruttezza.
Line 2 200 ⟶ 2 196:
delle città.
Ma nel disfare o mettere a sacco le città
si conviene avere molta considerazione, che
niente crudelmente o senza ragione noi fac-
ciamo. E questo s’ appartiene all’ uomo di
grande animo', poi che il fatto sia spacciato,
punire chi ha errato
dine
ed oneste. Imperocché come sono ( siccome
Line 2 214 ⟶ 2 210:
65
di sopra dissi ) alcuni
fatti della guerra a quegli della città
troverai molti
e callidi, paiono maggiori e più splendidi dei
consigli quieti e di pensiero. Non mai al tutto
per fuggire il pericolo noi commetteremo,
che noi paiamo timidi e disadatti a battaglia.
Ma ancora si debbe fuggire questo
non offeriamo noi a 1 pericoli senza cagione
della qual cosa niente può essere più stolto.
Per la qual cosa quando noi avremo a pi-
gliare pericolo alcuno
fare i medici
leggermente è infermo
fermità, sono costretti dare medicine perico-
lose e di dubbio. Per la qual cosa in tranquil-
lità desiderare tempesta contraria
tiene allo stolto; ma sovvenire alla tempesta
con ogni modo che si può, s'appartiene al
savio: e per questo più
to
egli era dubbioso di male.
Line 2 244 ⟶ 2 240:
• * ' • ( ' ■ . . i . .
.. .. •
•Pi
Line 2 290 ⟶ 2 286:
A quali pericoli dobbiamo estere più pronti
e per quali cose dobbiamo massimamente
combattere.
Line 2 298 ⟶ 2 294:
e parte alla repubblica. E ancora alcuni sono
chiamali ne’pericoli de'fatli della vita, alcuni
de’fatti della gloria
ni. Adunque noi dobbiamo essere più pronti
ne' pericoli nostri
biamo combattere più prontamente de’fatti
dell' onore e della gloria
commodi tà.
Ma molti sono stati trovati
apparecchiati a spargere per la patria non
solamente la pecunia, ma ancora la vita j e
questi non volevano offendere menomamente
la loro gloria
addomandasse. Come Callicratida
quando era capitano de' Lacedemoni nella
guerra del Peloponneso, concìosiacosacchè
Line 2 318 ⟶ 2 314:
fatto
coloro, i quali dicevano, che il navilio si
doveva rimuovere da Argiuuso, e non com-
battere cogli Ateniesi. A’ quali colui rispose:
i Lacedemoni
sono rifarne un altro
gire senza mio disonore. Ma questa fu mez-
zana piaga de'Lacedemoni : ma quella fu pe-
stifera, perla quale assai cascarono le abbon-
danze de'Lacedemoni’, quando Cleombroto,
temente la invidia
combattè con Epaminonda. Ma quanto me-
glio fece Quinto Massimo*, del quale Ennio
disse : costui è uno
ha restituito la repubblica. Imperocché esso
non preponeva la fama alla salute, adunque
Line 2 341 ⟶ 2 337:
quale modo di peccare ancora si debbe schi-
fare ne' fatti della città. Imperocché e' sono
alcuni
ra della invidia
ancora la sentenza loro sia ottima.
Line 2 357 ⟶ 2 353:
pubblica, al tutto osservino due precetti di
Platone: l’uno è eh’ essi cosi difendano l’u-
tilità de’ cittadini
riscano a lei
di loro. L’ altro è ch’essi usino tutto il corpo
della repubblica, e che l’una parte essi non
difendino, e l’altra abbandonino. Imperoc-
ché il governo della repubblica
tela
sono commessi
commessa. Ma chi aiuta 1* una parte de* cit-
tadini, e l'altra non apprezza, mette nella
città cosa dannosa
dia. Per la qual cosa addiviene, che alcuni
paiano amici
timo cittadino, e pochi amino la università.
Di quinci seguitarono appresso gli Ateniesi
grandi discordie : e nella repubblica nostra
vennono non solo discordie
re civili di mollo danno : le quali il grave e
Line 2 381 ⟶ 2 377:
forte cittadino e degno del principato le fug-
gc
blica 5 e non cercherà ricchezze o potenza 5
e tutta la repubblica difenderà in tal modo,
clf esso gioverà a ognuno. E esso con falsi
peccati non chiamerà alcuno in odio o in in-
vidia
l’ onestà ei s’accosterà, che quelle virtù esso
conservi, benché gravemente egli offenda; e
Line 2 395 ⟶ 2 391:
Che misera cosa è con ambizione cercare
gli onori
Miserissima è al tutto l'ambizione e la con-
tenzione degli onori : della quale egregia-
mente è così appresso a Platone : similmente
Janno coloro
più tosto amministri la repubblica
i marinai tra loro combattessino
ro spezialmente governasse. Il medesimo
Platone ancora comandò
mo avversari coloro
Line 2 411 ⟶ 2 407:
7 °
me incontro
giudizio vogliono difendere la repubblica.
Quale dissensione fu senza crudeltà tra Pu-
blio Affricano
CAPO XXXV.
Line 2 421 ⟶ 2 417:
viene essere clementi e severi.
Ma coloro da noi non saranno uditi
quali stimano doversi gravemente adirarsi
contro a' nemici
nersi all 1 animo grande e forte. Imperocché
niente è più laudabile
l'uomo eccellente e grande, che è l' umiltà
eia clemenza. Ma ne’popoli liberi, e nel dare
la ragione
la facilità e l’altezza dell'animo
noi ci adiriamo con coloro che non sono ve-
nuti al tempo
mandano
disutile e odiosa : e così nientedimeno noi ap-
proveremo la mansuetudine e la clemenza,
che e’ vi sia aggiunta, per cagione della re-
pubblica
può essere amministrata la città.
Line 2 450 ⟶ 2 446:
Che chi castiga non debba essere contumelia -
so
Ma ogni punizione e gastigamento debbe
mancare di villana superbia : e quella gasti-
gazione si debbe riferire non all’utilità di
colui ebe gasliga
blica. Ancora si debbe guardare eh’ e’ non sia
maggiore la pena che la colpa j e che per le
Line 2 470 ⟶ 2 466:
Ma nel punire si debbe schifare l’ira. Im-
perocché Tirato il quale viene al punire
terrà mai quello mezzo, il quale è tra ’l poco
e il troppo : il quale piace a’ peripatetici 5 e
meritamente : purché essi non lodino l’ira
e dicano che dalla natura ella è stata data u-
tilmente. Ma quella è da essere rifiutata in
tutte le cose : e debbesi desiderare
Line 2 482 ⟶ 2 478:
7 *
loro i quali sono sopra alla repubblica
simili alle leggi
non con ira
CAPO xxvvui.
Line 2 492 ⟶ 2 488:
E ancora nelle cose prospere e trascor-
renti al nostro piacere
dobbiamo fuggire la superbia
e l’arroganza. Imperocché sopportare senza
modo le cose prospere come le avverse
partiene alla leggerezza : ed eccellente cosa
è essere eguale in ogni vita, e avere il me-
Line 2 502 ⟶ 2 498:
di Caio Lelio. Ma io veggo che Filippo re
de’ Macedoni, vinto dal figliuolo Alessandro
per la gloria e per gli egregi fatti
tedimeno di sopra a colui
nità e mansuetudine. E così l’ uno fu sempre
grande; e l’ altro spesso fu bruttissimo. Che
Line 2 511 ⟶ 2 507:
Line 2 518 ⟶ 2 514:
7 3
più di sopra agli altri
noi ci portiamo. Panezio dice, che Scipione
Aflricano suo uditore e familiare, soleva di-
re, eh' e' sogliono dare a' domatori i cavagli,
i quali per le spesse battaglie feroci insuper-
biscono
gli più agevoli. Cosi gli uomini
le prospere cose, eiusupei-bienti, si conviene
essere menati nel giro della ragione e delle
dottrine
bolezza delle cose umane
fortuna.
