Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/28: differenze tra le versioni

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Chiusa, quindici miglia da Avignone, donde scaturisce il Sorga re di totte le fonti. Innamorato della dolcezza del sito, mi vi recai in compagnia de’ miei libri. Lungo sarebbe il raccontare di tuttociò che vi feci nel corso di molti anni; ricorderò solamente che ivi o scrissi, o posi mano, o immaginai quante opere mi uscirono della penna; le quali tante furono, che io ne sono insino al giorno d’oggi stanco, anzi rifinito. Perchè avendomi la natura dotato di tempere più operative che robuste, mi convenne lasciar da parte assai cose; cui se m’ era difficile a concepire, a condurle poi non mi bastavano le forze. E qui l'aspetto medesimo de' luoghi, mi suggerì di comporre la Bucolica e i due libri della vita solitaria, che intitolai a quel Filippo, che sempre grande, era allora vescovo della piccola Cavaglione, e adesso, fatto cardinale, occupa l'illustre seggio Sabinense; unico che mi sopravviva di tanti amici; ed egli, non episcopalmente come Ambrogio Agostino, ma fraternamente, amommi e mi ama. Frattantochè traeva libera vita tra quei monti, un venerdì santo mi cadde in pensiero di scrivere un eroico poema che celebrasse quel primo Scipione africano, il cui nome fin da giovinetto, m’era stato carissimo. Il quale, quantunque mi vi mettessi con tutto l’ingegno, dovetti di corto abbandonare,
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Chiusa, quindici miglia da Avignone, donde
scaturisce il Sorga re di totte le fonti. In¬
namorato della dolcezza del sito, mi vi re¬
cai in compagnia de’ miei libri. Lungo sa¬
rebbe il raccontare di tuttociò che vi feci
nel corso di molti anni; ricorderò solamente
che ivi o scrissi, o posi mano, o immaginai
quante opere mi uscirono della penna ; le
quali tante furono, che io ne sono insino
al giorno d’oggi stanco, anzi rifinito. Perchè
avendomi la natura dotato di tempere più
operative che robuste, mi convenne lasciar
da parte assai cose ; cui se m’ era difficile
a concepire, a condurle poi non mi basta¬
vano Je forze. E qui V aspetto medesimo
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lica e i due libri della vita • solitaria, che
intitolai a quel Filippo, che sempre grande,
era allora vescovo della piccola Cavaglie¬
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lustre seggio Sabinense ; unico che mi so¬
pravviva di tanti amici; ed egli, non epi¬
scopalmente come Ambrogio Agostino, ma
fraternamente, a mommi e mi ama. Frat-
tantochè traeva libera vita tra. quei mon¬
ti, un venerdì santo mi cadde in pensiero
di scrivere un eroico poema che celebrasse
quel primo Scipione africano, il cui nome
fin da giovinetto, m’era stato carissimo. Il
quale, quantunque mi vi mettessi con tutto
l’ingegno, dovetti di corto abbandonare,