Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/217: differenze tra le versioni
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Non fu Dinarzade questa notte sollecita quanto la precedente, ma non tralasciò di chiamare prima di giorno la Sultana, e pregarla di continuare la storia del terzo calendero. Scheherazade la proseguì, facendo sempre parlare il calendero a Zobeide: |
Non fu Dinarzade questa notte sollecita quanto la precedente, ma non tralasciò di chiamare prima di giorno la Sultana, e pregarla di continuare la storia del terzo calendero. Scheherazade la proseguì, facendo sempre parlare il calendero a Zobeide: |
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— « Signora, avendomi uno dei dieci giovani guerci tenuto il discorso che riferii, m’avvolsi nella pelle del montone munito del coltello, e quando si furono data la pena di cucirmi dentro, mi lasciarono colà, e |
— « Signora, avendomi uno dei dieci giovani guerci tenuto il discorso che riferii, m’avvolsi nella pelle del montone munito del coltello, e quando si furono data la pena di cucirmi dentro, mi lasciarono colà, e ritiraronsi dal salone. Non istette lungo tempo il ''roc'' a farsi vedere; piombò su di me, ed afferratomi fra gli artigli credendomi un montone, mi trasportò sulla vetta d’un monte. |
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« Sentitomi a terra, non mancai di servirmi del coltello; tagliai la pelle, e sbarazzatomene, comparvi al ''roc'', il quale, appena mi vide, volò via. È il ''roc'' un uccello bianco, di grandezza e grossezza mostruosa: la sua forza è tale che rapisce gli elefanti nelle pianure, e li porta sulla cima delle montagne, ove li divora. |
« Sentitomi a terra, non mancai di servirmi del coltello; tagliai la pelle, e sbarazzatomene, comparvi al ''roc'', il quale, appena mi vide, volò via. È il ''roc'' un uccello bianco, di grandezza e grossezza mostruosa: la sua forza è tale che rapisce gli elefanti nelle pianure, e li porta sulla cima delle montagne, ove li divora. |