Line 2 534 ⟶ 2 530:
Che nelle cose prospere massimamente si debba
usare i consigli degli amici
adulatori.
Line 2 542 ⟶ 2 538:
rità che innanzi. E in questi medesimi tempi
si debbe guardare, che noi non apriamo gli
orecchi agli adulatori
concediamo che a noi lusinghino. Nella qual
cosa è agevole a essere ingannati : iotpcroc-
Line 2 554 ⟶ 2 550:
che noi stimeremo noi tali
mente noi siamo lodati : dalla qual cosa na-
scono innumerabili peccati
mini, enfiati d’opinione, bruttamente sono
dileggiati
rori. Ma queste cose basti avere detto insino
a qui.
Line 2 567 ⟶ 2 563:
pubblica e nella privata.
Ma quello così si debbe giudicare
cose grandi e di grande animo, si fanno da co-
loro che reggono la repubblica : imperocché
1’ amministrazione loro largamente si mani-
festa
inteso, che sono e già furono molti, di grande
ingegno ancora nella vita oziosa : i quali o
e'si danno all'investigazione, e tentano cose
grandi
posti tra' filosofi
strano la repubblica, si dilettano delle loro
cose familiari
ragione, e non rimoventi dall’uso di quelle
la famiglia loro
Line 2 590 ⟶ 2 586:
7 5
parte agli amici e alla repubblica
viene il bisogno. Le quali cose familiari pri-
ma si debbono acquistare bene
disonesto o odioso guadagno : e queste dieno
utilità a molti uomini
gni: oltre questo esse cose familiari debbono
essere accresciute con diligenza
e masserizia. E non debbono più tosto ub-
bidire alla libidine e alla lussuria
liberalità e alla beneficenza. Chi osserva le
cose prescritte, a costui è lecito vivere grave
e animosamente
fede, e amichevolmente alla vita umana.
Line 2 616 ⟶ 2 612:
E seguita eh' ei si dica di quella parte del-
l' onestà, la quale sola resta: nella quale si co-
nosce essere la vergogna
ornamento della vita
la modestia, e ogni rammorbidamento delle
passioni dell'animo, e ogni misura delle co-
se. In questo luogo si contiene quello che è
in latino il decoro
Line 2 639 ⟶ 2 635:
Ma quale sia la differenza tra l'onesto e il
decoro
agevolmente inteso che dichiarato. Imperoc-
ché ciò ch’è quello che si confà, allora appa-
risce
que non solamente in questa parte d’onestà,
della quale noi dobbiamo disputare in que-
sto luogo
sopra
perocché usare la ragione, e il parlare pru-
dentemente
sideratamente
ro in ogni fatto, edifenderlo, si confà. E pel
contrario
rere
essere privato della mente. E tutti i fatti giu-
sti si confanno; e gl’ingiusti pel contrario,
Line 2 658 ⟶ 2 654:
Line 2 664 ⟶ 2 660:
77
eomVsono brutti
Simile è la ragione della fortezza : imperoc-
ché quello che si fa coll’animo virile e ma-
gno
decoro : e quello eh’ è pel contrario
gli è brutto
cosa questo che io chiamo decoro, s’appar-
tiene a ogni onestà : e così s'appartiene, che
Line 2 679 ⟶ 2 675:
che col fatto può essere separata dalla virtù.
Imperocché come la bellezza e l’essere di pu-
lite carni
nità
liamo, è tutto quello eh’ è confuso colla virtù $
ma è diviso colla mente e col pensiero.
t a r . « . •
- CAPO XLIU.
Line 2 692 ⟶ 2 688:
Ma la descrizione sua è doppia. Imperoc-
ché noi intendiamo essere uno generale de-
coro
Line 2 707 ⟶ 2 703:
E quello di sopra così quasi suol essere dif-
finito : quello è decoro il quale è consenziente
all' eccellenza dell’uomo in quella cosa
quale la natura sua lo fa differente dagli altri
animali. Ma quella parte eli’ è soggetta a que-
sto genere, così suol essere diffinita: quello
è il decoro
natura
e la temperanza
liberalità.
E così noi possiamo stimare
essere intese da quel decoro
seguitano *, del quale in altro luogo sogliono
essere dette più cose. Ma noi diciamo che i
Line 2 723 ⟶ 2 719:
quando da loro si fa dire o fare quello che
sia degno di ciascuna persona. ComeseEaco
o Minos dicessino : abbiauci in odio
ci temano. Ovvero dicessino questo : esso po-
di e è sepoltura a'Jigliuoli. Questo parrebbe
sconveniente
costoro furono upmini giusti. Ma se Atreo lo
dicesse, si farebbe grande romore con molla
Line 2 739 ⟶ 2 735:
79
quella persona. Ma i poeti giudicheranno
secondo la persona
confaccia. Ma a noi la natura ha posto la per-
sona con grande eccellenza
avanzare di tutti gli altri animali. Per la qual
cosa i poeti
ne, ancora nei viziosi vedranno quello che
si convenga
conciosiacchè dalla natura a noi sieno state
date le parti della costanza r e della modera-
zione, e della temperanza
e conciosiacosacchè quella medesima natura
c’ insegni
a portare inverso gli altri uomini j si fa
quello decoro il quale si appartiene a ogni o-
nestà, apparisca quanto largamente e’sia spar-
to 5 e questo ancora il quale si conosce in ispe-
zialità in ciascuno genere di virtù. Imperocché
come la bellezza del corpo
sizione delle membra
e dilettagli in questo medesimo
parti tra loro si consentono con uno certo or-
namento
vita, commuove la lode di coloro, co’ quali
si vive con ordine
tutti i detti e i fatti.
Line 2 771 ⟶ 2 767:
Adunque si debbe aggiungere la riverenza
inverso gli uomini
ottimo
care il parere il quale ciascuno abbia di sé,
non solamente s' appartiene all' uomo arro-
gante
zi. Ma egli è cosa la quale si differenzia tra
la giustizia e la vergogna, e si debbe avere
in ogni ragione. Le parti della giustizia sono,
non fare violenza agli uomini
gogna
massimamente si fa la forza del decoro.
Dimostrate adunque queste cose
che e' sia inteso quello, il quale noi diciama
che si coufà. Ma l'ufficio il quale procede da
quello decoro lia questa via, la quale mena
alla convenienza e conservazione della natu-
ra : la quale se noi seguiteremo per guida
non mai erreremo, e seguiteremo quello che
per natura è acuto e prudente, e quello ch'è
accomodato alla società degli uomini
lo ch’è potente e forte. Ma grande forza del
decoro è in questa parte, della quale noi di-
sputiamo : e debbonsi lodare non solo i mo-
vimenti del corpo
ra -, ma ancora molto più quegli dell'animo
i quali ancora sono alla natura accomodati.
Line 2 801 ⟶ 2 797:
Line 2 817 ⟶ 2 813:
Quello che facci l' appetito
che facci la ragione.
