Pagina:Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu/195: differenze tra le versioni
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Tu mi preghi per lei, Elena, mi trovi severo, ingiusto, mi dimandi pietà. Tante parole? Non era necessario dirmi ingiusto; tu non la conosci e non sai! Mi pareva più opportuno che restasse dov’è, fuori del mondo, sotto la vigilanza, però, di persona fidata. Ma verrà in Roma, e verrà in casa mia, perchè ella è tale che io non posso lasciarla qui sola, libera di scegliersi l’ambiente e le amicizie che più le talentano. Non pensare a me, cara Elena, nè alla moglie ideale che mi desideri. Non amo, non amerò mai; non vi è più tempo nella mia vita, non vi è più posto nel mio cuore per quest’amara vanità; e una famiglia mi sarebbe d’impedimento. Ho già la cara famiglia delle mie idee. Sai che tua madre diceva qualche volta: già, quando Daniele sposa un’idea! Ecco, ne ho sposate, le amo, le possiedo, e se Dio ci aiuta metteremo insieme al mondo una forte prole. Lo diceva ieri sera a M. camminando al chiaro di luna sotto i lecci della Trinità dei Monti. M., con tutta la sua imbottitura di stoppa che chiama statistica e la sua gotta che chiama nevralgia, è innamorato morto e mi faceva le sue confidenze. Poi mi chiese le mie. Io gli mostrai la luna. «Oramai» dissi «non capisco altri amanti che Caligola: ''plenam fulgentemque lunam invitabat assidue in amplexus''.» Questo è un latino che intendi anche tu. |
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Ah, cara Elena, quante volte, pensando ai miei ideali |
Ah, cara Elena, quante volte, pensando ai miei ideali mi faccio l’effetto di un babbeo che contempla la luna con una scala in mano! Per fortuna sono dubbi che passano, e la mia fede in me stesso è pronta a ben più dure prove che le presenti. Ma che lavoro ingrato su questo floscio buon senso italiano che domanda a tutte le audacie il bilancio preventivo |