Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/468: differenze tra le versioni

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fama di fanciullesca debolezza, che s’accordava così bene coll’aspetto del suo corpicino di nulla, aveva reso anche più solleticante per gli uomini quel gran terrore del loro sesso, che era stato la prima manifestazione della sua natura. Perciò non v’era solo di quelli che le facevan l’occhio tenero per simpatia, ma anche altri parecchi, che, per puro spasso, la fissavano, incontrandola, con occhi di cupidità feroce, o andavano a passeggiare davanti alla sua casa, in aria d’amanti risoluti a un gran colpo. Siccome poi aveva quelle ore fisse in cui s’era certi di vederla passare per andare a scuola o tornare a casa, così alcuni, senza scomodarsi, si trovavan sulla sua via a quel dato momento, appostati a un angolo o davanti a una bottega, per darsi lo spettacolo della sua timidezza; il quale era veramente dilettevole, perchè, visto di lontano uno degli spettatori, essa cominciava a turbarsi, faceva i passi troppo lunghi o troppo corti, non sapeva più dove rivolgere gli occhi, e urtava persino Tana o l’altra delle due tre bambine che conduceva di solito con sè, per non trovarsi sola a quei cimenti. Fra coloro che si pigliavan questo gusto, c’era da un po’ di giorni l’organista, e per lui appunto lo spettacolo era più curioso che per gli altri, perchè quella sua pancia, quella gran faccia sbarbata e beffarda, quel cappello a cencio sull’orecchio, quei suoi atteggiamenti di sanculotto trionfante facevano alla ragazza l’effetto dello spettro medesimo della Rivoluzione che adocchiasse lei come una delle vittime verginali della borghesia, predestinate allo vendette lascive della plebe. Quando essa doveva passare davanti a lui, perdeva addirittura la bussola. Ora questo divertiva l’organista, ma lo feriva anche un po’ nell’amor proprio. E ne faceva le maraviglie col maestro Ratti, dicendogli che non s’era mai illuso d’esser bello, ma che non credeva nemmeno d’essere un mostro da metter la terzana alle ragazze. E non diceva, ma pensava che il suo “prestigio„ d’artista avrebbe dovuto, se non altro, attenuare il cattivo effetto che facea la stranezza della sua persona. — Ma è inutile — soggiungeva — ho un bel guardarla con gli occhi dolci: quando vede me, par che veda Belzebù in carne ed ossa. Chi riesce a capire le donne! — Stava un giorno appunto su questo discorso, in casa del maestro,
fama di fanciullesca debolezza, che s’accordava così bene coll’aspetto del suo corpicino di nulla, aveva reso anche più solleticante per gli uomini quel gran terrore del loro sesso, che era stato la prima manifestazione della sua natura. Perciò non v’era solo di quelli che le facevan l’occhio tenero per simpatia, ma anche altri parecchi, che, per puro spasso, la fissavano, incontrandola, con occhi di cupidità feroce, o andavano a passeggiare davanti alla sua casa, in aria d’amanti risoluti a un gran colpo. Siccome poi aveva quelle ore fisse in cui s’era certi di vederla passare per andare a scuola o tornare a casa, così alcuni, senza scomodarsi, si trovavan sulla sua via a quel dato momento, appostati a un angolo o davanti a una bottega, per darsi lo spettacolo della sua timidezza; il quale era veramente dilettevole, perchè, visto di lontano uno degli spettatori, essa cominciava a turbarsi, faceva i passi troppo lunghi o troppo corti, non sapeva più dove rivolgere gli occhi, e urtava persino l’una o l’altra delle due o tre bambine che conduceva di solito con sè, per non trovarsi sola a quei cimenti. Fra coloro che si pigliavan questo gusto, c’era da un po’ di giorni l’organista, e per lui appunto lo spettacolo era più curioso che per gli altri, perchè quella sua pancia, quella gran faccia sbarbata e beffarda, quel cappello a cencio sull’orecchio, quei suoi atteggiamenti di sanculotto trionfante facevano alla ragazza l’effetto dello spettro medesimo della Rivoluzione che adocchiasse lei come una delle vittime verginali della borghesia, predestinate allo vendette lascive della plebe. Quando essa doveva passare davanti a lui, perdeva addirittura la bussola. Ora questo divertiva l’organista, ma lo feriva anche un po’ nell’amor proprio. E ne faceva le maraviglie col maestro Ratti, dicendogli che non s’era mai illuso d’esser bello, ma che non credeva nemmeno d’essere un mostro da metter la terzana alle ragazze. E non diceva, ma pensava che il suo “prestigio„ d’artista avrebbe dovuto, se non altro, attenuare il cattivo effetto che facea la stranezza della sua persona. — Ma è inutile — soggiungeva — ho un bel guardarla con gli occhi dolci: quando vede me, par che veda Belzebù in carne ed ossa. Chi riesce a capire le donne! — Stava un giorno appunto su questo discorso, in casa del maestro,