Line 2 824 ⟶ 2 820:
Imperocché la forza degli animi e della
natura è doppia. Una n’è posta nell’ appeti-
to
quà e là rapisce l’uomo; l’altra è nella ra-
gione, la quale insegna e dimostra quello che
Line 2 833 ⟶ 2 829:
CAPO XLV.
Che non si debba fare alcuna cosa
non si possa rendere probabile ragione.
Line 2 841 ⟶ 2 837:
sta quasi è la descrizione dell'ufficio. Ma ei
si debba operare che gli appetiti ubbidiscano
alla ragione
no
Line 2 852 ⟶ 2 848:
animo. Per la qual cosa rilucerà ogni costan-
za e moderazione. Ma quegli appetiti i quali
da lungi si seguono
ti
rattenuti dalla ragione
trapassano il fine e il modo
e ributtano l’ubbidienza, e non ubbidiscono
alla ragione
la legge della natura. Da’quali non solamente
sono perturbati gli animi, ma ancora i corpi:
imperocché e’ si può ■vedere la faccia degli
adirati
qualche libidine, o paura, o da qualche trop-
po piacere
cambiati i volti, e le voci, e i moti, e gli
stati. Per le quali cose s’intende (acciocché
noi ritorniamo alla forma dell’ ufficio ) che
tutti gli appetiti si debbano raffrenare
morbidargli : e conviensi inverso loro usare
tale gastigazione e diligenza, che niente noi
facciamo senza ragione, o a caso, o inconsi-
derata e negligentemente. Imperocché dalla
natura noi così non siamo generati
paiamo fatti a giuochi e ciance
severità
Line 2 890 ⟶ 2 886:
Del giuoco
giuocare.
Line 2 896 ⟶ 2 892:
Ma egli è lecito usare i giuochi e i motti:
ma come il sonuo e gli altri riposi
quando noi avremo sodisfatto alle cose gravi
e di utilità. £ esso modo di motteggiare non
debb' essere dissoluto e immodesto
cevole e degno di uomo da bene. Imperoc-
ché come a’ fanciulli noi non diamo ogni li-
cenza di giuocare
sia aliena dagli atti dell'onestà
motteggiare riluca qualche lume di buono
ingegno.
Due ragioni sono in tutto del motteggiare:
una non degna dell'uomo libero
e scellerata
conveniente alla città
cevole. Del qual modo non solamente Plauto
nostro
ma ancora 1 libri de’ filosofi socratici sono
pieni. E molti detti ancora piacevoli sono di
molti altri
colti da Catone vecchio, i quali sono chia-
Line 2 922 ⟶ 2 918:
H
mati apojiegmata
gevole è adunque la distinzione de’ motti r
degni dell’ uimo libero
si convengono al libero uomo. Imperocché
quelli che s’appartengono all'uomo libero
allora sono
gionevole, in modo eli’ essi sieno degni del-
l’ animo rimesso, e dell’ uomo. Gli altri non
Line 2 935 ⟶ 2 931:
Ancora si debbe ritenere un certo modo
del giuocare : che non troppo noi spargiamo
ogni cosa } e traportati dal piacere
scorriamo in qualche bruttezza. Ma il nostro
campo, e gli studi del cacciare, a sufficienza»
Line 2 946 ⟶ 2 942:
Ma ad ogni qaistione d’ufficio s’appartiene
sempre avere in pronto
dell'uomo anteceda alle pecore, e alle altre
bestie. Quelle niente sentono se non il pia-
Line 2 958 ⟶ 2 954:
; &S
cere del corpo
ogni impeto: ma la mente deH’uomo è nutri-
cata imparando e pensando
cerca, o ella fa qualcosa \ ed è menata dal
diletto e del vedere e dell’ udire. E se alcuno
Line 2 966 ⟶ 2 962:
esso non sia della generazione delle pecore
(imperocché e’ sono alcuni uomini non per
le opere
alle virtù, benché esso sia preso dal corpo-
rale piacere j egli occulta e dissimula per ver-
Line 2 976 ⟶ 2 972:
sere spregiato e ributtalo. E se fusse alcuno
il quale attribuisca qualche opera al piacere
corporale, per le dette cose s’intende
questo tale debba usare misura in pigliare
quel tal piacere. E così adunque il vitto no-
stro, e il governo intorno al corpo
rito alle forze
ancora se noi vorremo considerare che eccel-
lenza e dignità sia nella natura
remo quanto sia brutta cosa trascorrere in
lussuria
Line 2 990 ⟶ 2 986:
86
licatezze
ratamente
sobriamente.
Line 2 998 ⟶ 2 994:
K
Della diversità de' costumi
sone che dalla natura siamo vestiti.
Ancora si debbe intendere
tura noi quasi siamo vestili di due persone:
delle quali l'una è comune
siamo partecipi della ragione', e di quella ec-
cellenza
bestie
coro, e dalla quale noi cerchiamo trovare la
ragione dell'ufficio. L’altra persona è la quale
è propriamente data a ciascuno in ispezialità.
Imperocché come ne' corpi sono grandi dis-
similitudini
cuni per la velocità atti al correre
per le forze potere combattere
forme, noi veggiamo alcuni essere bene com-
plessionati
negli animi sono ancora maggiori varietà.
Egli era in Lucio Crasso e Lucio Filippo
molto piacevo! parlare
in Olio Cesare figliuolo di Lucio
industria. E io questi medesimi tempi in
Marco Scauro e in Marco Druso giovanetto
era molta serietà : e in Caio Lelio molta pia-
cevolezza
molto maggiore desiderio d’ onori
maninconica vita.
Ma de 1 Greci noi abbiamo inteso che So-
crate fu dolce e piacevole
ragionamento
tore } il quale parlare i Greci chiamano iro-
nia
trario. E per l'avverso, noi intendiamo che
Pitagora e Pericle
quistarono somma autorità. Annibaie de' ca-
pitani de' Cartaginesi fu callido r e de’ nostri
fu Quinto Massimo
e tacere
in preoccupare i consigli de’nemici. Nel qual
modo i Greci antepongono a tutti i loro ca-
pitani Temistocle, e Giasone Fereo. B tra i
primi e' pongono scaltrito e saputo il fatto di
Solone : il quale
più sicura
repubblica
altri molto dissimili a costoro, cioè semplici
88
e aperti
venga fare o d’occulto od' inganni
sono coltivatori della verità, e nimici della
frode. Sono ancora alcuni altri
tiranno ciò che tu vuoi
serviranno, purché essi conseguitano quello
eh’ essi vogliono: come noi vedevamo Siila
Line 3 067 ⟶ 3 063:
inteso essere stato e pazientissimo e scaltris-
simo Lisandro, appresso a’Lacedemoni: e pel
contrario Callicratida
capitano dell’armata dopo Lisandro.
Line 3 077 ⟶ 3 073:
Muzio Mancia. Io ho udito da' nostri vecchi,
che questo medesimo fu in Pubblio Scipione
Nasica : e per l’ avverso
quale vendicò gli direnati sforzamenti di
Gracco
parlare. E similmente Xenocrate fu severis-
simo filosofo } e per quello fu grande e fa-
Line 3 103 ⟶ 3 099:
Che in quelle cose massimamente ci dobbia-
mo affaticare
E’ si debbe ritenere quelle cose
ci sono proprie dalla natura, purché esse non
sieno viziose
ritegniamo quel decoro, il quale noi cerchia-
mo. Ma cosi si debbe fare, che niente noi
contendiamo contro alla natura universale :
e quando noi avremo conservata quella
lora noi seguiteremo la nostra. E benché gli
studi degli altri sieno migliori e più gravi
nientedimeno noi misureremo i nostri colla
regola della natura nostra. Imperocché ei
non s' appartiene ripugnare alla natura
niente seguitare
re. Per la qual cosa più apparisce di che qua-
lità e'sia quello decoro. E per questo niente
Line 3 124 ⟶ 3 120:
la natura.
