Giuseppe Aurelio Costanzo: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
CandalBot (discussione | contributi)
m Bot: sostituzione
Riga 29:
Quel giovane dagli occhi lucenti e mesti era G. Aurelio Costanzo e quel volume il primo volume de’ suoi versi.
Di fronte ai poeti tutti della nuova Italia G. Aurelio Costanzo rappresenta qualcosa di singolare e di staccato. Egli ha una fisonomia originale e spiccata, tutta propria. Nessun legame di sorta lo avvince anche lievemente, anche lontanamente, a loro e a’mezzi da essi usati per salire. Ha camminato modesto e solo, per la sua via, senza fretta e senza posa. Mentre, di triennio in triennio, il pubblico italiano si è esaurito battendo fragorosamente le mani a tanti pretesi innovamenti poetici e ad altrettanti poeti innovatori, egli, il Costanzo, s’è stretto nelle spalle, e, senza invidia e senza.rimpianti, ha proceduto sempre per la sua via, sicuro di sè stesso, contento dell’opera sua, pago de’ non gonfiati, ma sicuri successi. Egli non ha preconizzato nulla; egli non ha rinnovato nulla; egli non ha bandito vangeli nuovi. Poteva, dunque, diveritar mai capo di una scuola ? Poteva capitanare una pattuglia, pronta a inneggiare incondizionatamente al proprio nume e non meno incondizionatamente a dir corna degli altri Iddii?
Ma, appunto perchè non ha rappresentato una scuola, cioè una consorteria; appunto perchè 1’artel’arte sua non ha destato entusiasmi pazzi; appunto perchè non è stato l’idolo d’un momento, G Aurelio Costanzo ha superato una grande difficoltà, la più grande difficoltà che s’incontra nella via spinosa dell’arte non è passato mai di moda.
Donde il segreto di cio?
 
Riga 35:
 
Una gentile e colta scrittrice, {{Ac|Olga Ossani|Olga Ossani}}, a proposito di un libro pietoso per una povera morta, ha detto, or non è molto, che in Italia manca « la poesia soave, questa forma di letteratura femminile, questa lirica famigliare »; manca da noi « dove il sentimento della famiglia è profondo e potente. »
No, o mia signora: questa poesia soave, questa lirica affettuosa, di cui voi andate in cerca con intento si nobile e di cui deplorate la mancanza, non ci manca a noi; 1’abbiamol’abbiamo in Italia: essa è la gloria di un poeta che, nel vortice turbinoso della capitale, vive quasi morto al mondo; vive non curandosi della bassa prosa della vita e inseguendo con ansia e trepidanza
i suoi fantasmi d’oro, le sue sensazioni dolcissime, le armonie più che umane che sente fremere nell’anima passionata e mesta. Questo poeta è G. Aurelio Costanzo.
Tutta tutta la poesia del Costanzo è un canto inestinguibile e perenne di affetti puri, di legami indissolubili, di tenerezze ineffabili; una musica persistente di sospiri senza smorte svenevolezze effeminate. Egli canta, canta sempre la madre; canta la sua donna dal bel nome sonoro, Lina; canta la patria; canta la Natura. E quel canto sgorga dall’anima profondo, con getto spontaneo, con freschezza vergine, quasi senza volontà: deve esser cosi. Il poeta, siciliano, nato nell’ antica Ibla (Melilli) dal miele squisito, si direbbe tenesse immersa l’anima tutta come in un oceano di profumi, di suoni armoniosi, di bellezza, di dolcezza, di pace e di amore e che di li traesse tutte le sue in spirazioni candide.
Riga 87:
Oh, non per nulla il Settembrini scriveva del Costanzo: « Io non conosco poeta che abbia parlato si lungamente di sua madre e con tanto affetto verecondo e, direi quasi, fanciullesco. Deve essere un buon giovane questo Aurelio! Oh giovane, se vuoi esser poeta. parla al mondo come hai parlato a tua madre! »
Ed egli così ha parlato al mondo ed il mondo l’ha sentito, e certo lo sentirà per sempre; perchè G. Aurelio Costanzo è il vero poeta dell’anima e la poesia dell’anima non invecchia mai. Ed egli è così che il Bonghi gli ha potuto scrivere, qualche diecina di anni sono:
« Sapete, caro Costanzo, chi mi ha parlato la prima volta di voi? Il {{Ac|Alessandro Manzoni|Manzoni}}, a Brusuglio! Egli mi chiese se vi conoscessi o avessi letto i vostri versi. Poichè io gli risposi che vi conoscevo ma non avevo letto i vostri versi, mi dette le vostre liriche e volle che io gliene rileggessi qualche pagina ad alta voce. E non rifinì di lodarvi! Ed era tanto schivo, sapete; e non 1’hol’ho colto che due o tre volte in tutti gli anni che io l’ho conosciuto, non dico a dir bene, ma a parlare adirittura d’uno scrittore italiano vivente e il quale gli avesse mandato i suoi scritti. Le qualità che egli lodava nelle vostre poesie son quelle che ogni italiano anche non colto vi sente di certo. Il pensiero vostro è naturale e netto insieme e la parola per lo più eletta è sempre spontanea. Ciò che più gli piaceva e la verità e la bontà del sentimento, donde la vostra poesia ha tutta la sorgente sua. »
 
