Pagina:Archivio storico italiano, VIII, 4, 1858.djvu/452: differenze tra le versioni

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dell’asino affatto anch’io, voglio lasciar tutte l’asinità da banda, e per conservarmi suo servitore voglio credere che la mia canzone non sia comparsa innanzi alla sua presenzia; anzi, che habbia preso altro viaggio, non già per colpa del suo secretario, ma del procaccio o della mia mala sorte: benchè, da poi che io gravai il suo secretario di questo, non mi par che sia proceduto meco con quella piena et allegra faccia che soleva per avanti; anzi, mi par che si sia ritirato da me, e che sia andato meco a meza aria, e m’habbia da quel tempo in qua sempre guardato con uno occhio buono e un tristo; benchè io non havendo fatto il perchè, ho pensato che ció sia proceduto più tosto per suo difetto che per mia colpa. Basta, che per ogni rispetto voglio credere, come ho detto, che per mera mia mala sorte, e non per altrui colpa la mia canzone non le sia stata presentata: e vo’ creder cosí, perchè ogni volta che io credessi altramente, non potrei far buon giudicio nè del suo giudicio nè della sua cortesia, senza far cattivo giudicio del mio giudicio e della mia poesia: perchè se’ o giudicassi che ella havesse havuto buon giudicio a giudicar la mia canzone indegna di risposta, verrei a dannare il mio giudicio, che l’ha giudicata e giudica degna non sol di risposta, ma di ricognitione: sì che, per non dannare il suo giudicio e salvare il mio, voglio credere, come haveva cominciato a credere fin da principio, che non l’habbia havuta. E se ne posso uscir con honore questa volta con la Eccellenza Vostra, non mi voglio mai più impacciar con principi, perchè non m’intravenga con gli altri quel che m’è intravenuto col duca di Ferrara, che per havergli presentato una canzone fatta da me a lui e per lui nella superba entrata ch’egli fece in Venetia, non mi vuol più nè veder nè parlare, come se l’havessi ingiuriato a lodarlo. Questa fu pur mera mia fortuna contraria: che Sua Eccellenza, come cortese, ordinò che tutti gli scrittori che in Venetia l’havevano co’ lor versi honorata, fosser riconosciuti; e tutti furono premiati, da me in fuora, che l’haveva honorata a par degli altri, e l’ега servitore in Francia e in Italia più antico degli altri: benchè il signor ambasciatore e iI signor Pigna lo salvarono, al solito, dicendo: che il duca non riconobbe me in Venetia, perchè mi haveva riconosciuto in Ferrara innanzi che io canzonassi. Io non so in qual libro s’habbiano studiato queste lor filosofie il signor ambasciator e il signor Pigna: chè se uno fa una canzone in lode di un morto, debbia quel morto in persona ringratiare e riconoscere il canzonatore, e non il fratello e ’l cognato del morto; e se la fa in lode di un vivo, che quel vivo il debbia e possa riconoscere col beneficio passato. L’Etica che io leggo a me medesimo et alla mia servente mi par che dica così: non so come si dica quella che legge il signor Pigna a se medesimo et al suo servitore; che il liberale, fatto che ha il beneficio, non se ne debba ricordar più, e che sta al beneficato il ricordarsene: come feci
dell’asino affatto anch’io, voglio lasciar tutte l’asinità da banda, e per conservarmi suo servitore voglio credere che la mia canzone non sia comparsa innanzi alla sua presenzia; anzi, che habbia preso altro viaggio, non già per colpa del suo secretario, ma del procaccio o della mia mala sorte: benchè, da poi che io gravai il suo secretario di questo, non mi par che sia proceduto meco con quella piena et allegra faccia che soleva per avanti; anzi, mi par che si sia ritirato da me, e che sia andato meco a meza aria, e m’habbia da quel tempo in qua sempre guardato con uno occhio buono e un tristo; benchè io non havendo fatto il perchè, ho pensato che ció sia proceduto più tosto per suo difetto che per mia colpa. Basta, che per ogni rispetto voglio credere, come ho detto, che per mera mia mala sorte, e non per altrui colpa la mia canzone non le sia stata presentata: e vo’ creder cosí, perchè ogni volta che io credessi altramente, non potrei far buon giudicio nè del suo giudicio nè della sua cortesia, senza far cattivo giudicio del mio giudicio e della mia poesia: perchè se’ o giudicassi che ella havesse havuto buon giudicio a giudicar la mia canzone indegna di risposta, verrei a dannare il mio giudicio, che l’ha giudicata e giudica degna non sol di risposta, ma di ricognitione: sì che, per non dannare il suo giudicio e salvare il mio, voglio credere, come haveva cominciato a credere fin da principio, che non l’habbia havuta. E se ne posso uscir con honore questa volta con la Eccellenza Vostra, non mi voglio mai più impacciar con principi, perchè non m’intravenga con gli altri quel che m’è intravenuto col duca di Ferrara, che per havergli presentato una canzone fatta da me a lui e per lui nella superba entrata ch’egli fece in Venetia, non mi vuol più nè veder nè parlare, come se io l’havessi ingiuriato a lodarlo. Questa fu pur mera mia fortuna contraria: che Sua Eccellenza, come cortese, ordinò che tutti gli scrittori che in Venetia l’havevano co’ lor versi honorata, fosser riconosciuti; e tutti furono premiati, da me in fuora, che l’haveva honorata a par degli altri, e l’eгa servitore in Francia e in Italia più antico degli altri: benchè il signor ambasciatore e iI signor Pigna lo salvarono, al solito, dicendo: che il duca non riconobbe me in Venetia, perchè mi haveva riconosciuto in Ferrara innanzi che io canzonassi. Io non so in qual libro s’habbiano studiato queste lor filosofie il signor ambasciator e il signor Pigna: chè se uno fa una canzone in lode di un morto, debbia quel morto in persona ringratiare e riconoscere il canzonatore, e non il fratello e ’l cognato del morto; e se la fa in lode di un vivo, che quel vivo il debbia e possa riconoscere col beneficio passato. L’Etica che io leggo a me medesimo et alla mia servente mi par che dica così: non so come si dica quella che legge il signor Pigna a se medesimo et al suo servitore; che il liberale, fatto che ha il beneficio, non se ne debba ricordar più, e che sta al beneficato il ricordarsene: come feci