E al tutto se alcuna cosa è il decoro
per certo è più, che accordarsi colla natura
universale
Line 3 132 ⟶ 3 128:
9 °
la qual cosa tu non potrai conservare
segui la natura degli altri
perocché come noi dobbiamo usare quello
medesimo parlare
che noi, come fanno alcuni mescolanti parole
greche, non siamo meritamente dileggiati
così ne' fatti e in tutta la vita
biamo mettere alcuna differenza.
Ma questa diversità della natura ha tanta
forza
re sé medesimo
stessa cagione. Imperocché Maroo Catone nou
fu in altra cagione
tri
forse che quegli altri sarehbono stati ripresile
essi avessino morto sé medesimi
la vita loro fu più leggiera, e i costumi più
facili. Ma perchè la natura aveva attribuito a
Catone la incredibile gravità; e quella aveva
affortificata con la perpetua costanza
pre era stato nel proposito, e nel preso con-
siglio
dare il volto del tiranno.
Quante molte cose pati Ulisse in quello
lungo errore
Calipso donne
Line 3 170 ⟶ 3 166:
mare ! e volle essere piacevole con ognuno
in ogni parlare
nie de’ servi e delle schi 1 ve ] acciocché qual-
che volta esso pervenisse a quello eh’ egli de-
siderava. £ Aiace
fu
portare la morte
quali cose a noi consideranti converrà pesax'e
quello che ciascuno abbia di suo, e quello
temperare, e non volere provare quanto le
cose altrui se gli confacciano. Imperocché
quello massimamente a uno si confà
spezialmente è proprio di lui.
Ciascuno adunque conosca la natura sua
e si faccia severo giudice della bontà e de'vizi
suoi : e che quelli che si contraffanno nelle
Line 3 189 ⟶ 3 185:
noi : imperocché coloro a sé scelgono le fa-
vole non perfettissime, ma accomodatissime
a loro. Coloro che hanno buona voce
gono le favole di Epigono e Medo
che sono buoni a' gesti
e Clilemnestra: Rulilio, del quale io mi ri-
cordo sempre, Antiopo
iace. Adunque farà l’ istrione nella scena
quello che non fa il savio uomo nella vita?
Line 3 208 ⟶ 3 204:
Ma se alcuna volta la necessità ci sospignesse
a quelle cose, che non lussino dello ingegno
nostro, porremo ogni cura
ligenza
fare con onore
disonore. E nientedimeno noi non ci dob-
biamo sforzare, che piuttosto noi seguitiamo
que'beni i quali non ci sono conceduti dalla
natura
A queste due persone, le quali di sopra noi
abbiamo detto, se ne aggiugne la terza \ la
quale ci dà il caso e il tempo. La quarta an-
cora
modiamo a noi medesimi. Imperocché le si-
gnorie
ricchezze, le abbondanze, e quelle cose che
sono contrarie a queste, come esse sono po-
ste nel caso, cosi sono governate da’ tempi.
Ma che persona noi vogliamo portare
viene dalla volontà nostra E cosi alcuni si
applicano a filosofìa
alcuni a eloquenza : c di esse virtù
piuttosto vuole eccellere in questa, e quel-
l’ altro in quell’ altra. Ma chi ha avuto il pa-
Line 3 240 ⟶ 3 236:
dre o gli antichi suoi eccellenti in qualche
gloria
lere in quelli medesimi onori. Come Quinto
Muzio figliuolo di Pubblio fece in ragione
civile 5 e Affricano figliuolo di Paolo ne’fatti
delle armi. Alcuui ancora alle lodi
eglino hanno ricevute da’ padri, ne aggiun-
gono qualcuua sua : come questo medesimo
Line 3 251 ⟶ 3 247:
ce Timoteo figliuolo di Conone: il quale con-
ciosiacosacchè non fosse nelle armi più infe-
riore che il padre
la gloria della dottrina e dello ingegno.
Ma alcuna volta si fa, che alcuni
seguitare gli antichi suoi
altro studio. E spezialmente molto in questo
spesso si affaticano coloro
vile sangue
grandi. Adunque quando tutte queste cose
noi cerchiamo
biamo considerare quello, che ci si confac-
cia. Ma la prima cosa si debbe considerare,
chi e di che qualità noi vogliamo essere, e di
che vita: la quale deliberazione, per diffi-
coltà
Line 3 272 ⟶ 3 268:
egli è grandissima debolezza di consiglio )
allora ciascuno a sè ordina quello modo della
futura vita
amato. Adunque innanzi egli è avviluppato
in un certo modo e corso di vivere, che esso
possa giudicare quello che sia ottimo.
Imperocché dicono
Xenofonte, che Ercole prodigo, quando pri-
ma cominciava nella giovanezza ( il qual tem-
Line 3 283 ⟶ 3 279:
via di vivere ciascuno debba entrare) uscì in
uno luogo solitario, e quivi sedente, lungo
tempo seco e molto dubitò
vie fusse meglio a pigliare. Imperocché quivi
egli vedeva due vie
tra de' corporali piaceri. Questo forse potè
addivenire a Ercole figliuolo di Giove : ma
Line 3 292 ⟶ 3 288:
pare, e agli studi e ordini di coloro siamo
commossi. Ma alcuna volta pieni de' precetti
de' padri nostri
costume loro. Alcuni altri sono mossi dal giu-
dicio della moltitudine
paiono bellissime alla maggior parte
Line 3 313 ⟶ 3 309:
spezialmente desiderano. Alcuni nientedime-
no
natura, o per disciplina de' padri
guitato la retta via della vita.
Ma quella ragione spezialmente è rada di
quegli uomini
dezza d’ ingegno
e dottrina
hanno avuto lo spazio del deliberare
corso di vita spezialmente volessino seguire:
nella quale deliberazione ciascuno debbe chia-
Line 3 328 ⟶ 3 324:
fanno, noi cerchiamo, Come di sopra è detto,
quello che si confaccia, da quel modo il quale
noi abbiamo preso
la vita considereremo quello decoro : impe-
rocché molta maggior cura ci è da essere
posta
petuità della vita essere costanti a noi mede-
simi
Line 3 342 ⟶ 3 338:
Ma perché a questa ragione la natura ha
grandissima forza
sima
nello eleggere il modo della vita : ma mag-
giore considerazione si debbe avere nella na-
tura. Imperocché ella è molto più ferma e
molto più costante
molte volte
che combatta colla natura immortale. Chi
adunque avrà conferito ogni consiglio del vi-
vere al modo della natura sua non viziosa
costui sia costaute: imperocché quello massi-
mamente si confà. Se già per a caso non avessi
Line 3 357 ⟶ 3 353:
vita : la qual cosa se ella accadrà (ma ella può
accadere) debbesi fare la mutazione degli or-
dini e de' costumi. Quella mutazione
tempi l'aiuteranno, la faremo più facilmente
con maggior commodità; ma se così non fosse,
faremo quella piano piano
Line 3 370 ⟶ 3 366:
97
come giudicano i savi delle amicizie
non dilettino e non sieno lodate
più si confà rimuoverle a poco a poco
di subito tagliarle.
