Degli uffici (volgarizzamento anonimo): differenze tra le versioni

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Riga 546:
e della scienza. E già noi abbiamo detto,
della prima fonte dell’ ufficio.
 
Della Giustizia.
 
 
 
Delle tre ragioni le quali restano, lar-
ghissimamente si manifesta quella , per la
quale la compagnia degli uomini tra loro ,
e quasi la communione della vita , si con-
tiene. Della quale due parti sono: la giu-
stizia , nella quale è lo splendore grandis-
simo della virtù , per la quale sono nomi-
nati gli uomini buoni *, e a questa è con-
giunta la beneficenza , la quale medesima-
mente è lecito chiamare benignili, o vero
liberalità. Ma della giustizia è il primo do-
no , che alcuno a nessuno nuoca , se non é
provocato da ingiuria ; dipoi ch’egli usi le
cose comuni per comuni, e le privale come
per sue.
 
Ma da natura nessune cose sono priva-
te: ma sono private o per antica occupa-
zione, come addiviene a coloro, i quali per
lo passato entrarono nelle cose non posse-
dute ; o per vittoria, com’ è in coloro, i
quali le hanno acquistate per battaglia ; o
per legge j o per patto j o per condizione ;
 
 
 
ìS
 
o per sorte. Per la qual cosa è fatto che i
campi arpinati sieno detti degli Arpinali , i
tusculani de’Tusculani. £ simile è la divi-
sione delle possessioni private. Per la qual
cosa poicchè ciascuno possiede per suo di
quelle cose , le quali per natura erano state
comuni*, quello che ad alcuno tocca, quello
 
 
 
alcuno tenga. Per questo se alcuno a sé più
appetirà , costui violerà la ragione dell’ u-
mana compagnia.
 
Ma perchè , come da Platone fu scritto
egregiamente , non a noi soli noi siamo
nati , e del nascimento parte a sé ne attri-
buisce la patria , parte gli amici ; e come
piace agli stoici , quelle cose le quali nelle
terre sono generate , sono create all'uso de-
gli uomini ; e gli uomini sono fatti per ca-
gione degli uomini , acciocché essi tra loro
l’uno faccia prò all'altro ; in questo noi dob-
biamo seguire la natura per guida , e dob-
biamo recare in comune le utilità comuni ,
con permutazione di uffici , dando e riceven-
do ; e , sì colle arti , sì coll’ opera , sì colle
facultà , noi dobbiamo legare la compagnia
degli uomini tra loro.
 
 
 
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CAPO VII.
 
Della Fede.
 
 
 
 
Ma il fondamento della giustizia è la fede:
cioè la costanza e la verità di quello che noi
abbiamo detto , o abbiamo pattuito. Per la
qual cosa , benché questo forse parrà a qual-
cuno duro , nientedimeno noi avremo ardire
di seguitare gli stoici , i quali studiosamente
cercano donde le parole sieuo dette : e cre-
deremo che la fede sia chiamata, perchè e’
si fa quello che è detto.
 
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CAPO Vili.
 
Due ragioni d'ingiustizia.
 
Ma due ragioni sono d'ingiustizia: l’una
di coloro i quali muovono l’ingiuria ; l’altra
di coloro, da’ quali non è rimossa l'ingiu-
ria, se da loro si può , quando a loro essa è
fatta. Imperocché chi ingiustamente fa im-
peto contro ad alcuno , commosso o da ira
o da qualche perturbazione, costui par che
metta le mani addosso al compagno. Ma chi
 
 
 
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non si difeude e non si oppone all’ ingiuria ,
se egli può, tanto è in vizio, quanto se egli
abbandonasse il padre e la madre , o gli ami-
ci, ola patria.
 
 
 
CAPO IT.
 
Diverse ragioni cC ingiurie.
 
£ quelle ingiurie, le quali a studio sono
fatte per cagione di nuocere, spesso proce-
dono da paura : quando colui il quale pensa
nuocere a altri , teme cbe se egli non fa
quello, esso non sia preso da qualche in-
comodità. Ma la grandissima parte sono as-
salili al fare l' ingiuria , acciocché essi ac-
quistino quelle cose, le quali eglino hanno
desiderate : nel qual vizio larghissimamente
sì manifesta l’avarizia.
 
