Oggi è un'ora di viaggio: differenze tra le versioni

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| Nome e cognome dell'autore =Silvio Gallio
| Titolo =Cenni sulla nascita della linea ferroviaria Milano-Bologna
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''La Bologna-Milano oggi è un'ora di viaggio, ma centocinquant'anni fa, all’epoca in cui si cominciava a parlare di strade ferrate, l’Italia era una costellazione di Stati legati e divisi da interessi economici, politici, dinastici. E dunque, cosa vedevano quanti allora videro nel futuro i trasporti su rotaia?''
''Con uno ricerca accurata di periodici e atti governativi e corrispondenze, questo articolo porta alla luce la storia, inaspettatamente cosmopolita e complessa, di un asse ferroviario che avrebbe potuto in realtà svilupparsi in mille direzioni diverse. ''
''Gli austriaci che governavano il Lombardo-Veneto, per esempio, volevano collegare Vienna a Livorno escludendo la nemica Torino, dove i Savoia studiavano il modo di unire il Piemonte all’Emilia, tagliando fuori Milano.''
''Nello Stato pontificio, intanto, c’era chi riteneva “inutile” che la linea tra Ancona e Bologna si prolungasse fino alla “straniera” Modena.''
''E mentre i governi lottavano per accaparrarsi il passaggio del favoloso treno “Valigia delle Indie”, si metteva mano a complessi trattati internazionali per avviare l’avventurosa costruzione del ponte sul Po.''
''Il tutto in un rimbalzare di voci e proposte, idee e controversie che seguivano il gioco dei poteri e degli interessi, degli investimenti economici e delle ragioni di Stato.''
''L’articolo trae spunto dal volume ”Oggi“Oggi è un’ora di viaggio”, scritto dallo stesso autore, e pubblicato dalla Casa Editrice “CLUEB” di Bologna.''
 
 
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* il ''Regno delle due Sicilie'' in cui si sentiva anche la presenza politica britannica, sempre attenta al controllo navale del Mediterraneo e delle vie delle Indie.
 
Il quadro politico ''internazionale italiano '' era, quindi, caratterizzato dalla preminenza degli interessi austriaci che - ad esempio- vedevano il Ticino e il Po non come vie d’acqua ma come confini da presidiare. Il Granduca di Toscana centralizzava su Firenze i terminali delle sue ferrovie. Il Papa, Gregorio XVI i treni non li voleva proprio ritenendoli opera del demonio e suscitatori di tisi per effetto delle correnti d’aria generate. I ducati (Parma e Modena) titubavano, memori delle insurrezioni degli anni ’30; il Regno di Sardegna era tanto fermo che “''Al principio del 1848 non eravi colà in esercizio un solo chilometro di strada''”<ref>An., ''Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio''”, Volume XVII, Serie II, Luglio, Agosto e Settembre 1848, Milano, pag. 95.</ref>
 
Eppure i progetti si susseguivano. E provenivano non da politici e tecnici di seconda fila. Uno dei primi fu {{Ac|Luigi Tatti}}. Architetto e ingegnere e progettista di linee ferroviarie, Tatti nel 1837 traduce il “''Manuel du constructeur des chemins de fer, ou Essai sur les principes généraux de l’art de construire les chemins de fer ''dell’ingegnere francese É. Biot. Tatti, a pag. 170, inserisce nel testo in italiano una interessante “nota 1“ che già descrive le principali necessità ferroviarie dell’Italia. Ne riporto qualche brano:
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Notevole è proprio in quello che ''non'' si vede. Non sono descritte linee verso le altre nazioni e non leggiamo di ''nessuna linea dal Lombardo-Veneto verso sud''.
Nel 1845 il conte {{AutoreCitato|Carlo Ilarione Petitti di Roreto|Ilarione Petitti di Roreto}}, ''Consigliere di Stato ordinario di S.M. Sarda e Socio di varie Accademie,'', si arrotolò metaforiche maniche ed esplose il suo “''{{TestoCitato|Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse}}, Cinque Discorsi” <ref>''Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse. Cinque Discorsi di Carlo Ilarione Petitti''”, Capolago, Tipografia e Libreria Elvetica, 1845.</ref> ''un corposo testo di 652 pagine, fondamentale per lo studio economico e politico delle linee ferroviarie del nostro Paese di cui all’epoca si parlava come possibili, probabili anzi certe. I “Cinque Discorsi” di Petitti prendevano in osservazione i vari aspetti della progettazione, della costruzione e della gestione delle linee ferroviarie. Da una Torino isolata dal resto della Penisola dalla politica degli Asburgo, Petitti indicava “quali” erano le linee da costruire in Italia. In un’Italia ideale, senza confini. Questo non poteva essere accettato da una comunità di staterelli la cui politica era eterodiretta da Francia e Austria.
 