Ma
ragione si debbe attendere
quello abbiamo fatto con buono consiglio. £1
perchè un poco innanzi fu detto
ba seguitare le vestigia degli antichi
quello sia eccettuato, che i vizi non si segui-
tino; dipoi
alcune cose non si potessino imitare
biamo lasciare: come il figliuolo di Affricano
superiore ( il quale si fece figliuolo adottivo
quesl'altro Scipione, figliuolo di Paolo ) per
la infermità non potè così essere simile del
padre
que ei non potrà o difendere causa
il popolo ragunalo a udire, o fare guerre;
nientedimeno quelle cose dovrà fare, le quali
saranno in sua podestà : ciò è osservare giu-
stizia
za; acciocché e’ non sia addomandato da lui
quello cbe manchi. Ma ottima eredità è la-
sciata da’padri a’fìgliuoli,la gloria delle virtù,
e degli egregi fatti
si debbe giudicare illecito e scelleratezza.
Line 3 408 ⟶ 3 404:
E perchè non i medesimi uffici sono attri-
buiti alle età diseguali
giovani
dire qualcosa di questa differenza.
Apparliensi adunque al giovanetto, rive-
rire gli uomini di tempo
gerne alcuni ottimi e lodati
e autorità de’ quali ei si governi. Imperoc-
ché l’ignoranza della giovanile età
reggere e ordinare colla prudenza de’ vec-
chi. Ma spezialmente questa età, si debbe
rimuovere dalle libidini
citata nella fatica
corpo : acciocché la industria di costoro di
questa età
cende civili e delle arme. E ancora quando
e’ vorranno dilettare gli animi
cere, schifino la intemperanza, ericordinsi
della vergogna : la quale cosa sarà più age-
vole
intervenghino i vecchi.
Line 3 439 ⟶ 3 435:
Degli uffici de vecchi .
4 "****■' *
Ma i vecchi a sé amminuiranno le fatiche
del corpo
citazioni dell’ animo debbano essere a loro
accresciute. Ancora daranno opera, che da
loro sieno aiutati con prudenza e consiglio
gli amici
da niente più si debbono guardare i vecchi,
che dal darsi alla pigrizia
ozio. La lussuria conciosiacosa che essa sia
brutta a ogni età, nientedimeno alla vec-
chiaia è bruttissima. Ma se l’ intemperanza
della libidine verrà, è doppio male : im-
perocché essa vecchiaia piglia il disonore
fa l'intemperanza de'giovani essere più senza
vergogna.
Line 3 461 ⟶ 3 457:
X ^ < L
Degli uffici de magistrati
e de' forestieri.
E qui non mi pare alieno, dire degli uf-
fici degli uomini di magistrato
Line 3 471 ⟶ 3 467:
vati, e de’citladini, e de’ forestieri. È adun-
que il proprio dono del magistrato intendere,
sé portare la persona della città
sostenere la dignità, e l’onore di lei, e con-
servare le leggi
darsi delle cose che sono commesse alla sua
fede.
Ma all’ uomo privato si conviene vivere
con eguale e pari ragione co’ cittadini
non si sottomettere e avvilirsi, e non s’ in-
nalzare : e ancora nella repubblica volere
quelle cose, che sieno tranquille ed oneste*
Imperocché a noi suole parere, e cosi so-
gliamo dire
tadino.
Ma l’ ufficio del forestiero, o di colui che
di nuovo abita è
cende sue, e niente domandare d'altri
non mettere cura nell’altrui repubblica. Così
quasi si troveranno gli uffici, quando e’ si cer-
cherà quello che si confaccia
sia atto alle persone, a’ tempi, e all’elà. Ma
niente è che tanto si confaccia
faccenda che si debba fare, e in pigliare ogni
‘consiglio, osservare la costanza.
Line 3 508 ⟶ 3 504:
(tu' ' roi> .... -, . ir 1.TI3& ilfc
Del decoro circa la bellezza
I ed ornato.
Line 3 517 ⟶ 3 513:
Ma perchè quel decoro si conosce in tutti i
fatti e detti
si muove o sta posato
cose
nato atto al fare
ma assai sarà eh’ ei sia inteso. Ma in que-
ste tre cose è contenuta ancora quella cura
che noi siamo commendati da coloro, coi
quali e appresso de’quali noi viviamo. E an-
Line 3 537 ⟶ 3 533:
abbia avuta grande ragione del corpo no-
stro : la quale ha posto in aperto la forma
nostra
fosse l’apparenza onorevole : ma quelle parti
Line 3 553 ⟶ 3 549:
del corpo
sità della natura
1’ aspetto e la forma brutta
coperse. E la vergogna degli uomini lia imi-
tato questa diligente fabbrica della natura;
imperoccbè quelle cose le quali ha nasco-
sto la natura
mini
dagli occhi
sità essi obbediscano, quanto possano più oc-
cultamente. E di quali parti del corpo l’uso
è necessario, nè quelle parti, nè 1 uso di
quelle
che non è brutto a fare
coperto
fare apertamente tali cose
gionare, non mancano di lascivia. Ma i ci-
nici non dobbiamo udire-, o se alcuni stoi-
ci furono quasi cinici
e dileggiano, che noi chiamiamo brutte quel-
le cose, le quali non è brutto farle
cose le quali nel farle sono scellerate
chiamiamo ne’nomi loro, com’è il rubare,
e l’ ingannare. Il fare adulterio è scellera-
tezza
opera a fare figliuoli, in fatto è onesto, e
Line 3 587 ⟶ 3 583:
questa medesima sentenza contro alla ver-
gogna? sono disputale da costoro medesimi.
Ma noi seguitiamo la natura
moci da ogni cosa
vata dagli occhi e dagli orecchi. Lo stare,
r andare
occhi
quello che si confacela.
Nelle quali cose due cose principalmente
fuggiremo; che niente sia effeminato o la-
scivo
e’ non si dehhe concedere agl’istrioni e agli
oratori
e in noi non sieno con ordine alcuno. Il co-
stume di quegli che si esercitano nelle scene,
per l’antica disciplina ha tanta vergogna,
che nessuno va nella scena senza brache. Im-
perocché essi temono
cuno addivenisse, che alcune parti del corpo
s aprissino
norevolmente. Secondo il costume nostro
i giovanetti che già possono generare non
si lavano co’ padri, nè i generi co’ suoceri.
Dehhesi adunque ritenere tale vergogna
spezialmente quando essa natura n’è mae-
stra e guida.
Line 3 619 ⟶ 3 615:
Ma conciosiacosa che due ragioni siena
di bellezza -, delle quali 1’ una è posta nella
venustà
1’ altra nella dignità
porzione delle membra; la venustà noi di-
remo che s’ appartiene alla femmina
maschio la dignità.
Adunque dalla bellezza nostra noi rimo-
veremo ogni ornamento non conveniente al-
1’ uomo
simile a questo, il quale è nel moto e nei
. gesti del corpo. Imperocché i moti di coloro
Line 3 634 ⟶ 3 630:
si : e ancora i moti degl’ istrioni non man-
cano alcuna volta di vituperazione : e quelle
cose che sono rette e semplici
• ' nell’altra ragione di questi giocolatori
ritamente sono lodate.
