Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/182: differenze tra le versioni

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lunge da Civitavecchia un altro ne ho visto, il quale era in un quadro quasi della medesima grandezza dell'antedetto (tav. I. 3), fatto in questa forma, che negli angoli uscivano quattro modiglioni sopra i quali quattro architravi si posavano: sopra di questi poi era la piramide del camino d'onde usciva il fumo, e in ogni faccia delle pareti erano due piccole finestre e un emiciclo dove stimo fossero statue collocate alte da terra piedi quattro, eccetto che nella faccia dell'entrata, come per lo disegno si conosce (1). Questi sono quanti camini antichi ho potuto trovare, e credo in Italia non ne siano altrettanti, nè ho mai parlato con uomo che di notare simili antichità si sia dilettato, o che ne abbia avuto notizia di alcuno: onde mi ha dato non poca ammirazione, massime perchè nè Vitruvio (2), nè altro architetto nelle loro opere di questi hanno fatto menzione (3). Il camino a Civitavecchia è stampato esso pure dal Barbaro ed accennato dallo Scamozzi. Le elevazioni che io do sono tratte dal cod. Magliabechiano, le piante dal cod. Sanese. Avendo avuto agio di percorrere i luoghi dall'autor nostro indicati, ho ricercato le tracce di questi edifizi, ma invano: nè fra gli scrittori locali ne trovai cenno alcuno. Vitruvio al cap. 3 lib. VII accenna buiamente ed a caso il fumo de' lumi e de' bracieri, nè altro dice dei mezzi di riscaldarsi, forse perchè non ne trovò parola presso gli architetti greci. Ed è noto che il buon Vitruvio cessava di copiare quando mancavangli gli originali. Che gli antichi avessero camini è cosa certa, e certo è pure che la forma loro differiva assai da quella dei nostri, specialmente per la mancanza della cappa o fumaiuolo, poichè tale non può dirsi un foro fatto nel tetto per l'esito del fumo: per questo punto, qualunque opinione avessero avuta i dotti degli ultimi secoli, le scoperte di Ercolano e Pompei ci hanno dimostrato che nè gole nè bocche di camini nelle case antiche non esistevano. Furono per gli antichi i camini come la stampa; trovarono la cosa, non la seppero applicare, o non vi pensarono; ciò dico, perchè i sotterranei a pilastrelli degli ipocausti, con le pareti loro tutte rivestite di tubi di sezione quadrilatera, rappresentano assai dappresso le gole de' camini nostri, e non una sola, ma a diecine, in un sol ipocausto, raccoglievano e tramandavano il calore; ne abbiamo innumerevoli esempi. Pure, un camino quali sono i nostri, non lo trovarono. Chi fosse curioso d'istruirsi sopra una questione che menò tanto romore tra gli archeologi, consulti i lessicografi, ed alcuni che trattaronne incidentemente, fra i quali vanno distinti il Benedetti nelle animadversioni all'Aulularia di Plauto, ed il Fea in nota alle lettere di Winkelmann, uno (e certo il più dotto) fra i pochissimi che sostengano conosciuti i camini nostri agli antichi: P. F. Hèbrard in una dissertazione apposita (premessa alla Caminologie. Dijon 1756) il quale lasciò indecisa la questione: il Maffei (Dissertazione nel tomo 47. degli op. Calogeriani) che pure peritandosi, infin lo nega: Paolo Manuzio in lunga nota a Cicerone (Epist. Famil. VII. 10. Venezia 1583), e Giusto Lipsio nella centuria terza N.o 76 delle Epistolae ad Belgas, che lo negano essi pure: ed un anonimo dello stesso
{{Pt|lunge|dilunge}} da Civitavecchia un altro ne ho visto, il quale era in un quadro quasi della medesima grandezza dell’antedetto ({{Pt|[[Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, III.djvu/13|tav. I. 3.]]|[[Trattato di architettura civile e militare III/Tavola 1|tav. I. 3.]]}}), fatto in questa forma, che negli angoli uscivano quattro modiglioni sopra i quali quattro architravi si posavano: sopra di questi poi era la piramide del camino d’onde usciva il fumo, e in ogni faccia delle pareti erano due piccole finestre e un emiciclo dove stimo fossero statue collocate alte da terra piedi quattro, eccetto che nella faccia dell’entrata, come per lo disegno si conosce (<ref>Il camino a Civitavecchia è stampato esso pure dal Barbaro ed accennato dallo Scamozzi. Le elevazioni che io do sono tratte dal cod. Magliabechiano, le piante dal cod. Sanese. Avendo avuto agio di percorrere i luoghi dall’autor nostro indicati, ho ricercato le tracce di questi edifizi, ma invano: nè fra gli scrittori locali ne trovai cenno alcuno.</ref>). Questi sono quanti camini antichi ho potuto trovare, e credo in Italia non ne siano altrettanti, nè ho mai parlato con uomo che di notare simili antichità si sia dilettato, o che ne abbia avuto notizia di alcuno: onde mi ha dato non poca ammirazione, massime perchè nè Vitruvio (<ref>Vitruvio al cap. 3 lib. VII accenna buiamente ed a caso il fumo de’ lumi e de’ bracieri, nè altro dice dei mezzi di riscaldarsi, forse perchè non ne trovò parola presso gli architetti greci. Ed è noto che il buon Vitruvio cessava di copiare quando mancavangli gli originali.</ref>), nè altro architetto nelle loro opere di questi hanno fatto menzione (<ref name="p182">Che gli antichi avessero camini è cosa certa, e certo è pure che la forma loro differiva assai da quella dei nostri, specialmente per la mancanza della cappa o fumaiuolo, poichè tale non può dirsi un foro fatto nel tetto per l’esito del fumo: per questo punto, qualunque opinione avessero avuta i dotti degli ultimi secoli, le scoperte di Ercolano e Pompei ci hanno dimostrato che nè gole nè bocche di camini nelle case antiche non esistevano. Furono per gli antichi i camini come la stampa; trovarono la cosa, non la seppero applicare, o non vi pensarono; ciò dico, perchè i sotterranei a pilastrelli degli ipocausti, con le pareti loro tutte rivestite di tubi di sezione quadrilatera, rappresentano assai dappresso le gole de’ camini nostri, e non una sola, ma a diecine, in un sol ipocausto, raccoglievano e tramandavano il calore; ne abbiamo innumerevoli esempi. Pure, un camino quali sono i nostri, non lo trovarono. Chi fosse curioso d’istruirsi sopra una questione che menò tanto romore tra gli archeologi, consulti i lessicografi, ed alcuni che trattaronne incidentemente, fra i quali vanno distinti il Benedetti nelle animadversioni all’Aulularia di {{AutoreCitato|Tito Maccio Plauto|Plauto}}, ed il Fea in nota alle lettere di Winkelmann, uno (e certo il più dotto) fra i pochissimi che sostengano conosciuti i camini nostri agli antichi: P. F. Hèbrard in una dissertazione apposita (premessa alla ''Caminologie''. Dijon 1756) il quale lasciò indecisa la questione: il {{AutoreCitato|Scipione Maffei|Maffei}} (Dissertazione nel tomo 47. degli op. Calogeriani) che pure peritandosi, infin lo nega: {{AutoreCitato|Paolo Manuzio|Paolo Manuzio}} in lunga nota a Cicerone (''Epist. Famil.'' VII. 10. Venezia 1583), e {{AutoreCitato|Giusto Lipsio|Giusto Lipsio}} nella centuria terza N.<sup>o</sup> 76 delle ''Epistolae ad Belgas'', che lo negano essi pure: ed un anonimo dello stesso</ref>).