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Versione delle 12:02, 12 set 2016

VITA DI LEONARDO DA VINCI xxi

Andò a Roma col duca Giuliano de' Medici nella creazione di papa Leone,1 che attendeva molto a cose filosofiche, e massimamente alla alchimia; dove formando una pasta di una cera, mentre che camminava, faceva animali sottilissimi pieni di vento, nei quali soffiando, gli faceva volare per l'aria; ma cessando il vento, cadevano in terra. Fermò in un ramarro, trovato dal vignaruolo di Belvedere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di altri ramarri scorticate, ali addosso con mistura d'argenti vivi, che nel muoversi quando camminava tremavano; e fattoli gli occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire. Usava spesso far minutamente digrassare e purgare le budella d'un castrato e talmente venir sottili, che si sarebbono tenute in palma di mano; e aveva messo in un'altra stanza un paio di mantici da fabbro, ai quali metteva un capo delle dette budella, e gonfiandole ne riempiva la stanza, la quale era grandissima; dove bisognava che si recasse in un canto chi v'era, mostrando quelle trasparenti e piene di vento dal tenere poco luogo in principio, esser venute a occuparne molto, agguagliandole alla virtù. Fece infinite di queste pazzie, ed attese alli specchi, e tentò modi stranissimi nel cercare olii per dipignere, e vernice per mantenere l'opere fatte. Fece in questo tempo per messer Baldassarri Turini da Pescia, che era datario di Leone, un quadretto di una Nostra Donna col figliuolo in braccio, con infinita diligenzia ed arte. Ma, o sia per colpa di chi lo ingessò, o pur per quelle sue tante e capricciose misture delle mestiche e de' colori, è oggi molto guasto. E in un altro quadretto ritrasse un fanciulletto, che è bello e grazioso a maraviglia: che oggi sono tutti e due in Pescia appresso a messer Giulio Turini.2 Dicesi che essendogli allogato una opera dal papa, subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice; per che fu detto da papa Leone: Oimè! costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi il principio dell'opera.3 Era sdegno grandissimo fra Michelagnolo Buonarroti e lui: per il che partì di Fiorenza Michelagnolo per la concorrenza, con la scusa del duca Giuliano, essendo chiamato dal papa per la facciata di San Lorenzo. Lionardo intendendo ciò, partì ed andò in Francia,4 dove il re, avendo

aveva co' fratelli per cagione della eredità di Francesco suo zio. I più de' passati scrittori vorrebbero questa lite fosse stata ancora sull'eredità paterna, ma noi siamo certi che si trattava solamente dell'eredità dello zio, il quale con suo testamento del 12 agosto 1504 rogato da Girolamo Cecchi (i cui protocolli mancano nell'Archivio de' Contratti di Firenze) aveva fatto erede Leonardo di alcuni suoi poderi posti nel comune di Vinci: onde dopo la morte di Francesco, accaduta verso il 1507, nacque la detta lite tra Leonardo e i suoi fratelli. A noi non è riuscito fino ad ora di ritrovarne gli atti, e di saperne perciò l'esito: ma da altri documenti possiamo congetturare che de' beni lasciati da Francesco da Vinci i fratelli di Leonardo disposero, dopo la morte di lui, a favore di madonna Lucrezia, ultima moglie di ser Pietro, per rifacimento della sua dote. 1 * Qui è una lacuna di ben sette anni nelle notizie di Leonardo, che tanti ne corrono dall'opera per la sala del Consiglio, al 1513, anno della incoronazione di papa Leone. Suppliremo a questa mancanza nel Commentario posto in fine. 2 Di questi due quadri, l'uno credesi perito, l'altro si dice essere nella galleria di Dusseldorf. 3 Intorno a una Santa Famiglia, che credesi fatta per papa Leone, vedi il Commentario. 4 * Il Vasari accenna in questo luogo molto oscuramente a certa rivalità nata tra Michelangelo e Leonardo, negli ultimi tempi che questi visse in Firenze. Michelan-