Ma la dignità della bellezza si debbe di-
fendere colla bontà del colore
Line 3 652 ⟶ 3 648:
jo5
diosa
la rusticana e disumana negligenza. Questa
medesima ragione si conviene avere nel ve-
stire
mezzo è ottimo.
E dobbiamoci guardare, ebe nell’andare
noi non usiamo o quella tardità lenta
noi paiamo simili a quelle vivande, le quali
ne’ conviti sono portate con molta pompa;
o che nella fretta noi non pigliamo troppa
prestezza, la quale quando si fa, è mosso
1’ ansare
torcono : per le quali cose si fa grande di-
mostrazione
noi. Ma molto più ancora ci dobbiamo af-
faticare, che i moti dell’animo non si par-
tano dalla natura. La qual cosa noi con-
seguiremo
non caschiamo nelle perturbazioni
sbigottimenti; e se noi terremo gli animi
attenti
eh’ e’ ci si confà.
Line 3 691 ⟶ 3 687:
rocché l’uno è nella considerazione, e l’al-
tro nell’appetito. La considerazione si ri-
volta specialmente nel cercare il vero
petito commuove al lare. Adunque si d eb-
be procurare, che noi usiamo la considera-
zione al fare cose molto opportune
noi diamo l’appetito ubbidiente alla ra-
gione.
Line 3 703 ⟶ 3 699:
E perchè la forza del parlare nostro è
grande
contenzione, e l’altra nel sermone. La con-
tenzione noi attribuiremo alle quistioni dei
giudici
senato
chi
familiari
della contenzione s’ appartengono a' retori-
Line 3 724 ⟶ 3 720:
*o 7
ci
benché io non so
possano essere. Ma i maestri si trovano per
gli studi di coloro che imparano : ma in
questi precetti del sermone non è chi stu-
dii
te le cose. Benché quegli che sono precetti
delle parole e delle sentenze
mente si appartengono ancora al sermone.
Ma conciosiacosa che la voce sia quella,
la quale dimostra il parlare nostro
voce noi osserveremo due cose 5 che essa sia
chiara
tutto s'addomanda dalla natura : ma l’uno
s’accrescerà per la esercitazione; e 1' altro
per la imitazione di coloro
bassamente e con soavità. Niente fu ne’Ca-
tuli
massi, ch’essi usassino le lettere : benché es-
si erano letterati
questi Catuli si stimava
mamente la lingua latina: il suono era dol-
ce, e le lettere non erano pronunciate e-
spressamente
ché il parlare loro non fosse oscuro o brut-
to
non era languida
Line 3 769 ⟶ 3 765:
si confaccia ne’ fatti.
Sia dunque questo sermone
simamente i Socratici eccellono
a non pertinace
e costui che l’usa
ni
ne
nel sermone comune, non essere iniquo Io
scambiarsi. E prima vegga di che cose egli
parla: e .se parla di cose utili
vi la severità
volezza. E la prima cosa provvegga
il sermone non dimostri alcuno vizio esse-
re ne’ costumi : la qual cosa allora spezial-
mente suole addivenire
mente di coloro che non sono presenti
cagione di biasimargli, si dice o motteggian-
Line 3 806 ⟶ 3 802:
109
do
biasimo.
Ma i sermoni molte volte sono o de’ fatti
della repubblica
studi
ra dare opera
stro si sarà partito da’ proposti ragionamen-
ti
re a quegli medesimi. E sieno qualunque
vuoi le cose : imperocché noi non ci dilet-
tiamo di cose medesime
ogni tempo. Conviensi ancora conoscere in-
sino a quanto diletti il parlare nostro
come e’ vi fu ragione nel cominciare
sia nel finire misura.
Ma come in ogni vita rettamente si co-
manda
ni, cioè i troppi moti delfanimo
bidienti alla ragione
debbe mancare il sermone
vi sia o ira
zia
qualche simil cosa. E spezialmente si con-
viene procurare eh’ ei paia
riamo e amiamo coloro, co’quali noi con-
feriamo il sermone.
Line 3 852 ⟶ 3 848:
re e maggiore contenzione di voce, e più
potente gravità di parole. Ma quello anco-
ra si debbe fare
facciamo quelle cose adirati: ma come i me-
dici rade volte, e mal volentieri, vengono
Line 3 860 ⟶ 3 856:
tà, se alcuna altra medicina non si trova.
Ma nientedimeno l’ira stia da lungi; col-
la quale niente si può fare rettamente
niente con considerazione.
Line 3 867 ⟶ 3 863:
vità; acciocché e’ vi sia la verità, e la super-
ba villania sia scacciata. E quello medesi-
mo che ha lo svillaneggiamenlo di acerbità
si debbe mostrare, quello essere stato preso
per cagione di colui che é svillaneggiato. Ma
Line 3 879 ⟶ 3 875:
,i*r
vera cosa è ancora in quelle contenzioni
quali noi abbiamo con coloro che ci sono
inimicissimi
cose non degne di noi
meno la gravità, e Tira da lungi rimuo-
vere. Imperocché quelle cose le quali sono
fatte con alcuna perturbazione di animo
non possono essere fatte costantemente, e
non possono da coloro che vi sono pre-
Line 3 892 ⟶ 3 888:
E ancora non ci dobbiamo commendare r
imperocché brutta cosa è predicare di sé
medesimo
sono false
odono
glorioso.
Line 3 919 ⟶ 3 915:
in
re, o di che uso
modare l’ordine dell’ edificare: e nientedi-
meno debbe aggiungere la diligenza della
Line 3 925 ⟶ 3 921:
il quale fu primo consolo di quella fami-
gHa, fu in onore, come noi abbiamo inte-
so
gio
e piena di dignità : la quale quando era ve-
duta dal popolo
gnore suo (uomo venuto a Roma di nuovo)
all’addomandare il consolato. Questa mede-
sima, Scauro, figliuolo del detto Gneo Ot-
tavio
adunque primo in casa sua arrecò il conso-
lato : costui figliuolo del sommo e famosis-
simo uomo
non solamente 1’ essere scacciato
ra la vergogna e il danno.
Imperocché la dignità si debbe adornare
colla casa
dalla casa : e il signore non debb’ essere
onorato per la casa, ma la casa pel signore.
E come in tutte le altre cose si debbe ave-
re la ragione non solo di sé
degli altri; così nella casa del famoso uomo.
Line 3 957 ⟶ 3 953:
nella quale si debbe ricevere molti forestie-
ri
lunque generazione, e’ conviensi procurare
eh’ e' vi sia larghezza. Altrimenti la casa
ampia spesse volte fa vergogna al signore
se in quella è poca gente
se quella pel passato fu abitata da un altro
signore. Imperocché ella è cosa odiosa, quan-
do da chi passa si dice: o casa antica
quanto diseguale signore se' signoreggiata !
la qual cosa in questi tempi di molti si po-
trebbe dire.
Debbesi guardare spezialmente
fichi
misura colla spesa e colla magnificenza: nel
quale modo molto male è ancora allo esem-
pio. Imperocché molti con grande studio
spezialmente in questa parte, imitano i fatti
de’ principi. Come
tato la virtù di Lucio Lucullo? Ma quanto
grande numero è di coloro
imitato nell’ edificare magnifiche ville ! Ma
ancora intorno a questo, per certo si do-
vrebbe osservare misura
uno mezzo : il quale medesimo mezzo si do-
vrebbe trasferire a ogni uso
Line 4 006 ⟶ 4 002:
osservare tre cose.
