Orlando furioso (1928)/Canto 1: differenze tra le versioni

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==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/39]]==
 
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{{center|ORLANDO FVRIOSO DI MESSER LVDOVICO
 
ARIOSTO ALLO ILLVSTRISSIMO E REVE
 
RENDISSIMO CARDINALE DON
 
NO HIPPOLYTO DA ESTE
 
SVO SIGNORE.}}
 
 
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[1]
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
Le cortesie, l’audaci imprese io canto,
Che furo al tempo che passaro i Mori
D’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
Seguendo l’ire e i giovenil furori
D’Agramante lor re, che si diè vanto
Di vendicar la morte di Troiano
Sopra re Carlo imperator romano.
{{gap|8em}}[2]
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
Cosa non detta in prosa mai, né in rima:
Che per amor venne in furore e matto,
D’uom che sì saggio era stimato prima;
Se da colei che tal quasi m’ha fatto,
Che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
Me ne sarà però tanto concesso,
Che mi basti a finir quanto ho promesso.
{{gap|8em}}[3]
Piacciavi, generosa Erculea prole,
Ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
E darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
Pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
Né che poco io vi dia da imputar sono,
Che quanto io posso dar, tutto vi dono.
{{gap|8em}}[4]
Voi sentirete fra i più degni eroi,
Che nominar con laude m’apparecchio,
Ricordar quel Ruggier, che fu di voi
E de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
Vi farò udir, se voi mi date orecchio,
E vostri alti pensier cedino un poco,
Sì che tra lor miei versi abbiano loco.
{{gap|8em}}[5]
Orlando, che gran tempo innamorato
Fu de la bella Angelica, e per lei
In India, in Media, in Tartaria lasciato
Avea infiniti ed immortal trofei,
In Ponente con essa era tornato,
Dove sotto i gran monti Pirenei
Con la gente di Francia e de Lamagna
Re Carlo era attendato alla campagna,
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[1]
Le donne, i cauallier, l’arme, gli amori,
Le corteſie, l’audaci impreſe io canto,
Che furo al tempo che paſſaro i Mori
D’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
Seguendo l’ire e i giouenil furori
D’Agramante lor re, che ſi die vanto
Di vendicar la morte di Troiano
Sopra re Carlo imperator romano.
{{gap|8em}}[2]
Diro d’Orlando in vn medeſmo tratto
Coſa non detta in proſa mai, ne in rima:
Che per amor venne in furore e matto,
D’huom che ſi ſaggio era ſtimato prima;
Se da colei che tal quaſi m’ha fatto,
Che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
Me ne ſara pero tanto conceſſo,
Che mi baſti a finir quanto ho promeſſo.
{{gap|8em}}[3]
Piacciaui, generoſa Erculea prole,
Ornamento e ſplendor del ſecol noſtro,
Ippolito, aggradir queſto che vuole
E darui ſol puo l’humil ſeruo voſtro.
Quel ch’io vi debbo, poſſo di parole
Pagare in parte e d’opera d’inchioſtro;
Ne che poco io vi dia da imputar ſono,
Che quanto io poſſo dar, tutto vi dono.
{{gap|8em}}[4]
Voi ſentirete fra i piu degni eroi,
Che nominar con laude m’apparecchio,
Ricordar quel Ruggier, che fu di voi
E de’ voſtri aui illuſtri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari geſti ſuoi
Vi faro vdir, ſe voi mi date orecchio,
E voſtri alti penſier cedino vn poco,
Si che tra lor miei verſi abbiano loco.
{{gap|8em}}[5]
Orlando, che gran tempo innamorato
Fu de la bella Angelica, e per lei
In India, in Media, in Tartaria laſciato
Auea infiniti ed immortal trofei,
In Ponente con eſſa era tornato,
Doue ſotto i gran monti Pirenei
Con la gente di Francia e de Lamagna
Re Carlo era attendato alla campagna,
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/40]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[6]
Per far al re Marsilio e al re Agramante
Battersi ancor del folle ardir la guancia,
D’aver condotto, l’un, d’Africa quante
Genti erano atte a portar spada e lancia;
L’altro, d’aver spinta la Spagna inante
A destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto:
Ma tosto si pentì d’esservi giunto:
{{gap|8em}}[7]
Che vi fu tolta la sua donna poi:
Ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperi ai liti eoi
Avea difesa con sì lunga guerra,
Or tolta gli è fra tanti amici suoi,
Senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
Un grave incendio, fu che gli la tolse.
{{gap|8em}}[8]
Nata pochi dì inanzi era una gara
Tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
Che entrambi avean per la bellezza rara
D’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
Che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
Questa donzella, che la causa n’era,
Tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
{{gap|8em}}[9]
In premio promettendola a quel d’essi,
Ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
Degl’infideli più copia uccidessi,
E di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
Ch’in fuga andò la gente battezzata,
E con molti altri fu ’l duca prigione,
E restò abbandonato il padiglione.
{{gap|8em}}[10]
Dove, poi che rimase la donzella
Ch’esser dovea del vincitor mercede,
Inanzi al caso era salita in sella,
E quando bisognò le spalle diede,
Presaga che quel giorno esser rubella
Dovea Fortuna alla cristiana fede:
Entrò in un bosco, e ne la stretta via
Rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.