E infatti le reazioni ci furono, oscillanti fra l’apprezzamento, ma ironico e pieno di “distinguo”, in “''{{testoCitato|Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio|Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque strada ferrata fra la Toscana e l’Adriatico}}'' oppure in “''{{testoCitato|Sulle strade ferrate nello Stato pontificio}}'', entrambi scritti dal papalino {{Ac|Benedetto Blasi}} (Segretario della Camera di Commercio di Civitavecchia), e il furibondo e sprezzante articolo che l’''Osservatore Triestino'', organo del Lloyd di Trieste (allora austriaca “perla dell’Adriatico”), propagò dalle sue colonne nel gennaio successivo.
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''“Nell’articolo si sosteneva la centralità del porto di Trieste anche per gli interessi italiani e si suggeriva, senza molti convenevoli, alle provincie pontificie e toscane di darsi da fare per collegarsi con l’Austria ribadendo la loro dipendenza dagli interessi imperiali. Nello stesso articolo si trattavano con disprezzo le aspirazioni piemontesi a collegarsi con il Lombardo-Veneto […]” <ref>E. Petrucci,'' Il '48 e la questione ferroviaria nello Stato pontificio. Saggio storico bibliografico, in ''“Storia e futuro”, 1° aprile 2002. (nel website: http://www.storiaefuturo.com/arretrati/2002/01/01/011/0005.html).</ref>''
 
Nel 1851, finalmente, Vienna sembrò rendersi conto del rischio di isolamento a nord del Po. I ducati e la Toscana necessitavano di una maggiore assistenza economica. E militare. Il regno dei Savoia, inoltre, persa la Prima Guerra d’Indipendenza, si stava riprendendo. Un nuovo Re e un nuovo Primo Ministro tessevano alleanze con la Francia. Questa poteva facilmente portare aiuto al Piemonte; dalla base navale di Tolone si arrivava a Genova senza problema alcuno mentre l'Imperiall’Imperial Regia Marina era ancora confinata nell’Adriatico.
 
Se Vienna avesse voluto una ferrovia per collegarsi ''commercialmente '' con il centro-sud dell’Italia la logica avrebbe portato alla linea Venezia-Bologna e da lì a Prato e Firenze. Invece nel maggio del 1851 venne stipulata la prima Convenzione fra i “''Cinque Eccelsi Stati''”: ''Impero austriaco, Stato pontificio, Ducato di Parma e Piacenza, Ducato di Modena, Arciducato di Toscana''.
 
La linea che veniva progettata sarebbe andata da Piacenza a Bologna passando per Parma, Reggio e Modena, avrebbe scavalcato l’Appennino o verso Porretta e Pistoia oppure verso Prato (non era ancora deciso). Una diramazione proveniente da Borgoforte, sul Po a pochi chilometri da Mantova, sarebbe arrivata a Reggio Emilia. Inoltre Vienna, per suo conto avrebbe collegato Milano a Piacenza e (nota bene) Mantova con Borgoforte. ''È questa bretella che ci fa insospettire di più''.
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Una serie di fortezze, ottimamente equipaggiate con uomini e armi, se ben collegate con Livorno poteva permettere all’Imperial Regia Marina asburgica: a) un attacco navale per isolare la Sardegna dal resto del Regno dei Savoia, b) contrastare un’azione francese e c) colpire le coste piemontesi della Liguria.
Nonostante questo aspetto anti-italiano, l’entusiasmo per la nuova linea ferroviaria riecheggiava in pubblicazioni e riviste:
''Ferrovia da Milano verso Piacenza. ''.
 
''In esecuzione delle condizioni stabilite dalla convenzione 1 maggio 1851, fu impresso e viene con energia proseguito il tracciamento della parte della ferrovia centrale italiana, la cui esecuzione spetta all’Austria, oltre Lodi, Casalpusterlengo e Codogno sino alla sponda sinistra del Pò presso Piacenza, con riguardo alla futura sua diramazione, per essere congiunta colle ferrovie piemontesi. Cosi pure si provvede contemporaneamente che sia tracciata la ferrovia da Mantova verso Borgoforte, la quale andrà a congiungersi alla ferrovia centrale; circa la costruzione d’un ponte oltre il Pò furono fatte non solo le necessarie misurazioni, ma fu esaminato il terreno per l’escavo delle fondamenta dell’ideato ponte colossale, onde poi proporre quel modo di costruzione che si dimostrerebbe più adatto alle circostanze'' <ref>{{Ac|Giuseppe Sacchi|G. Sacchi}}, in “Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio”, Volume XXXI della Serie II, Luglio Agosto e Settembre, Milano, 1852, pag. 330</ref>.
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Ancora il 12 agosto 1857 il papa Pio IX, in visita ai suoi possedimenti emiliano- romagnoli, posava la prima pietra del ponte della ferrovia. Attenzione, la “prima” pietra venne posta sulla settima pila di un ponte che - quindi - era già costruito per metà.
 
