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Versione delle 14:21, 18 lug 2016

16 Luigi di San Giusto vergogna. E il duca le concesse la grazia come poetessa; onde per riconoscenza Tullia dedicò a lui il suo Dialogo, e alla duchessa le sue Rime. E la dedica fu bene accolta, senza che nessuno pensasse a scandalizzarsene. Né il matrimonio, né la maternità la salvarono. Ella tornò alla vita splendida e spensierata di prima. Nella sua casa, assai ricca, convenivano letterati e signori; amanti platonici e... altri. Ma oramai la luminosa parabola della sua vita era compiuta, e declinava rapidamente verso le tenebre. Morì abbandonata, in casa di un oste in Trastevere. Nessuno dei suoi innumerevoli ammiratori la pianse; l’aureola si era dileguata dalla fronte della poetessa; la bella farfalla aveva perduto la polvere d’oro delle sue ali; il suo cadavere non era quello di Saffo, ma di una cortigiana volgare. Così tramontò colei, della quale fu detto: < Dio fece quaggiù Vittoria una luna e Tullia un sole! >, ecclissando così la fama della divina Colonna. Del resto, stando alle iperboliche lodi che signori e poeti spendevano intorno alle letterate di quel secolo, esse ci appaiono tutte come una teoria luminosa. Assai diversa é l’impressione quando leggiamo, di ciascuna in particolare, le vantate liriche, straordinariamente uniformai; tutte egualmente tinte di quel colore grigio-azzurrognolo, che dal Petrarca in qua ebbe la poesia