{{gap|8em}}[11]
Indosso la corazza, l’elmo in testa,
La spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
E più leggier correa per la foresta,
Ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
Non volse piede inanzi a serpe crudo,
Come Angelica tosto il freno torse,
Che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse.
{{gap|8em}}[12]
Era costui quel paladin gagliardo,
Figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
A cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
Per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
Riconobbe, quantunque di lontano,
L’angelico sembiante e quel bel volto
Ch’all’amorose reti il tenea involto.
{{gap|8em}}[13]
La donna il palafreno a dietro volta,
E per la selva a tutta briglia il caccia;
Né per la rara più che per la folta,
La più sicura e miglior via procaccia:
Ma pallida, tremando, e di sé tolta,
Lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù di giù, ne l’alta selva fiera
Tanto girò, che venne a una riviera.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[6]
Per far al re Marſilio e al re Agramante
Batterſi ancor del folle ardir la guancia,
D’auer condotto, l’un, d’Africa quante
Genti erano atte a portar ſpada e lancia;
L’altro, d’auer ſpinta la Spagna inante
A deſtruzion del bel regno di Francia.
E coſi Orlando arriuo quiui a punto:
Ma toſto ſi penti d’eſſerui giunto:
{{gap|8em}}[7]
Che vi fu tolta la ſua donna poi:
Ecco il giudicio vman come ſpeſſo erra!
Quella che dagli eſperi ai liti eoi
Auea difeſa con ſi lunga guerra,
Or tolta gli e fra tanti amici ſuoi,
Senza ſpada adoprar, ne la ſua terra.
Il ſauio imperator, ch’eſtinguer volſe
Vn graue incendio, fu che gli la tolſe.
{{gap|8em}}[8]
Nata pochi di inanzi era vna gara
Tra il conte Orlando e il ſuo cugin Rinaldo,
Che entrambi auean per la bellezza rara
D’amoroſo diſio l’animo caldo.
Carlo, che non auea tal lite cara,
Che gli rendea l’aiuto lor men ſaldo,
Queſta donzella, che la cauſa n’era,
Tolſe, e die in mano al duca di Bauera;
{{gap|8em}}[9]
In premio promettendola a quel d’eſſi,
Ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
Degl’infideli piu copia vccideſſi,
E di ſua man preſtaſſe opra piu grata.
Contrari ai voti poi furo i ſucceſſi;
Ch’in fuga ando la gente battezzata,
E con molti altri fu ’l duca prigione,
E reſto abbandonato il padiglione.
{{gap|8em}}[10]
Doue, poi che rimaſe la donzella
Ch’eſſer douea del vincitor mercede,
Inanzi al caſo era ſalita in ſella,
E quando biſogno le ſpalle diede,
Preſaga che quel giorno eſſer rubella
Douea Fortuna alla criſtiana fede:
Entro in vn boſco, e ne la ſtretta via
Rincontro vn cauallier ch’a pie venia.
{{gap|8em}}[11]
Indoſſo la corazza, l’elmo in teſta,
La ſpada al fianco, e in braccio auea lo ſcudo;
E piu leggier correa per la foreſta,
Ch’al pallio roſſo il villan mezzo ignudo.
Timida paſtorella mai ſi preſta
Non volſe piede inanzi a ſerpe crudo,
Come Angelica toſto il freno torſe,
Che del guerrier, ch’a pie venia, ſ’accorſe.
{{gap|8em}}[12]
Era coſtui quel paladin gagliardo,
Figliuol d’Amon, ſignor di Montalbano,
A cui pur dianzi il ſuo deſtrier Baiardo
Per ſtrano caſo vſcito era di mano.
Come alla donna egli drizzo lo ſguardo,
Riconobbe, quantunque di lontano,
L’angelico ſembiante e quel bel volto
Ch’all’amoroſe reti il tenea inuolto.
{{gap|8em}}[13]
La donna il palafreno a dietro volta,
E per la ſelua a tutta briglia il caccia;
Ne per la rara piu che per la folta,
La piu ſicura e miglior via procaccia:
Ma pallida, tremando, e di ſe tolta,
Laſcia cura al deſtrier che la via faccia.
Di ſu di giu, ne l’alta ſelua fiera
Tanto giro, che venne a vna riuiera.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/41]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[14]
Su la riviera Ferraù trovosse
Di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
Un gran disio di bere e di riposo;
E poi, mal grado suo, quivi fermosse,
Perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
L’elmo nel fiume si lasciò cadere,
Né l’avea potuto anco riavere.
{{gap|8em}}[15]
Quanto potea più forte, ne veniva
Gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
Il Saracino, e nel viso la guata;
E la conosce subito ch’arriva,
Ben che di timor pallida e turbata,
E sien più dì che non n’udì novella,
Che senza dubbio ell’è Angelica bella.
{{gap|8em}}[16]
E perché era cortese, e n’avea forse
Non men de’ dui cugini il petto caldo,
L’aiuto che potea tutto le porse,
Pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:
Trasse la spada, e minacciando corse
Dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s’eran già non pur veduti,
M’al paragon de l’arme conosciuti.
{{gap|8em}}[17]
Cominciar quivi una crudel battaglia,
Come a piè si trovar, coi brandi ignudi:
Non che le piastre e la minuta maglia,
Ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia,
Bisogna al palafren che ’l passo studi;
Che quanto può menar de le calcagna,
Colei lo caccia al bosco e alla campagna.
