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re che il Machiavelli disprezza come superflua la legittimità formale e legale dei governi, per non ammettere che la legittimità del merito; ma si è invece un po’ sorpresi, in principio, trovando vicino a delle teorie così ardite, una preoccupazione incessante anche della legittimazione formale.1 Egli sa che un vecchio governo, i cui titoli non siano discussi, è più solido di un governo fondato dalla forza, anche se ha meno denari e meno soldati. Egli sa che «nel principato nuovo consistono le difficoltà»2 e osserva che «il Principe naturale ha minori cagioni e minori necessità di offendere».3 Ma questa preoccupazione della legittimità c’è solo perchè la legittimità è una forza di persuasione che serve più di molti cannoni come elemento di stabilità e di potenza. Insomma, passando attraverso Livio e gli scrittori antichi, il Machiavelli arriva quasi di colpo alla razionalizzazione totale della politica.

Risorgendo dal suo sepolcro, la storia antica rivela dopo tanti secoli agli uomini la dottrina dello Stato razionale ed umano. Che rivoluzione fosse questa è facile immaginare. Era la fine del Medioevo. Lo Stato non è più un pupillo del Pontefice chiamato ad attuare la legge di Dio sulla terra, secondo la dottrina di S. Agostino; è una creazione umana inventata dalla ragione per servire e sfruttare le passioni e gli interessi degli uomini a fini di grandezza e di potenza.

  1. (1) Discorsi, III, 5. - Principe, 3 e 19.
  2. (2) Principe, 3.
  3. (3) Principe, 2.