Ma in ogni atto che noi pigliamo
cose si conviene osservare : la prima
T appetito ubbidisca alla ragione : della
qual cosa nessun' altra è più accomodata al
mantenere gli uffici. Dipoi che si consideri,
di che grandezza sia quella cosa, che noi vo-
gliamo fare
giore cura e opera si pigli
gno. La terza cosa è
secondo la misura
mo con modo quelle cose, le quali s’appar-
tengono alla diguità
berale. Ma ottima misura è mantenere quel-
lo che si confaccia
zi noi dicemmo
Ma di queste tre cose
l’appetito ubbidisca alla ragione.
Line 4 032 ⟶ 4 028:
Dell ordine delle cose
de' tempi.
Dopo le dette cose da noi
r ordine delle cose, e dell’ opportunità de’
tempi. Ma in questa scienza si contiene quel*
la, che in greco si chiama eutaxia
ordine. E non è quella che noi interpre-
tiamo modestia
do
tende essere la conservazione dell’ordine.
Adunque
chiamiamo modestia
stoici
logare nel luogo loro quelle cose, le quali
si fanno o diconsi. E cosi pare, che una me-
desima forza sia dell’ ordine e dell’ alloga^
zione: imperocché l’ordine così diffinisco*
no
ne’ luoghi atti e commodi
l’ atto
Ma il tempo opportuno all' atto in greco
e detto eucheria
* in latino occasione. Così si fa che questa
Line 4 072 ⟶ 4 068:
le nel principio noi dicemmo. Ma in questo
luogo noi cerchiamo della moderazione e tem-
peranza
dunque quelle cose, che propriamente si ap-
partenevano alla prudenza
suo luogo : ma ora noi diremo quelle cose
quali proprie sono di queste virtù, delle quali
già molto ne abbiamo parlato: le quali s ap-
partengono alla vergogna
ne di coloro, co’quali insieme noi viviamo.
Line 4 086 ⟶ 4 082:
e convenienti. Imperocché ella è brutta co-
sa e molto viziosa, in un fatto severo in-
serirvi qualche sermone
delicato. Ma bene fece Pericle
nella pretura per compagno avea Sofocle :
e conciosiacosa che costoro lussino in ragio-
namento del comune ufficio
passasse un bello fanciullo
cesse : che bello fanciullo
Line 4 102 ⟶ 4 098:
”7
allora disse : al pretore
confà avere astenente non solo le mani
ancora gli occhi. Ma questo medesimo So-
focle
persona, avesse detto tale cosa, ragionevol-
mente avrebbe mancato di riprensione. Tan-
ta è la forza del luogo e del tempo, che se
uno il quale abbia a dire la causa sua
la via e mentre eli’ e’ va
va
ha ripreso: ma se fa questo medesimo nel
convito
brutta del tempo.
Ma quelle cose le quali molto si disco-
stano dall’umanità
in mercato, o nella corte, o se alcuna al-
tra grande contrarietà fosse
conosce che non desiderano molto amino-
nizioni o precetti. Ma quegli che paiono
piccoli peccati
essere intesi
più diligentemente. Come ne’ suoni di cor-
de
stino dal vero suono
intende tale errore suole essere conosciuto
così ancora si debbe vivere
Line 4 138 ⟶ 4 134:
niente si discosti dalle cose convenienti : e
ancora molto più che in quegli strumenti
quanto è maggiore e migliore la risonanza
degli alti nostri
Adunque come ne' suoni, gli orecchi co-
noscono ancora le minime cose, così ancora
noi, se noi vogliamo essere diligenti e forti,
e conoscitori de’ vizi
grandi cose dalle piccole : e dallo sguardo
degli occhi, e dal raccorre o distendere le
sopracciglia, e dalla maninconìa, e dall'alle-
grezza, e dal riso, dal parlare, dall’innal-
zare o abbassare la voce
e da tutte le altre simili cose, facilmente
noi giudicheremo quale di queste cose sia
Line 4 156 ⟶ 4 152:
ficio e dalla natura. Nella quale ragione di
atti non è incomodo giudicare per gli altri,
di che qualità ciascuna di queste cose sia
acciocché se alcuna cosa in coloro non si
confà
fa
sciamo negli altri che in noi, se alcuna cosa
si pecca. E così, facilissimamente nell’im-
parare i discepoli sono corretti
maestri, per cagione di emendargli, imi-
tano i vizi loro.
Line 4 181 ⟶ 4 177:
Non è cosa aliena, alle cose le quali nel
pigliare ci danno dubbio
mini dotti, e saputi perla pratica; e do-
mandare costoro quello, cbe di ciascuna ra-
gione d’ ufficio loro paia. Imperocché la
maggior parte degli uomini quasi suol es-
sere traportata
natura. Nelle quali cose si conviene vedere,
non solamente quello che ciascuno favelli
ma ancora che parere ciascuno abbia
perché cagione ancora a ciascuno così gli
paia. 'Imperocché come i pittori, e gli scul-
tori
vuole che 1’ opera sua sia considerata dal
volgo; acciocché se alcuna cosa fusse ripresa
da' più, quella sia corretta
sé e con gli altri cercano quello
quella opera sia peccato
degli altri
fatte da noi
Ma di qnelle cose non si diri alcuno pre-
Line 4 235 ⟶ 4 231:
questo errore, che se Socrate o Aristippo
abbino fatto alcuna cosa contra il costume
o usanza civile
pensi a lui essere lecito fare quello medesi-
mo. Coloro pe’ grandi e divini loro beni,
conseguitavano questa licenza. Ma la ra-
gione de’ cinici tutta si debbe levare via :
imperocché essa è inimica della vergogna
senza la quale niente può essere retto
niente onesto.
Line 4 257 ⟶ 4 253:
nelle cose oneste e grandi, essenti in buo-
no parere della repubblica, e bene meri-
tati o meritanti
o signoria
re con riverenza. Dobbiamo ancora attri-
Line 4 272 ⟶ 4 268:
buire molto alla vecchiaia
ro, che avranno magistrato; e fare diffe-
renza tra’l cittadino e il forestiere : e nel
Line 4 278 ⟶ 4 274:
nuto o pubblico o privato. E in somma
( acciocché particolarmente io non dica di
ciascuna cosa) noi dobbiamo amara
dere
e le ragunate degli uomini di ogni ragione.
Line 4 290 ⟶ 4 286:
sere tenuti liberali, e quali brunii Prima-
mente sono con vituperio riprovati que’
guadagni
gli uomini
portitori. Ma illiberali e brutti sono i gua-
dagni, di tulli i mercenari, de' quali sono
Line 4 309 ⟶ 4 305:
1 22
mercatanti m< rcatano quella cosa
immantinente rivendono : imperocché nien-
te fanno prò, se non è che essi mentiscono;
Line 4 316 ⟶ 4 312:
brutta arte: imperocché la bottega niente
può avere degno di uomo dabbene. E quel-
le arti ancora non saranno approvate
quali sono ministre della voluttà
no pesciaiuoli
torte e camangiari
Terenzio. E a questi aggiungi, se ti piace,
gli unguentai
di dadi e tavole.
Ma quelle arti nelle quali è maggiore
prudenza
com’è la medicina, 1’ architettura
trina delle cose oneste, son oneste a colo-
ro
nienti. La mcrcatanzia
da essere stimata brutta
de e copiosa, e da molti luoghi arrecante
molte cose, e a molti dividentele senza bu-
gia
saziata del guadagno, o vero più tosto con-
tenta
Line 4 341 ⟶ 4 337:
ia3
del porto sì traporterà a’campi
sessioni
essere lodata.