{{gap|8em}}[18]
Poi che s’affaticar gran pezzo invano
I dui guerrier per por l’un l’altro sotto,
Quando non meno era con l’arme in mano
Questo di quel, né quel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Montalbano,
Ch’al cavallier di Spagna fece motto,
Sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco,
Che tutto n’arde e non ritrova loco.
{{gap|8em}}[19]
Disse al pagan: — Me sol creduto avrai,
E pur avrai te meco ancora offeso:
Se questo avvien perché i fulgenti rai
Del nuovo sol t’abbino il petto acceso,
Di farmi qui tardar che guadagno hai?
Che quando ancor tu m’abbi morto o preso,
Non però tua la bella donna fia;
Che, mentre noi tardiam, se ne va via.
{{gap|8em}}[20]
Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
Che tu le venga a traversar la strada,
A ritenerla e farle far dimora,
Prima che più lontana se ne vada!
Come l’avremo in potestate, allora
Di chi esser de’ si provi con la spada:
Non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
Che possa riuscirci altro che danno. —
{{gap|8em}}[21]
Al pagan la proposta non dispiacque:
Così fu differita la tenzone;
E tal tregua tra lor subito nacque,
Sì l’odio e l’ira va in oblivione,
Che ’l pagano al partir da le fresche acque
Non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone:
Con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
E per l’orme d’Angelica galoppa.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[14]
Su la riuiera Ferrau trouoſſe
Di ſudor pieno e tutto polueroſo.
Da la battaglia dianzi lo rimoſſe
Vn gran diſio di bere e di ripoſo;
E poi, mal grado ſuo, quiui fermoſſe,
Perche, de l’acqua ingordo e frettoloſo,
L’elmo nel fiume ſi laſcio cadere,
Ne l’auea potuto anco riauere.
{{gap|8em}}[15]
Quanto potea piu forte, ne veniua
Gridando la donzella iſpauentata.
A quella voce ſalta in ſu la riua
Il Saracino, e nel viſo la guata;
E la conoſce ſubito ch’arriua,
Ben che di timor pallida e turbata,
E ſien piu di che non n’udi nouella,
Che ſenza dubbio ell’e Angelica bella.
{{gap|8em}}[16]
E perche era corteſe, e n’auea forſe
Non men de’ dui cugini il petto caldo,
L’aiuto che potea tutto le porſe,
Pur come aueſſe l’elmo, ardito e baldo:
Traſſe la ſpada, e minacciando corſe
Doue poco di lui temea Rinaldo.
Piu volte ſ’eran gia non pur veduti,
M’al paragon de l’arme conoſciuti.
{{gap|8em}}[17]
Cominciar quiui vna crudel battaglia,
Come a pie ſi trouar, coi brandi ignudi:
Non che le piaſtre e la minuta maglia,
Ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro ſi trauaglia,
Biſogna al palafren che ’l paſſo ſtudi;
Che quanto puo menar de le calcagna,
Colei lo caccia al boſco e alla campagna.
{{gap|8em}}[18]
Poi che ſ’affaticar gran pezzo inuano
I dui guerrier per por l’un l’altro ſotto,
Quando non meno era con l’arme in mano
Queſto di quel, ne quel di queſto dotto;
Fu primiero il ſignor di Montalbano,
Ch’al cauallier di Spagna fece motto,
Si come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco,
Che tutto n’arde e non ritroua loco.
{{gap|8em}}[19]
Diſſe al pagan: — Me ſol creduto aurai,
E pur aurai te meco ancora offeſo:
Se queſto auuien perche i fulgenti rai
Del nuouo ſol t’abbino il petto acceſo,
Di farmi qui tardar che guadagno hai?
Che quando ancor tu m’abbi morto o preſo,
Non pero tua la bella donna fia;
Che, mentre noi tardiam, ſe ne va via.
{{gap|8em}}[20]
Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
Che tu le venga a trauerſar la ſtrada,
A ritenerla e farle far dimora,
Prima che piu lontana ſe ne vada!
Come l’auremo in poteſtate, allora
Di chi eſſer de’ ſi proui con la ſpada:
Non ſo altrimenti, dopo vn lungo affanno,
Che poſſa riuſcirci altro che danno. —
{{gap|8em}}[21]
Al pagan la propoſta non diſpiacque:
Coſi fu differita la tenzone;
E tal tregua tra lor ſubito nacque,
Si l’odio e l’ira va in obliuione,
Che ’l pagano al partir da le freſche acque
Non laſcio a piedi il buon figliuol d’Amone:
Con preghi inuita, ed al fin toglie in groppa,
E per l’orme d’Angelica galoppa.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/42]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[22]
Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
Per tutta la persona anco dolersi;
E pur per selve oscure e calli obliqui
Insieme van senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
Ove una strada in due si dipartiva.
{{gap|8em}}[23]
E come quei che non sapean se l’una
O l’altra via facesse la donzella
(però che senza differenza alcuna
Apparia in amendue l’orma novella),
Si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s’avvolse,
E ritrovossi al fine onde si tolse.
{{gap|8em}}[24]
Pur si ritrova ancor su la rivera,
Là dove l’elmo gli cascò ne l’onde.
Poi che la donna ritrovar non spera,
Per aver l’elmo che ’l fiume gli asconde,
In quella parte onde caduto gli era
Discende ne l’estreme umide sponde:
Ma quello era sì fitto ne la sabbia,
Che molto avrà da far prima che l’abbia.
