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146 ODISSEA

e piú leggero in cuore, si volse a parlare ai Feaci:
«Giovani, or, sino a questo giungete; ed un altro di poi
ne scaglierò pari al primo, mi spero, e forse anche piú lungi.
E qualunque altra gara la brama vi spinga a cercare,
si tenti, via, la prova, giacché l’ira mia suscitaste:
al pugilato, alla lotta, al corso: ché io non rifiuto,
quando Laodamante s’escluda, verun dei Feaci:
ospite quegli m’è: chi mai misurar si vorrebbe
con chi l’ospita e l’ama? E un uomo dappoco, uno stolto,
quei che, trovandosi in terra d’estranei, provoca a gare
chi l’ospita: distrugge da sé qual sia vogliasi bene.
Ma niun rifiuto, niuno disprezzo degli altri Feaci:
a faccia a faccia voglio vederli, e tentarne le forze:
ché delle gare, quante ce n’è, non son punto inesperto.
Un arco levigato so ben maneggiare; e per primo
saprei colpire un uomo, lanciando una freccia, nel fitto
delle nemiche turbe, se pur molti e molti compagni
stessero presso lui, scagliassero dardi ai nemici.
Il solo Filottete di me piú valeva, nei giorni
quando gli Achivi a Troia tentaron la prova dell’arco.
Ma di gran lunga il migliore mi credo fra quanti mortali
vivono adesso e pane manducano sopra la terra.
Certo che non vorrei gareggiar con gli eroi d’una volta,
né con Eurito, re d’Ecalia, né con Ercole: quelli
ardian perfino i Numi sfidare nell’arte dell’arco.
Per quanto, Eurito grande ben presto mori; né colpirlo
potè fra le sue mura vecchiaia; ma Febo lo uccise,
irato che al cimento lo avea provocato dell arco.
Il giavellotto posso lanciare come altri una freccia.
Solo nel corso temo che possa qualcun dei Feaci