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tra la moltitudine de le donne suol avvenire, sovra cosí pietoso caso varie cose dicevano e tutte generalmente con agre rampogne il signor Timbreo biasimavano. Erano per la maggior parte intorno al letto de la giovane inferma. Onde Fenicia, avendo ottimamente inteso quello che detto s’era, ripigliando alquanto di lena e veggendo che per pietá di lei quasi tutte lagrimavano, con deboi voce pregò tutte che s’acchetassero. Poi cosí languidamente disse: — Onorande madri e sorelle, rasciugate ornai queste lagrime, perciò che a voi non giovano ed a me sono elle di nuova doglia cagione, e al caso occorso niente di profitto recano. Egli è cosí piacciuto a nostro signor Iddio e conviene aver pazienza. La doglia che io acerbissima sento e che mi va a poco a poco troncando lo stame de la vita, non è ch’io sia repudiata, ancor che senza fine mi doglia; ma il modo di questo repudio è quello che mi trafigge fin su ’l vivo e che senza rimedio mi accora. Poteva il signor Timbreo dire che io non gli piaceva per moglie, e il tutto stava bene; ma col modo che mi rifiuta, io so che appo tutti i messinesi io acquisto biasimo eterno di quel peccato che mai, non dirò feci, ma certo di far non ci pensai giá mai. Tuttavia io come putta sarò sempre mostrata a dito. Io ho sempre confessato, e di nuovo confesso, che il grado mio non s’agguagliava a tal cavaliere e barone qual è il signor Timbreo, ché tanto alto maritarmi le poche facultá dei miei non ricercavano. Ma per nobiltá ed antiquitá di sangue si sa quello che sono i Lionati, come quelli che sono i piú antichi e nobili di tutta questa isola, essendo noi discesi da nobilissima famiglia romana prima che il signor nostro Giesu Cristo incarnasse, come per antichissime scritture si fa fede. Ora, si come per le poche ricchezze dico che io non era degna di tanto cavaliere, dico altresí che indegnissimamente sono rifiutata, conciò sia cosa chiarissima che io mai non ho pensato di dar di me ad altrui quello che il diritto vuole che al marito sia serbato. Sallo Iddio che io dico il vero, il cui santo nome sempre sia lodato e riverito. E chi sa se la maestá divina con questo mezzo mi voglia salvare? Ché forse, essendo tant’alto maritata, mi sarei levata in superbia e divenuta altiera con
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tra la moltitudine de le donne suol avvenire, sovra cosi pietoso
caso varie cose dicevano e tutte generalmente con agre ram¬
pogne il signor Timbreo biasimavano. Erano per la maggior
parte intorno al letto de la giovane inferma. Onde Fenicia, avendo
ottimamente inteso quello che detto s’era, ripigliando alquanto
di lena e veggendo che per pietà di lei quasi tutte lagrimavano,
con deboi voce pregò tutte che s’acchetassero. Poi cosi langui¬
damente disse: — Onorande madri e sorelle, rasciugate ornai
queste lagrime, perciò che a voi non giovano ed a me sono elle
di nuova doglia cagione, e al caso occorso niente di profitto re¬
cano. Egli è cosi piacciuto a nostro signor Iddio e conviene
aver pazienza. La doglia che io acerbissima sento e che mi va a
poco a poco troncando lo stame de la vita, non è ch’io sia repudiata,
ancor che senza fine mi doglia; ma il modo di questo repudio è
quello che mi trafigge fin su ’l vivo e che senza rimedio mi
accora. Poteva il signor Timbreo dire che io non gli piaceva
per moglie, e il tutto stava bene; ma col modo che mi rifiuta,
io so che appo tutti i messinesi io acquisto biasimo eterno di
quel peccato che mai, non dirò feci, ma certo di far non ci
pensai già mai. Tuttavia io come putta sarò sempre mostrata
a dito. Io ho sempre confessato, e di nuovo confesso, che il
grado mio non s’agguagliava a tal cavaliere e barone qual è il
signor Timbreo, ché tanto alto maritarmi le poche facultà dei
miei non ricercavano. Ma per nobiltà ed antiquità di sangue
si sa quello che sono i Lionati, come quelli che sono i più an¬
tichi e nobili di tutta questa isola, essendo noi discesi da nobi¬
lissima famiglia romana prima che il signor nostro Giesu Cri¬
sto incarnasse, come per antichissime scritture si fa fede. Ora,
si come per le poche ricchezze dico che io non era degna di
tanto cavaliere, dico altresi che indegnissimamente sono rifiutata,
conciò sia cosa chiarissima che io mai non ho pensato di dar
di me ad altrui quello che il diritto vuole che al marito sia
serbato. Sallo Iddio che io dico il vero, il cui santo nome sem¬
pre sia lodato e riverito. E chi sa se la maestà divina con
questo mezzo mi voglia salvare? Ché forse, essendo tant’alto
maritata, mi sarei levata in superbia e divenuta altiera con
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