{{gap|8em}}[25]
Con un gran ramo d’albero rimondo,
Di ch’avea fatto una pertica lunga,
Tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
Né loco lascia ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
Tanto l’indugio suo quivi prolunga,
Vede di mezzo il fiume un cavalliero
Insino al petto uscir, d’aspetto fiero.
{{gap|8em}}[26]
Era, fuor che la testa, tutto armato,
Ed avea un elmo ne la destra mano:
Avea il medesimo elmo che cercato
Da Ferraù fu lungamente invano.
A Ferraù parlò come adirato,
E disse: — Ah mancator di fé, marano!
Perché di lasciar l’elmo anche t’aggrevi,
Che render già gran tempo mi dovevi?
{{gap|8em}}[27]
Ricordati, pagan, quando uccidesti
D’Angelica il fratel (che son quell’io),
Dietro all’altr’arme tu mi promettesti
Gittar fra pochi dì l’elmo nel rio.
Or se Fortuna (quel che non volesti
Far tu) pone ad effetto il voler mio,
Non ti turbare; e se turbar ti déi,
Turbati che di fé mancato sei.
{{gap|8em}}[28]
Ma se desir pur hai d’un elmo fino,
Trovane un altro, ed abbil con più onore;
Un tal ne porta Orlando paladino,
Un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
L’un fu d’Almonte, e l’altro di Mambrino:
Acquista un di quei dui col tuo valore;
E questo, ch’hai già di lasciarmi detto,
Farai bene a lasciarmi con effetto. —
{{gap|8em}}[29]
All’apparir che fece all’improvviso
De l’acqua l’ombra, ogni pelo arricciossi,
E scolorossi al Saracino il viso;
La voce, ch’era per uscir, fermossi.
Udendo poi da l’Argalia, ch’ucciso
Quivi avea già (che l’Argalia nomossi)
La rotta fede così improverarse,
Di scorno e d’ira dentro e di fuor arse.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[22]
Oh gran bonta de’ cauallieri antiqui!
Eran riuali, eran di fe diuerſi,
E ſi ſentian degli aſpri colpi iniqui
Per tutta la perſona anco dolerſi;
E pur per ſelue oſcure e calli obliqui
Inſieme van ſenza ſoſpetto auerſi.
Da quattro ſproni il deſtrier punto arriua
Oue vna ſtrada in due ſi dipartiua.
{{gap|8em}}[23]
E come quei che non ſapean ſe l’una
O l’altra via faceſſe la donzella
(pero che ſenza differenza alcuna
Apparia in amendue l’orma nouella),
Si meſſero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a queſta, il Saracino a quella.
Pel boſco Ferrau molto ſ’auuolſe,
E ritrouoſſi al fine onde ſi tolſe.
{{gap|8em}}[24]
Pur ſi ritroua ancor ſu la riuera,
La doue l’elmo gli caſco ne l’onde.
Poi che la donna ritrouar non ſpera,
Per auer l’elmo che ’l fiume gli aſconde,
In quella parte onde caduto gli era
Diſcende ne l’eſtreme vmide ſponde:
Ma quello era ſi fitto ne la ſabbia,
Che molto aura da far prima che l’abbia.
{{gap|8em}}[25]
Con vn gran ramo d’albero rimondo,
Di ch’auea fatto vna pertica lunga,
Tenta il fiume e ricerca ſino al fondo,
Ne loco laſcia oue non batta e punga.
Mentre con la maggior ſtizza del mondo
Tanto l’indugio ſuo quiui prolunga,
Vede di mezzo il fiume vn caualliero
Inſino al petto vſcir, d’aſpetto fiero.
{{gap|8em}}[26]
Era, fuor che la teſta, tutto armato,
Ed auea vn elmo ne la deſtra mano:
Auea il medeſimo elmo che cercato
Da Ferrau fu lungamente inuano.
A Ferrau parlo come adirato,
E diſſe: — Ah mancator di fe, marano!
Perche di laſciar l’elmo anche t’aggreui,
Che render gia gran tempo mi doueui?
{{gap|8em}}[27]
Ricordati, pagan, quando vccideſti
D’Angelica il fratel (che ſon quell’io),
Dietro all’altr’arme tu mi prometteſti
Gittar fra pochi di l’elmo nel rio.
Or ſe Fortuna (quel che non voleſti
Far tu) pone ad effetto il voler mio,
Non ti turbare; e ſe turbar ti dei,
Turbati che di fe mancato ſei.
{{gap|8em}}[28]
Ma ſe deſir pur hai d’un elmo fino,
Trouane vn altro, ed abbil con piu onore;
Vn tal ne porta Orlando paladino,
Vn tal Rinaldo, e forſe anco migliore:
L’un fu d’Almonte, e l’altro di Mambrino:
Acquiſta vn di quei dui col tuo valore;
E queſto, ch’hai gia di laſciarmi detto,
Farai bene a laſciarmi con effetto. —
{{gap|8em}}[29]
All’apparir che fece all’improuuiſo
De l’acqua l’ombra, ogni pelo arriccioſſi,
E ſcoloroſſi al Saracino il viſo;
La voce, ch’era per vſcir, fermoſſi.
