Pagina:Fior di Sardegna (Racconti).djvu/187: differenze tra le versioni

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Marco ci possedeva un magnifico frutteto.
Marco ci possedeva un magnifico frutteto.


Quando arrivò, cominciava a imbrunire. Dall’alto dell’entrata Ferragna scorse le acque stagnanti del fiume immobile in fondo, in fondo, fra i giunchi e le eriche, e i sambuchi fioriti, le cui acque argentee, nel cui fondo si nascondeva la morte, scintillavano al riflesso del cielo color di smeraldo o di arancio, e i suoi occhi fissarono quelle acque con lo stesso sguardo di intenso desìo, di sovrumano amore con cui due ore prima avevano fissato il pallido volto di Lara — Per qualche ora Marco, da buon possidente, vagò qua e là, guardando le piante, i frutti che maturavano, i danni delle bestie e degli uomini, pensando che era tempo di porre un guardiano fisso sino alla raccolta, — ammucchiò del fieno per il cavallo, — e al sorger della luna cenò davanti alla piccola casa di pietre, costrutta sotto gli alberi, nella quale neppure entrò. Infine scese verso il fiume e steso il suo mantello da campagna sotto un gigantesco sambuco, si coricò... Che notte! che notte! I grilli cantavano per la valle e i loro trilli incessanti, tremuli, argentini, si spandevano per l’aria rorida della notte bianca, quasi note di chitarre microscopiche, misteriose, suonate da piccole fate nascoste fra i giunchi e le ginestre della valle. Non altro rumore interrompeva l’alto silenzio del plenilunio; la vegetazione secca, gli alberi e i sambuchi olezzavano senza essere scossi da un solo fremito di brezza, e le acque immobili del fiume dormivano corrompendo quella notte orientale, bella e fatale come i sogni celesti causati dall’ascisc e dall'oppio. E Marco riposava in riva al fiume, sotto il sambuco le cui rame si disegnavano nere e lucentissimo sullo
Quando arrivò, cominciava a imbrunire. Dall’alto dell’entrata Ferragna scorse le acque stagnanti del fiume immobile in fondo, in fondo, fra i giunchi e le eriche, e i sambuchi fioriti, le cui acque argentee, nel cui fondo si nascondeva la morte, scintillavano al riflesso del cielo color di smeraldo o di arancio, e i suoi occhi fissarono quelle acque con lo stesso sguardo di intenso desìo, di sovrumano amore con cui due ore prima avevano fissato il pallido volto di Lara — Per qualche ora Marco, da buon possidente, vagò qua e là, guardando le piante, i frutti che maturavano, i danni delle bestie e degli uomini, pensando che era tempo di porre un guardiano fisso sino alla raccolta, — ammucchiò del fieno per il cavallo, — e al sorger della luna cenò davanti alla piccola casa di pietre, costrutta sotto gli alberi, nella quale neppure entrò. Infine scese verso il fiume e steso il suo mantello da campagna sotto un gigantesco sambuco, si coricò... Che notte! che notte! I grilli cantavano per la valle e i loro trilli incessanti, tremuli, argentini, si spandevano per l’aria rorida della notte bianca, quasi note di chitarre microscopiche, misteriose, suonate da piccole fate nascoste fra i giunchi e le ginestre della valle. Non altro rumore interrompeva l’alto silenzio del plenilunio; la vegetazione secca, gli alberi e i sambuchi olezzavano senza essere scossi da un solo fremito di brezza, e le acque immobili del fiume dormivano corrompendo quella notte orientale, bella e fatale come i sogni celesti causati dall’ascisc e dall'oppio. E Marco riposava in riva al fiume, sotto il sambuco le cui rame si disegnavano nere e lucentissime sullo