III.
Riga 143:
 
Strana, ma non illogica coincidenza! Il poeta dell’Anima, forse appunto perchè poeta dell’Anima, si mostra adattissimo a descrivere con parole roventi tutta l’ iliade disastrosa di tante sofferenze occulte, di tanti dolori inascoltati, di tanti propositi nobili andati in fumo, di tanti disprezzi ingiusti, di tante infamie sopportate con pazienza e rassegnazione.
Ecco: il Costanzo, nato per cantare la pace e 1’l’ amore, sembra fatto apposta per cantare la guerra e l’ odio. Alcune strofe di questi suoi Eroi, infatti, come munite di uncinetti, dilacerano; alcune, come munite di ferri roventi, carbonizzano addirittura ciò che toccano: tutte, poi, nella loro efficacissima disarmonia e forse monotonia, sono d’ un rilievo scultorio profondo, imprimono marchi indelebili e fanno pensare al fare dantesco tutto muscoli, tutto nervi, tutto sprezzature significantissime.
<poem>
''Come qua e là si vedono
Riga 329:
G. A. Costanzo, tuttavia nel fiore degli anni, vive in Roma modestamente, senza corteggio di amici e di adulatori, insegnando, ossia sacrificando tante belle ore del giorno all’ insegnamento della letteratura italiana presso l’ Istituto femminile superior dove sostitui gratuitamente per tanto tempo, nella qualità di Direttore, il Prati.
Chi la mattina o verso le due passeggiasse per Via Nazionale non sarebbe difficile che vedesse salire e scendere, tutto solo, immerso ne’propri pensieri e nelle proprie meditazioni, un uomo corto e tarchiato, eternamente vestito di nero, dal cappello alla Lobbia, dalla faccia larga ed espansiva, dagli occhi sempre lucenti e mesti, tali quali, circa vent’anni sono, erano comparsi al Settembrini. E Giuseppe Aurelio Costanzo che va o viene dalla scuola.
Come 1’l’ avete immaginato leggendo i versi, così lo trovate nella vita. Semplice, sincero, affettuoso, capace di alleviare i vostri guai e di piangere insieme con voi — senza maschera, così, per impulso spontaneo. Ma osservatelo bene, e vedrete, che ha delle guardatine così ladre, de’sorrisetti così socraticamente maliziosi, de’lampi d’ ironia così amabilmente sottile da farvi comprendere che il poeta, in fin de’conti, conosce il mondo e sa compatirne all’occasione le miserie.
Benchè abbia esordito come insegnante normale, è stato più volte Segretario di Gabinetto di parecchi ministri della Pubblica Istruzione. Ma n’ è uscito come v’ era entrato: senza aver preteso nemmeno i soliti pinguissimi soprassoldi.