Or che Sirio in Ciel risplende: differenze tra le versioni

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| Argomento = Canzoni
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}}
<poem>Or che Sirio in Ciel risplende,
Di quel biondo almo lieo,
Che sì brilla, e d’òr s’accende,
M’empi il nappo, o Alfesibeo.
{{R|5}}Ma nò: quel, ch’è del colore
Del rubin, sarà migliore:
Questo io voglio: il nappo pieno
Fammen sì, che n’empia il seno.
Vedi qui come zampilla,
{{R|10}}E col sole i raggi mesce:
Io non vuo’ lasciarne stilla,
Tal desio di sè m’accresce:
Beviam dunque: e sia di quella
In onor, ch’è la più bella:
{{R|15}}Ecco già, che al labbro io l’ergo,
E le viscere n’aspergo.
Oh di qual nuovo piacere
Sento l’alma inebriarsi!
Empi l’altro, ch’io vuo’ bere,
{{R|20}}Finchè tempri il caldo, ond’arsi
Morde, è ver: ma la ferita
A riber più dolce invita.
Oh felice il suol, che dato
N’ha liquor sì nuovo e grato!
{{R|25}}Io non so se Giove, e il resto
Della Plebe degli Dei
Ebber mai simile a questo
Dolce nettar, ch’or bevei:
O se pur tal’anche sia
{{R|30}}Quell’ambrosia, onde per via
Febo suol le nari e ’l morso
Ai destrier spruzzar nel corso.
E ben sento anch’io nel petto
Nuovo arder crescermi e lena
{{R|35}}Ed il sangue al cuor ristretto
Sciolto gir di vena in vena.
Chi mi porge quella Lira?
Chi quei bischeri v’aggira,
Perchè possa indi alle corde
{{R|40}}La mia voce unir concorde?
Venga poi {{Ac|Giambattista Felice Zappi|Tirsi}} in tenzone,
O chi fama ha più nel canto,
Ch’io non temo il paragone:
Tale ardir mi siede accanto.
{{R|45}}Di Te poi, ch’illustre, e chiaro
Già ten vai d’ogn’altro a paro
Tacerò: ch’i pregi tuoi
Vanti eguale a i primi Eroi.
Dirò ben di {{Ac|Faustina Maratti|lei}}, che sola
{{R|50}}Tutto ha il Bel, che un dì fu in Ida:
E ad ogni altra il pregio invola,
Dolce parli, e dolce rida:
Nè sai dir se dardi scocchi
Più dal labbro o da’ begli occhi
{{R|55}}Se tai quindi escon piaghe
Crude più, quanto più vaghe.
Or di tante e qual bellezza
Avverrà, che prima io mostri?
Poi chi sa se a tanta altezza
{{R|60}}Giungeranno i versi nostri?
Veggio Amor però lontano
Farmi cenno con la mano,
Perchè agli occhi io volga i carmi,
Che fur primi a saettarmi.
{{R|65}}O che bel veder quei rai
Quando Amor ne tien governo!
Così Venere giammai
Sfavellar in Ciel non scerno.
Ma che fia, se poi ritrosi
{{R|70}}Gli raggira o pur sdegnosi?
Nel mirarli così scuri,
Non v’è cuor che s’assicuri.
Pur sì forte in me s’accende
Il piacer di vagheggiarli,
{{R|75}}Che maggiore in me si rende
Il desio di celebrarli.
Ma pur temo, e vorrei solo,
Ape industre andarne a volo
Sovra il fior degli altri pregi,
{{R|80}}Raccogliendo i più bei fregi.
Labbra tenere, e vezzose,
Vostre lodi or voi ridite,
Giacchè tanta il Ciel ripose
Grazia in voi, qualor v’aprite:
{{R|85}}E ben quindi escon parole
Da fermar nel corso il Sole,
Tanto più quanto son use
A parlar coll’alte Muse.
Nè men dolce, o vago è ancora
{{R|90}}Quel bel volto, o meno alletta,
Se co’ gigli ivi talora
Suol fiorir la violetta.
Anzi queste son le spoglie,
Ove Amor cela sue voglie:
{{R|95}}E tal forse quando ardea
Per Adon fu Citerea.
O bel sen di neve pura,
Delle Grazie albergo, e stanza,
Ove il Ciel pose, e Natura
{{R|100}}II più bel d’ogni speranza,
Di lodarvi in me non manca
Il voler, nè voglia ho stanca;
Ma mi turban quei severi,
Ch’ascondete, alti pensieri.
{{R|105}}Quei pensier, ch’io veggio accesi
Ne i bei rai d’aspro talento,
A ribatter forse intesi
La baldanza e l’ardimento:
Tal però non è disdegno,
{{R|110}}Nè rigor, ma solo è segno,
Che vorrian ristretto un cuore
Fra speranza e fra timore.
Neri crin, s’ultimi andate
Fra le lodi, e ’l canto mio,
{{R|115}}Non è già, perchè voi siate
Meno cari al mio desìo.
So, ch’il biondo è bel, ma poi
Anche il nero ha i pregi suoi;
Belle sono in Ciel le Stelle,
{{R|120}}Perchè l’ombre le fan belle.
Non v’è crin, che non diffonda
Quel fulgor, che all’òr simiglia,
Talchè treccia aurata, e bionda,
Più non reca maraviglia:
{{R|125}}Bianco volto, e capei bruni
Non son fregi sì comuni:
E quaggiù quanto bellezza
Rara è più, vie più s’apprezza.
Non fu già vanto volgare
{{R|130}}Della Giovane Amiclèa
Bruna chioma, ch’alle rare
Sue bellezze aggiunta avea:
Con quei crini Amor più forte
Formò i nodi a sue ritorte:
{{R|135}}E veder ne fè le pruove,
Quando prese, e avvinse Giove.
Ma tu bevi, e a me che roco
Già son fatto, più non pensi!
Di quell’altro or dammi un poco,
{{R|140}}Che stillar l’uve Cretensi:
Vuo’ veder se sia bastante
Quell’ambrifoco spumante
A far sì, ch’io poi senz’ale
Spieghi un volo alto immortale.</poem>
 
{{Raccolta|Rime dell'avvocato Gio. Batt. Felice Zappi e di Faustina Maratti sua consorte}}
[[Categoria:Fonte cartacea presente]]
 
<pages index="Zappi, Maratti - Rime I.pdf" from="44" to="48" fromsection="" tosection="" />
 
[[categoria:Canzoni]]