Vdendo poi da l’Argalia, ch’ucciſo
Quiui auea gia (che l’Argalia nomoſſi)
La rotta fede coſi improuerarſe,
Di ſcorno e d’ira dentro e di fuor arſe.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/43]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[30]
Né tempo avendo a pensar altra scusa,
E conoscendo ben che ’l ver gli disse,
Restò senza risposta a bocca chiusa;
Ma la vergogna il cor sì gli trafisse,
Che giurò per la vita di Lanfusa
Non voler mai ch’altro elmo lo coprisse,
Se non quel buono che già in Aspramonte
Trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.
{{gap|8em}}[31]
E servò meglio questo giuramento,
Che non avea quell’altro fatto prima.
Quindi si parte tanto malcontento,
Che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il paladino intento
Di qua di là, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
Che da costui tenea diverse strade.
{{gap|8em}}[32]
Non molto va Rinaldo, che si vede
Saltare inanzi il suo destrier feroce:
— Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
Che l’esser senza te troppo mi nuoce. —
Per questo il destrier sordo, a lui non riede
Anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge:
Ma seguitiamo Angelica che fugge.
{{gap|8em}}[33]
Fugge tra selve spaventose e scure,
Per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
Che di cerri sentia, d’olmi e di faggi,
Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua di là strani viaggi;
Ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
Temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
{{gap|8em}}[34]
Qual pargoletta o damma o capriuola,
Che tra le fronde del natio boschetto
Alla madre veduta abbia la gola
Stringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto,
Di selva in selva dal crudel s’invola,
E di paura trema e di sospetto:
Ad ogni sterpo che passando tocca,
Esser si crede all’empia fera in bocca.
{{gap|8em}}[35]
Quel dì e la notte a mezzo l’altro giorno
S’andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
Che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
Sempre l’erbe vi fan tenere e nuove;
E rendea ad ascoltar dolce concento,
Rotto tra picciol sassi, il correr lento.
{{gap|8em}}[36]
Quivi parendo a lei d’esser sicura
E lontana a Rinaldo mille miglia,
Da la via stanca e da l’estiva arsura,
Di riposare alquanto si consiglia:
Tra’ fiori smonta, e lascia alla pastura
Andare il palafren senza la briglia;
E quel va errando intorno alle chiare onde,
Che di fresca erba avean piene le sponde.
{{gap|8em}}[37]
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Di prun fioriti e di vermiglie rose,
Che de le liquide onde al specchio siede,
Chiuso dal sol fra l’alte querce ombrose;
Così voto nel mezzo, che concede
Fresca stanza fra l’ombre più nascose:
E la foglia coi rami in modo è mista,
Che ’l sol non v’entra, non che minor vista.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[30]
Ne tempo auendo a penſar altra ſcuſa,
E conoſcendo ben che ’l ver gli diſſe,
Reſto ſenza riſpoſta a bocca chiuſa;
Ma la vergogna il cor ſi gli trafiſſe,
Che giuro per la vita di Lanfuſa
Non voler mai ch’altro elmo lo copriſſe,
Se non quel buono che gia in Aſpramonte
Traſſe dal capo Orlando al fiero Almonte.
{{gap|8em}}[31]
E ſeruo meglio queſto giuramento,
Che non auea quell’altro fatto prima.
Quindi ſi parte tanto malcontento,
Che molti giorni poi ſi rode e lima.
Sol di cercare e il paladino intento
Di qua di la, doue trouarlo ſtima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
Che da coſtui tenea diuerſe ſtrade.
{{gap|8em}}[32]
Non molto va Rinaldo, che ſi vede
Saltare inanzi il ſuo deſtrier feroce:
— Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
Che l’eſſer ſenza te troppo mi nuoce. —
Per queſto il deſtrier ſordo, a lui non riede
Anzi piu ſe ne va ſempre veloce.
Segue Rinaldo, e d’ira ſi diſtrugge:
Ma ſeguitiamo Angelica che fugge.
{{gap|8em}}[33]
Fugge tra ſelue ſpauentoſe e ſcure,
Per lochi inabitati, ermi e ſeluaggi.
Il mouer de le frondi e di verzure,
Che di cerri ſentia, d’olmi e di faggi,
Fatto le auea con ſubite paure
Trouar di qua di la ſtrani viaggi;
Ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
Temea Rinaldo auer ſempre alle ſpalle.
{{gap|8em}}[34]
Qual pargoletta o damma o capriuola,
Che tra le fronde del natio boſchetto
Alla madre veduta abbia la gola
Stringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto,
Di ſelua in ſelua dal crudel ſ’inuola,
E di paura trema e di ſoſpetto:
Ad ogni ſterpo che paſſando tocca,
Eſſer ſi crede all’empia fera in bocca.
{{gap|8em}}[35]
Quel di e la notte a mezzo l’altro giorno
S’ando aggirando, e non ſapeua doue.
Trouoſſi al fin in vn boſchetto adorno,
Che lieuemente la freſca aura muoue.
Duo chiari riui, mormorando intorno,
Sempre l’erbe vi fan tenere e nuoue;
E rendea ad aſcoltar dolce concento,
Rotto tra picciol ſaſſi, il correr lento.
{{gap|8em}}[36]
Quiui parendo a lei d’eſſer ſicura
E lontana a Rinaldo mille miglia,
Da la via ſtanca e da l’eſtiua arſura,
Di ripoſare alquanto ſi conſiglia:
Tra’ fiori ſmonta, e laſcia alla paſtura
Andare il palafren ſenza la briglia;
E quel va errando intorno alle chiare onde,
Che di freſca erba auean piene le ſponde.