Line 4 353 ⟶ 4 349:
Imperocché di tutte le cose, per le quali
si guadagna alcuna cosa
re che T agricoltura
dante
libero. Della quale assai molte cose ne di-
cemmo in Catone maggiore : pigliane quel-
le cose ora
sto luogo.
Line 4 366 ⟶ 4 362:
Ma come gli uffici sieno menati da quel-
le parti
mi pare che si sia sposto. Ma di quelle me-
desime cose che sono oneste
Line 4 375 ⟶ 4 371:
volte accadere contenzione, e comparazio-
ne di due onesti
quale luogo fu tralasciato da Panezio. Im-
perocché
da quattro parti
la cognizione, l’altra della compagnia, la
terza della magnanimità
moderazione *, necessario è che nello eleg-
gere l’ ufficio, noi spesso facciamo compa-
Line 4 387 ⟶ 4 383:
Piaceci adunque, che quegli uffici sieno
più atti alla natura i quali vengono dalla
compagnia
la cognizione. E questo può essere confer-
mo con questo argomento: imperocché se
■a un savio addiverrà tale vita, eli’ esso sia
ricco
danze di tutte le cose; benché costui con
sommo ozio seco consideri e contempli tut-
te le cose
derazione
sarà tanta solitudine, ch’esso non possa ve-
dere l’uomo, uscirebbe di questa vita. E
principale di tutta la virtù è essa sapienza,
la quale i Greci chiamano sofìa. E la pru-
denza é quella
Line 4 407 ⟶ 4 403:
Jronesis : ma noi intendiamo altra virtù es-
sere questa
mandare e del fuggire le cose. Ma quella
sapienza la quale io chiamai principale
scienza di cose divine ed umane
quale si contiene la comunione e le com-
pagnia tra loro e degli uomini e degli dei.
E se questa è grandissima
essa è, di necessità è che quello ufficio sia
grandissimo
e comunione. Imperocché e’ si conviene che
la cognizione e la contemplazione della na-
tura
non seguita alcuno atto delle cose.
Line 4 425 ⟶ 4 421:
Adunque s’ appartiene alla compagnia della
generazione umana. Adunque questa com-
pagnia e comunione
sta a quella cognizione. E questo ciascuno
ottimo
Imperocché chi è tanto cupido in ragguar-
dare e conoscere la natura delle cose
se a lui trattante e contemplante le cose
degnissime di considerazione
to il pericolo e 1’ avversità della patria
Line 4 449 ⟶ 4 445:
ia6
alla quale si possa sovvenire e aiutare
so non getti via e lasci tutte quelle cose
ancora se esso stimasse potere annoverare le
stelle, e misurare la grandezza del mondo?
£ questo medesimo farà
ricolo del padre, o dell'amico. Per le qua-
li cose s'intende
scienza
della giustizia; i quali s’appartengono alla
utilità degli uomini : della quale niente
debbe all’ uomo essere più caro.
E coloro
vita si rivolta nella cognizione delle cose
non si sono partiti dall’ accrescere l’ utilità
e i commodi degli uomini. Imperocché essi
hanno ammaestrato molti, per la qual cosa
essi fussino migliori cittadini
a’ fatti loro
sia discepolo di Pitagora ammaestrò Epa-
minonda : e Platone, Dione da Siracusa;
Line 4 473 ⟶ 4 469:
se alcuna utilità abbiamo arrecato alla re-
pubblica nostra, a quella venimmo ammae-
strati e adornati da’ dottori
trina.
E non solamente costoro
Line 4 490 ⟶ 4 486:
i2 7
no vivi e presenti ammaestrano
no agli studiosi dello imparare
medesimo essi fanno ancora dopo la morte
co' libri eh' essi hanno lasciati. Imperocché
da costoro non è stato lasciato luogo alcu-
no addietro
leggi > 0 a ’ costumi
repubblica: in modo che e' pare, che co-
storo abbiano conferito ogni lor ozio alle
faccende nostre. Così coloro dati agli stu*
di della dottrina e alla sapienza
lissimamente conferiscono la loro pruden-
za e intelligenza
E per questa cagione ancora è meglio par-
lare copiosamente, purché si faccia con pru-
denza, che considerare acutissimamente sen-
za eloquenza. Imperocché la considerazio-
ne si rinvolta in sé medesima
quenza abbraccia coloro, co’quali noi siamo
congiunti in compagnia.
E come gli sciami delle pecchie
ragunano per cagione di fare i fiedoni; ma,
conciosiacosa che da natura sieno congrega-
bili
to più
no la sollecitudine del fare e del conside-
Line 4 534 ⟶ 4 530:
rare. Adunque se quella virtù la quale e’ pel
difendere degli uomini
pagnia dell’umana generazione
la cognizione delle cose
ne parrà digiuna
Ancora la grandezza dell'animo
compagnia e la congiunzione umana, è una
fierezza è disumanità. E così si fa che la
compagnia e comunione degli uomini
ca lo studio della cognizione.
E non è vero quello che da alcuni si di-
ce
chè noi non potessimo senza gli altri fare
e conseguitare quelle cose, le quali lana-
tura desiderasse
pagnia e congiunzione sia tra gli uomini :
e che se tutte le cose, le quali s’apparten-
gono al vivere e governo nostro, a noi fos-
sino amministrate
si da una vergola divina 5 allora ciascuno
d’ottimo ingegno, lasciale tutte le faccen-
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le fuggirebbe la solitudine, e cercherebbe
il compagno dello studio suo, e vorrebbe
ora insegnare
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(lire. Adunque ogni ufficio che s'appartiene
al difendere la congiunzione e compagnia u-
mana
cio, il quale si contiene nella scienza e co-
gnizione.
Quello ancora forse si dovrebbe sapere
se questa congiunzione, la quale è massima-
mente atta alla natura, sia da essere sempre
ancora preposta alla moderazione e alla mo-
destia. A noi non piace. Imperocché e’ sono .
alcune cose
scellerate
fate
patria. Quelle cose, le quali sono molte,
Posidonio le raglino. Ma alcune di queste '
sono sì brutte e sì scellerate
ancora paiono brutte. Adunque queste tali
cose non piglierà il savio per ragione della
repubblica 5 nè la repubblica vorrà che per
sè esse sieno prese. Ma il fatto è più com-
niodo che questo
imperocché e’ non può accadere tempo, che
alla repubblica s’appartenga, che il savio
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Per la qual cosa questo sia in effetto nel-
lo eleggere gli uffici
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ìào
di uffici eccella
compagnia umana. Imperocché, che l'alto
considerato segua la cognizione e la prudeu-
za, così si fa che il fare consideratamente
di più pregio sia
prudenza. E queste cose basti avere dette
insino a qui. Imperocché egli è stato ma-
nifestato il luogo, eh' ei non è difficile
cercare l'ufficio
essere preposto all'altro. Ma in essa comu-
nione sono i gradi degli uffici, pe’ quali si
può intendere quale avanzi l’altro : che i
primi uffici sono tenuti agl’ iddìi immortali
i secondi alla patria, i terzi a’ padri e alle
madri
tri. Per le quali cose brevemente disputa-
te
solamente sogliono dubitare
onesta o brutta
cose oneste
luogo, come di sopra è detto, fu lasciato
da Panezio. Ma oggimai andiamo alle cose
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