Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/84: differenze tra le versioni

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Nè vi cercate que’ tratti vivaci che, massime nei moderni, colpiscono e fermano; ma piuttosto uno splendore equabilmente diffuso sul tutto, una continua grandiloquenza. Nell’arte di dar risalto alle ragioni, non sia chi pretenda superarlo: ma non s’accontenta a ciò; e vuol recare diletto, si indugia in descrizioni, digredisce or intorno alle leggi, or alla filosofia, or alle usanze<ref>Che Cicerone riponesse in ciò la finezza dell’arte, appare dal vedere come la mancanza di digressioni sia da lui presa per segno di rozzezza negli antichi, ai quali appone che «nemo delectandi gratia digredi parumper a causa posset», ''Brutus,'' 91. — Cicerone (diceva Apro nel dialogo ''Della corrotta eloquenza,'' che si attribuisce a {{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacito}}) fu il primo a parlar regolato, a scegliere le parole e comporle con arte; tentò leggiadrie; trovò sentenze nelle orazioni che compose sull’ultimo, quando il giudizio e la pratica gli aveano fatto conoscere il meglio, perchè l’altre non mancavano di difetti antichi, proemj deboli, narrazioni prolisse; finisce e non conclude, tardi si commuove; si riscalda di rado; pochi concetti termina perfettamente e con certo splendore; non ne cavi, non ne riporti; è quasi muro forte e durevole, ma senza intonaco e lustro».</ref>; celia sopra gli altri e sopra sè stesso; singolarmente primeggia nel muovere gli affetti. Sempre poi si atteggia in prospettiva, e ad ogni periodo, ad ogni voce lascia trasparire il lungo artifizio. Di qui la purezza insuperabile del suo stile; di qui il finito d’ogni parte, e il non produrre mai un’idea se non vestita nobilmente; talchè osiam dire che nessuno abbia meno difetti e maggiori bellezze.
Nè vi cercate que’ tratti vivaci che, massime nei moderni, colpiscono e fermano; ma piuttosto uno splendore equabilmente diffuso sul tutto, una continua grandiloquenza. Nell’arte di dar risalto alle ragioni, non sia chi pretenda superarlo: ma non s’accontenta a ciò; e vuol recare diletto, si indugia in descrizioni, digredisce or intorno alle leggi, or alla filosofia, or alle usanze<ref>Che Cicerone riponesse in ciò la finezza dell’arte, appare dal vedere come la mancanza di digressioni sia da lui presa per segno di rozzezza negli antichi, ai quali appone che «nemo delectandi gratia digredi parumper a causa posset», ''Brutus,'' 91. — Cicerone (diceva Apro nel dialogo ''Della corrotta eloquenza,'' che si attribuisce a {{AutoreCitato|Publio Cornelio Tacito|Tacito}}) fu il primo a parlar regolato, a scegliere le parole e comporle con arte; tentò leggiadrie; trovò sentenze nelle orazioni che compose sull’ultimo, quando il giudizio e la pratica gli aveano fatto conoscere il meglio, perchè l’altre non mancavano di difetti antichi, proemj deboli, narrazioni prolisse; finisce e non conclude, tardi si commuove; si riscalda di rado; pochi concetti termina perfettamente e con certo splendore; non ne cavi, non ne riporti; è quasi muro forte e durevole, ma senza intonaco e lustro».</ref>; celia sopra gli altri e sopra sè stesso; singolarmente primeggia nel muovere gli affetti. Sempre poi si atteggia in prospettiva, e ad ogni periodo, ad ogni voce lascia trasparire il lungo artifizio. Di qui la purezza insuperabile del suo stile; di qui il finito d’ogni parte, e il non produrre mai un’idea se non vestita nobilmente; talchè osiam dire che nessuno abbia meno difetti e maggiori bellezze.