{{gap|8em}}[37]
Ecco non lungi vn bel ceſpuglio vede
Di prun fioriti e di vermiglie roſe,
Che de le liquide onde al ſpecchio ſiede,
Chiuſo dal ſol fra l’alte querce ombroſe;
Coſi voto nel mezzo, che concede
Freſca ſtanza fra l’ombre piu naſcoſe:
E la foglia coi rami in modo e miſta,
Che ’l ſol non v’entra, non che minor viſta.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/44]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[38]
Dentro letto vi fan tenere erbette,
Ch’invitano a posar chi s’appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
Ivi si corca ed ivi s’addormenta.
Ma non per lungo spazio così stette,
Che un calpestio le par che venir senta:
Cheta si leva e appresso alla riviera
Vede ch’armato un cavallier giunt’era.
{{gap|8em}}[39]
Se gli è amico o nemico non comprende:
Tema e speranza il dubbio cor le scuote;
E di quella aventura il fine attende,
Né pur d’un sol sospir l’aria percuote.
Il cavalliero in riva al fiume scende
Sopra l’un braccio a riposar le gote;
E in un suo gran pensier tanto penètra,
Che par cangiato in insensibil pietra.
{{gap|8em}}[40]
Pensoso più d’un’ora a capo basso
Stette, Signore, il cavallier dolente;
Poi cominciò con suono afflitto e lasso
A lamentarsi sì soavemente,
Ch’avrebbe di pietà spezzato un sasso,
Una tigre crudel fatta clemente.
Sospirante piangea, tal ch’un ruscello
Parean le guance, e ’l petto un Mongibello.
{{gap|8em}}[41]
— Pensier (dicea) che ’l cor m’agghiacci ed ardi,
E causi il duol che sempre il rode e lima,
Che debbo far, poi ch’io son giunto tardi,
E ch’altri a corre il frutto è andato prima?
A pena avuto io n’ho parole e sguardi,
Ed altri n’ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
Perché affligger per lei mi vuo’ più il core?
{{gap|8em}}[42]
{{§|La verginella|La verginella è simile alla rosa,
Ch'in bel giardin su la nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Né gregge né pastor se le avvicina;
L'aura soave e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
Gioveni vaghi e donne inamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.}}
{{gap|8em}}[43]
Ma non sì tosto dal materno stelo
Rimossa viene e dal suo ceppo verde,
Che quanto avea dagli uomini e dal cielo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ’l fior, di che più zelo
Che de’ begli occhi e de la vita aver de’,
Lascia altrui corre, il pregio ch’avea inanti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
{{gap|8em}}[44]
Sia Vile agli altri, e da quel solo amata
A cui di sé fece sì larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
Trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
Dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
Ch’io viva più, s’amar non debbo lei! —
{{gap|8em}}[45]
Se mi domanda alcun chi costui sia,
Che versa sopra il rio lacrime tante,
Io dirò ch’egli è il re di Circassia,
Quel d’amor travagliato Sacripante;
Io dirò ancor, che di sua pena ria
Sia prima e sola causa essere amante,
È pur un degli amanti di costei:
E ben riconosciuto fu da lei.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[38]
Dentro letto vi fan tenere erbette,
Ch’inuitano a poſar chi ſ’appreſenta.
La bella donna in mezzo a quel ſi mette,
Iui ſi corca ed iui ſ’addormenta.
Ma non per lungo ſpazio coſi ſtette,
Che vn calpeſtio le par che venir ſenta:
Cheta ſi leua e appreſſo alla riuiera
Vede ch’armato vn cauallier giunt’era.
{{gap|8em}}[39]
Se gli e amico o nemico non comprende:
Tema e ſperanza il dubbio cor le ſcuote;
E di quella auentura il fine attende,
Ne pur d’un ſol ſoſpir l’aria percuote.
Il caualliero in riua al fiume ſcende
Sopra l’un braccio a ripoſar le gote;
E in vn ſuo gran penſier tanto penetra,
Che par cangiato in inſenſibil pietra.
{{gap|8em}}[40]
Penſoſo piu d’un’hora a capo baſſo
Stette, Signore, il cauallier dolente;
Poi comincio con ſuono afflitto e laſſo
A lamentarſi ſi ſoauemente,
Ch’aurebbe di pieta ſpezzato vn ſaſſo,
Vna tigre crudel fatta clemente.
Soſpirante piangea, tal ch’un ruſcello
Parean le guance, e ’l petto vn Mongibello.
{{gap|8em}}[41]
— Penſier (dicea) che ’l cor m’agghiacci ed ardi,
E cauſi il duol che ſempre il rode e lima,
Che debbo far, poi ch’io ſon giunto tardi,
E ch’altri a corre il frutto e andato prima?
A pena auuto io n’ho parole e ſguardi,
Ed altri n’ha tutta la ſpoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto ne fiore,
Perche affligger per lei mi vuo’ piu il core?