Ma le ricchezze sono desiderate sì agli usi
necessari della vita , e sì all’ usare le vo-
luttà. Ma in chi è maggiore animo, in co-
storo la cupidità delle pecunie ragguarda
alla potenza, e alla facultà del farsi grato.
Come , novellamente , Marco Crasso negava
alcuua roba essere assai grande a colui, il
 
 
 
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quale nella repubblica volesse essere prin-
cipale, se de’ frutti di quella egli non po-
tesse nutricare 1' esercito. Dilettano ancora
i magnifici apparati , e i fornimenti del go-
verno della vita con eleganzia e copia. Per
le quali cose è fatto, che la cupidigia delle
pecunie sia infinita. Ma l’amplificazione della
roba tua non debbe essere ripresa , quando
essa non nuoce ad alcuno ; ma V ingiuria
sempre debbe essere fuggita.
 
Ma massimamente sono molti indotti , che
dalla dimenticanza della giustizia essi sono
presi , quando essi sono cascati nella cu-
pidigia degli imperii, degli onori, e della
gloria. Imperocché quello che è appresso
a Ennio , nessuna cupidigia del regno è
santa , e non e’ è fede , largamente si ma-
nifesta. Imperocché ciò che è in questo mo-
do , che in quello non si possono fare grandi
più uomini , in tal cosa molte volte si fa
tanta contesa , che malagevolissima cosa sia
conservare la santa compagnia. Tal cosa è
stata dimostrata ora dalla temerità di Caio
Cesare ; il quale ha rivolto tutte le ragioni
umane e divine, per acquistare quello prin-
cipato , il quale con errore di sua opinione
 
 
 
2 *
 
a sé aveva finto convenirsi. Ma in questa
tal virtù è molesto , che spesse volte negli
animi grandissimi, e negli splendidissimi in*
gegni , sono cupidigie dell’onore , dello im-
perio, della potenza, e della gloria : per
la qual cosa tanto più è da guardarsi, che
in lai cosa non si pecchi.
 
Ma in ogni ragione d' ingiustizia , molto
si differenzia, se per qualche perturbazione
di animo ( la quale molle volte è breve e
a tempo) o se con consiglio sia fatta l’ingiu-
ria , e pensatamente. Imperocché più leg-
giere sono quelle cose , le quali accaggiono
con subito movimento , che quelle le quali
sono fatte innanzi pensate, e con prepara-
zione. E del muovere ingiuria assai già ne
sia detto.
 
CAPO x.
 
Le cagioni della seconda ragione
dell' ingiustizia.
 
Più sogliono essere le cagioni del lasciare
la difesa , e dell’ abbandonare chi tu sei te-
nuto a difendere. Imperocché questi tali uo-
mini non vogliono ricevere nimicizie , o fati-
 
 
 
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a3
 
che ,*o spese; ovvero ancora, ciò non fanno
per pigrizia, o per dappocaggine, o perchè
essi non l’apprezzino: ovvero essi da certi
loro studi e occupazioni cosi sono impedi-
ti , che coloro i quali da loro debbono es-
sere difesi, gli abbandonano, e patiscono
che eglino sieno offesi. Adunque è da ve-
dere che non assai è quello che da Platone
fu detto contro i filosofi, che perchè eglino
si rivoltano nella investigazione del vero ,
e spregiano quelle cose le quali molti gran-
demente desiderano , per le quali essi tra
loro combattono, per questo essi stimano
essere giusti. Imperocché conciosiacchè egli-
no conseguitino l’uno modo della giustizia,
che essi non nuocono ad alcuno , essi ca-
scano nell’ altra ingiuria : imperocché im-
pediti dallo studio dello imparare, eglino
abbandonano chi da loro doveva essere di-
feso. E così coloro stimano, ch’eglino non
debbano andare a governare la repubblica,
se non costretti: più giusta cosa era, che
eglino andassi no di loro volontà ; imperoc-
ché quello è giusto il quale è fatto retta-
mente , se egli è volontario.
 
Ma e sono ancora alcuni , i quali per lo