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Versione delle 18:49, 4 set 2017

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     Che per un’ala alfin mi venne in mano
Mi avvidi allor di quel, che fosse Amore;
     Che nel pigliarlo, ei m’impiagò la mano
     Ma dalla mani corse il veleno al core.


FRANCESCO MARIA CARAFFA.


I


Lasso! E quando! fia mai; che un sol momento
     Di non caduca pace abbia il mio core?
     Vivo tra fiamme, e al pertinace ardore
     L’onda del pianto mio porge alimento.
5E se tra mille strazi un sol contento
     Talor mi dona ’l mio tiranno Amore:
     Tosto il piacer degenera in dolore,
     E dal diletto mio nasce il tormento.
la serie de’ miei casi il fato
     10Di rotte fila ha di sua mano ordita,
     Che manca e muore il bene appena nato.
Mista alla gioia mia doglia infinita
     Ritrovo sempre; e in sì penoso stato,
     Vivendo io, moro, e sol morendo ho vita.


II


Sin da primi anni or vilipeso: or grato
     Servii pien di speranza, e di timore;
     Molt’oprai, nulla ottenni; onde il mio core,
     Vano conobbe il contrastar col fato.
5Quindi lasciando nel bel volto amato
     Tutta la speme mia, meco il dolore
     Peregrinando io trassi, e meco Amore,
     L’alma accesa, il piè avvinto, e ’l cor piagato.
Giunto nell’Adria alfine, in fra quell’acque
     10Spensi il foco primier, ma quivi ancor
     Vie più cocente ardor poi ne rinacque.
sento Amor, che mi ridice ognora:
     Se un antico desìo già teco nacque,
     Vuò, che nuovo dolor teco si more.