Attraverso l'Atlantico in pallone/Capitolo 15 - La nave dei morti: differenze tra le versioni

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Perdurando la calma, l’aerostato si avvicinava alla nave con estrema lentezza, essendovi appena appena un soffio d’aria, e non sempre continuo. Era molto se i due fusi percorrevano uno spazio di cinque o sei chilometri all’ora, mentre quel rottame si trovava lontano trenta e anche più.
 
A mezzodì anche quel leggerissimo alito di vento venne a mancare, e il ''Washington'' rimase immobile a ventidue o ventiquattro chilometri di distanza. Però verso le tre, quando il gran calore, che aveva raggiunto la spaventevole cifra di 42°, cominciò a scemare, s’alzò una brezza miun po’ fresca, che lo spinse con la velocità di otto chilometri all’ora.
 
Fortunatamente non aveva cambiato direzione, e il ''Washington'' continuava ad abbassarsi. In un altro momento quella discesa sarebbe stata rimpianta dagli aeronauti: ora invece la benedicevano, poiché permetteva loro di abbordare il rottame senza sacrificare l’idrogeno. Alle quattro pomeridiane l’oceano non era che a centocinquanta metri e la nave a soli dieci chilometri.
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Alle cinque il ''Washington'' si trovava a soli tre chilometri dalla nave. Il venticello lo spingeva proprio sopra di essa.
 
L’ingegnere fece attaccare l’ancorotto a patte alle ''guide-rope'' e calò quasi a fior d acquad’acqua: per maggior precauzione fece calare anche i due coni, per fermare prontamente l’aerostato, se il vento lo avesse sospinto al largo.
 
Alle cinque e un quarto il ''Washington'' si trovava a poche decine di passi dal rottame, il quale era immobile come un cadavere abbandonato in mezzo ad un bacino d’acqua tranquilla. Sul ponte, un cane enorme, dal pelame nero, guardava con due occhi ardenti il pallone che s’avvicinava, facendo udire dei sordi brontolii.
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«Non sentite delle pestifere esalazioni salire fino a noi?»
 
«Per mille merluzzi! EÈ odore di morti questo!» esclamò l’irlandese, impallidendo.
 
Ed era vero. Da quel vascello abbandonato sull’oceano, senza alberi, senza vele, semirovesciato, preda sicura del primo uragano, saliva un tanfo di carne corrotta che appestava l’aria. Si sarebbe detto che portava un carico di cadaveri: come un sinistro cimitero galleggiante!»
 
L’ingegnere e O’Donnell, entrambi in preda a grand’emozione, cercavano di discernere qualcosa attraverso il boccaporto maestro, che era spalancato come la bocca d’una tenebrosa voragine, ma invano.
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«Udite nessun rumore, nessun gemito?»
 
«Regna un silenzio di tomba., Mister Kelly. Qui devono essere tutti morti, e forse da qualche settimana.»
 
«Temo un grave pericolo, O’Donnell.»