Attraverso l'Atlantico in pallone/Capitolo 21 - Madera: differenze tra le versioni

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Se la corrente che li spingeva ora con grande celerità verso nord-nord-est si manteneva costante, gli aeronauti, dopo tante pericolose avventure passate in quei pochi giorni dacché erravano sopra l’immenso oceano, potevano ancora sperare di raggiungere le coste europee e di sfuggire alla grande corrente dei venti alisei, che scende lungo le coste africane, piegando verso le coste americane all'altezza del Tropico del Cancro. Con una rapida marcia di quarantotto ore e fors’anche meno potevano attraversare la distanza che li separava dal primo parallelo europeo, che taglia dritto le colonne d’Ercole o meglio lo Stretto di Gibilterra. Per un vascello, forse pure dotato d’una macchina a vapore di grande forza, sarebbe stata una pazzia quella speranza, ma con il loro aerostato, che procedeva con la velocità del vento, quello spazio ancora immenso era cosa da poco. Bastava che quella velocità di quarantadue chilometri non diminuisse. Il ''Washington'' però, perdeva continuamente gas e non si manteneva a quell’altezza di 3000 metri che a grande fatica. Di quando in quando faceva delle brusche cadute, quantunque da poche ore fosse stato alleggerito di altri cinquanta chilogrammi di zavorra, e penava assai a riprendere il livello iniziale. Le estremità dei due fusi cominciavano a disegnare delle pieghe, che diventavano di ora in ora più considerevoli. EÈ bensì vero che gli aeronauti possedevano trecentocinquanta chilogrammi di zavorra e trecento metri cubi di idrogeno, immagazzinati nei cilindri, tuttavia erano inquieti, perché il vento poteva improvvisamente cambiare ancora direzione e respingerli nell’Atlantico.
 
Alle quattro pomeridiane l’ingegnere vedendo che il ''Washington'' pur continuando la sua rapida marcia, scendeva a vista d’occhio, temendo che sotto quella corrente favorevole soffiassero gli alisei, si decise a rinvigorire i palloni, introducendo nelle loro manichette cinquanta metri cubi di idrogeno ciascuno. Quell’operazione, oltre a far sparire le pieghe, contribuì ad accelerare la marcia, poiché essendo l’aerostato salito a 3000 metri, aveva acquistato una maggiore velocità, dato che la corrente a quella considerevole altezza è più forte.
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«Che sia il terreno che rende così buono quel vino?»
 
«Così deve essere, e pare che la sua fertilità derivi da un terribile incendio che durò sette anni.»
 
«Ma chi lo accese?»
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«Ma non sono molti anni che questi vini sono diventati celebri.»
 
«Tutt’altro, caro amico. Fin dal 1445 il navigatore veneziano Ca’daCa’ da Mosto li fece conoscere, vantandone le squisitezze, e Francesco I, re di Francia, che fu il primo che lo bevette in Europa e confermò la sua straordinaria bontà, rendendolo di colpo famoso.»
 
In quell’istante l’aerostato virò bruscamente di bordo, descrivendo mezzo giro su se stesso e imprimendo alla navicella un largo dondolìo.
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«Magra speranza, O’Donnell. L’Atlantico è immenso e i miei amici non possono sapere dove il vento ci ha spinto. Non dobbiamo contare che sulle nostre forze.»
 
«Ma mi sembra, Mister Kelly, che il nostro idrogeno si condensi molto lentamente questa sera., perché non abbiamo ancora cominciato la discesa.»
 
«Ci troviamo in una corrente d’aria assai calda, e il nostro ''Washington'' è stato rinvigorito poche ore fa, ma cadremo, O’Donnell, ve lo assicuro. Intanto annodiamo tutte le funi disponibili e prepariamoci a calare i nostri coni.»