Nel 1859 l'l’''Osservatore Bolognese'', ''in una corrispondenza datata 9 aprile, riferiva che i lavori della via ferrata centrale erano molto bene avviati:
''Giacché, dalla stazione al Reno, l’argine della via è compiuto e sopra esso già è posto il binario principale, in guisa che serve al trasporto delle ghiaie ed altri materiali. La stazione poi, che è uno dei lavori più importanti, estendesi sopra una superficie rettangolare di più che 15 ettari, è anche molto innanzi nelle varie fabbriche che debbono farne parte. Dalla stazione al Reno sono condotte a termine tutte le opere a mano; e tra esse il soprapassaggio a Bertalia, il ponte sul torrente Raveno deviato, e quello sul canale Navile. Pressoché finito è pure il gran ponte sul Reno, composto di 10 archi da venti metri di corda. Nella porzione di linea al di là del Reno, nella provincia di Bologna, il binario è posto fino alla via provinciale di Persiceto e dalla Samoggia a Castelfranco; e sono pure finite pressoché tutte le opere e le stazioni secondarie''. <ref>An. in “La civiltà cattolica”, Anno X, vol. II, serie IV, Roma, 1859, pag. 232.</ref>
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E della ferrovia Centrale si sentiva davvero il bisogno se, proprio il giorno dopo, la sera del 5 luglio 1859, un Proclama della Giunta cittadina di Bologna annunciava che:
''Domani arriverà col primo convoglio della strada ferrata di Modena alle ore 12½, un battaglione bersaglieri piemontesi che, sotto il comando del generale d’ Azegliod’Azeglio, partito oggi stesso da Torino per Firenze, viene fra noi a mantenere l’ ordinel’ordine e a porgere così un nuovo pegno dell’affetto che S.M. il re Vittorio Emanuele nutre per queste provincie''. <ref>Archivio di note diplomatiche: proclami, manifesti, circolari, notificazioni, discorsi, ed altri documenti autentici, riferibili all'attualeall’attuale guerra contro l'Austrial’Austria per l'indipendenzal’indipendenza italiana, ''Milano, F. Colombo librajo, 185, pag. 374.</ref>
Quello che a me, povero capostazione oberato dai treni, riempie di giallastra invidia è quell’incipit del Proclama: rileggiamolo: ''<nowiki>“[...] arriverà </nowiki>'''col primo convoglio''' da Modena '''alle 12½'''. Siamo a Bologna Centrale e il primo treno sarebbe arrivato a mezzogiorno e mezzo! Ah, che vita il capostazione!
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Un raffronto? Eccolo. Il grafico (ore 18-24) del 29 maggio 2001. Stessa linea, stessa tratta.
 
Un paio d’anni dopo, l’orario ferroviario ufficiale per i treni viaggiatori -1861- sulla linea Piacenza-Bologna mostrava quattro coppie di treni più una coppia Parma-Piacenza. Il successivo Orario del marzo 1862, aperta la linea di Ancona l’autunno precedente, mostra altre due coppie di treni attestate a Bologna. Il traffico cominciava a diventare infernale.
 
Il 14 novembre 1861 Bologna venne unita anche a Milano con l’apertura del ponte sul Po e il raccordo con la stazione di Porta Tosa. Per la precisione i ponti furono inizialmente ben tre <ref>Cfr. ''Annuario scientifico ed industriale'', Treves, Milano, 1866, pag. 588</ref> il primo ponte era una struttura di legno, costruita quasi certamente in fretta, per poter far passare i treni entro i termini di tempo stabiliti dalla Concessione e di cui crollarono 195 metri il 18 ottobre 1863 per una piena del fiume; il secondo era un altro ponte in legno (anch'esso crollò per la piena) e che serviva per il movimento dei materiali e delle maestranze che lavoravano al terzo ponte, quello “vero” in ferro, progetto dell’ing. Moreau e dal 1861 affidato per la costruzione alla francese “Parent, Schaken, Caillet e C.” Il ponte in ferro verrà aperto nei primi mesi del 1864.
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Possiamo porre fine alla fase “eroica” della linea Milano-Piacenza con l’inaugurazione del ponte sul Po che avvenne alla presenza del Principe Ereditario Umberto il 3 giugno 1865.
 
Da questo momento il treno comincia a perdere la sua aura di nuovo mostro benefico e di occasione per lotta politica. Aride cifre impilate in irregolari colonne contabili sbiadiscono rispetto ai primi anni, quando le battaglie politiche e la ''vis aedificandi '' permeavano la vita sociale italiana traboccando nella polemica patriottica e nella voglia di unità. I “''pentoloni di acqua bollente''”diventano” diventano parte del paesaggio che si sta, a fatica, industrializzando. Ancora un anno e, nel 1866, con la Terza guerra d’Indipendenza, l’Italia arriverà, quasi, alla completa unità.
L’Italia e la Milano-Bologna, dunque, sono nate e cresciute assieme. Un arretrato Paese basato su un’agricoltura non ricca è diventato una grande realtà industriale. Parallelamente, il sistema ferroviario ha cercato, spesso purtroppo senza riuscirvi, di mantenere il passo. Sembra che -finalmente- oggi stiamo per assistere a una ripresa.