{{gap|8em}}[42]
{{§|La verginella|La verginella e ſimile alla roſa,
Ch'in bel giardin ſu la natiua ſpina
Mentre ſola e ſicura ſi ripoſa,
Ne gregge ne paſtor ſe le auuicina;
L'aura ſoaue e l'alba rugiadoſa,
L'acqua, la terra al ſuo fauor ſ'inchina:
Gioueni vaghi e donne inamorate
Amano auerne e ſeni e tempie ornate.}}
{{gap|8em}}[43]
Ma non ſi toſto dal materno ſtelo
Rimoſſa viene e dal ſuo ceppo verde,
Che quanto auea dagli vomini e dal cielo
Fauor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ’l fior, di che piu zelo
Che de’ begli occhi e de la vita auer de’,
Laſcia altrui corre, il pregio ch’auea inanti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
{{gap|8em}}[44]
Sia Vile agli altri, e da quel ſolo amata
A cui di ſe fece ſi larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
Trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia.
Dunque eſſer puo che non mi ſia piu grata?
Dunque io poſſo laſciar mia vita propia?
Ah piu toſto oggi manchino i di miei,
Ch’io viua piu, ſ’amar non debbo lei! —
{{gap|8em}}[45]
Se mi domanda alcun chi coſtui ſia,
Che verſa ſopra il rio lacrime tante,
Io diro ch’egli e il re di Circaſſia,
Quel d’amor trauagliato Sacripante;
Io diro ancor, che di ſua pena ria
Sia prima e ſola cauſa eſſere amante,
È pur vn degli amanti di coſtei:
E ben riconoſciuto fu da lei.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/45]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[46]
Appresso ove il solcade, per suo amore
Venuto era dal capo d’Oriente;
Che seppe in India con suo gran dolore,
Come ella Orlando sequitò in Ponente:
Poi seppe in Francia che l’imperatore
Sequestrata l’avea da l’altra gente,
Per darla all’un de’ duo che contra il Moro
Più quel giorno aiutasse i Gigli d’oro.
{{gap|8em}}[47]
Stato era in campo, e inteso avea di quella
Rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
Cercò vestigio d’Angelica bella,
Né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
Che d’amorosa doglia fa penarlo,
Affligger, lamentare, e dir parole
Che di pietà potrian fermare il sole.
{{gap|8em}}[48]
Mentre costui così s’affligge e duole,
E fa degli occhi suoi tepida fonte,
E dice queste e molte altre parole,
Che non mi par bisogno esser racconte;
L’aventurosa sua fortuna vuole
Ch’alle orecchie d’Angelica sian conte:
E così quel ne viene a un’ora, a un punto,
Ch’in mille anni o mai più non è raggiunto.
{{gap|8em}}[49]
Con molta attenzion la bella donna
Al pianto, alle parole, al modo attende
Di colui ch’in amarla non assonna;
Né questo è il primo dì ch’ella l’intende:
Ma dura e fredda più d’una colonna,
Ad averne pietà non però scende,
Come colei c’ha tutto il mondo a sdegno,
E non le par ch’alcun sia di lei degno.
{{gap|8em}}[50]
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
Le fa pensar di tor costui per guida;
Che chi ne l’acqua sta fin alla gola
Ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l’invola,
Non troverà mai più scorta sì fida;
Ch’a lunga prova conosciuto inante
S’avea quel re fedel sopra ogni amante.
{{gap|8em}}[51]
Ma non però disegna de l’affanno
Che lo distrugge alleggierir chi l’ama,
E ristorar d’ogni passato danno
Con quel piacer ch’ogni amator più brama:
Ma alcuna finzione, alcuno inganno
Di tenerlo in speranza ordisce e trama;
Tanto ch’a quel bisogno se ne serva,
Poi torni all’uso suo dura e proterva.
{{gap|8em}}[52]
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
Fa di sé bella ed improvvisa mostra,
Come di selva o fuor d’ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
E dice all’apparir: — Pace sia teco;
Teco difenda Dio la fama nostra,
E non comporti, contra ogni ragione,
Ch’abbi di me sì falsa opinione. —
{{gap|8em}}[53]
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
Levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
Ch’avea per morto sospirato e pianto,
Poi che senza esso udì tornar le squadre;
Con quanto gaudio il Saracin, con quanto
Stupor l’alta presenza e le leggiadre
Maniere, e il vero angelico sembiante,
Improviso apparir si vide inante.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[46]
Appreſſo oue il ſolcade, per ſuo amore
Venuto era dal capo d’Oriente;
Che ſeppe in India con ſuo gran dolore,
Come ella Orlando ſequito in Ponente:
Poi ſeppe in Francia che l’imperatore
Sequeſtrata l’auea da l’altra gente,
Per darla all’un de’ duo che contra il Moro
Piu quel giorno aiutaſſe i Gigli d’oro.
{{gap|8em}}[47]
Stato era in campo, e inteſo auea di quella
Rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
Cerco veſtigio d’Angelica bella,
Ne potuto auea ancora ritrouarlo.
Queſta e dunque la triſta e ria nouella
Che d’amoroſa doglia fa penarlo,
Affligger, lamentare, e dir parole
Che di pieta potrian fermare il ſole.
{{gap|8em}}[48]
Mentre coſtui coſi ſ’affligge e duole,
E fa degli occhi ſuoi tepida fonte,
E dice queſte e molte altre parole,
Che non mi par biſogno eſſer racconte;
L’auenturoſa ſua fortuna vuole
Ch’alle orecchie d’Angelica ſian conte:
E coſi quel ne viene a vn’ora, a vn punto,
Ch’in mille anni o mai piu non e raggiunto.
