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turbavano i governi locali; alla concessione di indulti e dispense davano aria di traffico. Le badie si conferivano all’intrigo, alla parentela, alle aderenze, e con ciò perigliavasi la morale del monaco o del prelato, il quale in sostanza era un cavaliero, la cui secolaresca condotta non trovava freno nelle ammonizioni de’ superiori e nelle decisioni de’ concilj, assiduamente attenti a correggere la disciplina. I papi s’impicciolivano anche in divisamenti politici, ispirati da interessi e passioni: {{AutoreCitato|Papa Clemente IV|Clemente IV}} offrir la Sicilia ai Provenzali per sottrarla agli Svevi; Nicola III ideare di spartir l’Impero in quattro regni ereditarj: la Germania pei figliuoli di Rodolfo d’Austria; il regno d’Arles per Carlo Martello; la Lombardia e la Toscana a due Orsini suoi nipoti.
DANTE

turbavano i governi locali; alla concessione di indulti e dispense
Con ciò, dal magnifico concetto del medioevo scendeasi fino alla principesca grettezza odierna. Chi, nel dolersi Dante che il mondo sia sossopra perchè Roma «confonde in sè due reggimenti», vede una disapprovazione del dominio temporale, attribuisce frivola causa a grandissimi effetti. Bensì egli allude, o piuttosto fa alludere da uno de’ suoi interlocutori (Marco) alla prevalenza dei papi sugli imperatori: chè quel che allora chiamavasi poter temporale non consisteva nel possesso di un piccolo territorio in Italia, bensì nella supremazia del pontefice su tutti i signori cristiani, considerandoli come delegati da quello a governare le cose temporali. E Dante era talmente alieno dal disputare al papa una città o un territorio, che non solo trova sconveniente il dubitare che i papi ne abusino<ref>«Dicere quod Ecclesia abutatur patrimonio sibi deputato, est valde inconveniens». ''De Monarchia'' II, 12.</ref>, non solo esalta Matelda, così larga di beni terreni a coloro che dispensano i beni celesti, ma gli balenò un pensiero di filosofia della storia, quasi che tutti i fatti dei Trojani e del Lazio fossero coordinati affinchè grandeggiasse la città «ove siede il successor del maggior Pietro». Bensi repugnava da quelle guerre della tiara colla spada, ove la passione peggiorava il diritto, ove da una parte scarseggiava la fede, dall’altro la carità. L’Impero, sublime concezione per render morale la forza, legittima la dominazione, durevole la pace, era degenerato nell’aspirazione di render ereditaria una dignità, per essenza elettiva, e di connettere alla Germania l’Italia. {{AutoreCitato|Federico II|Federico II}}, un de’ maggiori principi, appunto colla sua grandezza e colle sue arti aveva {{Pt|chia-|}}
davano aria di traffico. Le badie si conferivano all'intrigo, alla pa-
rentela, alle aderenze, e con ciò perigliavasi la morale del monaco
o del prelato , il quale in sostanza era un cavaliero , la cui seco-
laresca .condotta non trovava freno nelle ammonizioni de' superiori
e nelle decisioni de' concilj , assiduamente attenti a correggere la
disciplina. I papi s'impicciolivano anche in divisamenti politici, ispi-
rati da interessi e passioni: Clemente IV offrir la Sicilia ai Provenzali
per sottrarla agli Svevi; Nicola III ideare di spartir l'Impero in
quattro regni ereditari : la Germania pei figliuoli di Rodolfo d'Austria;
il regno d'Arles per Carlo Martello ; la Lombardia e la Toscana a
due Orsini suoi nipoti.
Con ciò, dal magnifico concetto del medioevo scendeasi fino alla prin-
cipesca grettezza odierna. Chi, nel dolersi Dante che il mondo sia sosso-
pra perchè Roma « confonde in sè due reggimenti », vede una disap-
provazione del dominio temporale, attribuisce frivola causa a gran-
dissimi effetti. Rensì egli allude, o piuttosto fa alludere da uno de' suoi
interlocutori (Marco) alla prevalenza dei papi sugli imperatori : che
quel che allora chiamavasi poter temporale non consisteva nel possesso
di un piccolo territorio in Italia, bensì nella supremazia del pon-
tefice su tutti i signori cristiani, considerandoli come delegati da
quello a governare le cose temporali. E Dante era talmente alieno
dal disputare al papa una città o un territorio, che non solo trova
sconveniente il dubitare che i papi ne abusino (45), non solo esalta
Matelda, cosi larga di beni terreni a coloro che dispensano i beni
celesti, ma gli balenò un pensiero di filosofia della storia, quasi che
tutti i fatti dei Trojani e del Lazio fossero coordinati affinchè gran-
deggiasse la città « ove siede il successor del maggior Pietro » . Rensi
repugnava da quelle guerre della tiara colla spada, ove la passione
peggiorava il diritto, ove da una parte scarseggiava la fede, dall'altro
la carità. L'Impero, sublime concezione per render morale la forza,
legittima la dominazione , durevole la pace, era degenerato nell'a-
spirazione di render ereditaria una dignità, per essenza elettiva, e
di connettere alla Germania l'Italia. Federico II, un de' maggiori
principi, appunto colla sua grandezza e colle sue arti aveva chia-
(45) « Dicere quod Ecclesia abutalur patrimonio 55ibi deputato, est valde inconve-
niens ». De Monarchia li, 12.