{{gap|8em}}[49]
Con molta attenzion la bella donna
Al pianto, alle parole, al modo attende
Di colui ch’in amarla non aſſonna;
Ne queſto e il primo di ch’ella l’intende:
Ma dura e fredda piu d’una colonna,
Ad auerne pieta non pero ſcende,
Come colei c’ha tutto il mondo a ſdegno,
E non le par ch’alcun ſia di lei degno.
{{gap|8em}}[50]
Pur tra quei boſchi il ritrouarſi ſola
Le fa penſar di tor coſtui per guida;
Che chi ne l’acqua ſta fin alla gola
Ben e oſtinato ſe merce non grida.
Se queſta occaſione or ſe l’inuola,
Non trouera mai piu ſcorta ſi fida;
Ch’a lunga proua conoſciuto inante
S’auea quel re fedel ſopra ogni amante.
{{gap|8em}}[51]
Ma non pero diſegna de l’affanno
Che lo diſtrugge alleggierir chi l’ama,
E riſtorar d’ogni paſſato danno
Con quel piacer ch’ogni amator piu brama:
Ma alcuna finzione, alcuno inganno
Di tenerlo in ſperanza ordiſce e trama;
Tanto ch’a quel biſogno ſe ne ſerua,
Poi torni all’uſo ſuo dura e proterua.
{{gap|8em}}[52]
E fuor di quel ceſpuglio oſcuro e cieco
Fa di ſe bella ed improuuiſa moſtra,
Come di ſelua o fuor d’ombroſo ſpeco
Diana in ſcena o Citerea ſi moſtra;
E dice all’apparir: — Pace ſia teco;
Teco difenda Dio la fama noſtra,
E non comporti, contra ogni ragione,
Ch’abbi di me ſi falſa opinione. —
{{gap|8em}}[53]
Non mai con tanto gaudio o ſtupor tanto
Leuo gli occhi al figliuolo alcuna madre,
Ch’auea per morto ſoſpirato e pianto,
Poi che ſenza eſſo vdi tornar le ſquadre;
Con quanto gaudio il Saracin, con quanto
Stupor l’alta preſenza e le leggiadre
Maniere, e il vero angelico ſembiante,
Improuiſo apparir ſi vide inante.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/46]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[54]
Pieno di dolce e d’amoroso affetto,
Alla sua donna, alla sua diva corse,
Che con le braccia al collo il tenne stretto,
Quel ch’al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
Seco avendo costui, l’animo torse:
Subito in lei s’avviva la speranza
Di tosto riveder sua ricca stanza.
{{gap|8em}}[55]
Ella gli rende conto pienamente
Dal giorno che mandato fu da lei
A domandar soccorso in Oriente
Al re de’ Sericani e Nabatei;
E come Orlando la guardò sovente
Da morte, da disnor, da casi rei:
E che ’l fior virginal così avea salvo,
Come se lo portò del materno alvo.
{{gap|8em}}[56]
Forse era ver, ma non però credibile
A chi del senso suo fosse signore;
Ma parve facilmente a lui possibile,
Ch’era perduto in via più grave errore.
Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
E l’invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che ’l miser suole
Dar facile credenza a quel che vuole.
{{gap|8em}}[57]
— Se mal si seppe il cavallier d’Anglante
Pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
Il danno se ne avrà; che da qui inante
Nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante):
Ma io per imitarlo già non sono,
Che lasci tanto ben che m’è concesso,
E ch’a doler poi m’abbia di me stesso.
{{gap|8em}}[58]
Corrò la fresca e matutina rosa,
Che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch’a donna non si può far cosa
Che più soave e più piacevol sia,
Ancor che se ne mostri disdegnosa,
E talor mesta e flebil se ne stia:
Non starò per repulsa o finto sdegno,
Ch’io non adombri e incarni il mio disegno. —
{{gap|8em}}[59]
Così dice egli; e mentre s’apparecchia
Al dolce assalto, un gran rumor che suona
Dal vicin bosco gl’intruona l’orecchia,
Sì che mal grado l’impresa abbandona:
E si pon l’elmo (ch’avea usanza vecchia
Di portar sempre armata la persona),
Viene al destriero e gli ripon la briglia,
Rimonta in sella e la sua lancia piglia.
{{gap|8em}}[60]
Ecco pel bosco un cavallier venire,
Il cui sembiante è d’uom gagliardo e fiero:
Candido come nieve è il suo vestire,
Un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
Che quel con l’importuno suo sentiero
Gli abbia interrotto il gran piacer ch’avea,
Con vista il guarda disdegnosa e rea.
{{gap|8em}}[61]
Come è più appresso, lo sfida a battaglia;
Che crede ben fargli votar l’arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
Un grano meno, e ne fa paragone,
L’orgogliose minacce a mezzo taglia,
Sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
E corronsi a ferir testa per testa.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[54]
Pieno di dolce e d’amoroſo affetto,
Alla ſua donna, alla ſua diua corſe,
Che con le braccia al collo il tenne ſtretto,
Quel ch’al Catai non auria fatto forſe.
Al patrio regno, al ſuo natio ricetto,
Seco auendo coſtui, l’animo torſe:
Subito in lei ſ’auuiua la ſperanza
Di toſto riueder ſua ricca ſtanza.
{{gap|8em}}[55]
Ella gli rende conto pienamente
Dal giorno che mandato fu da lei
A domandar ſoccorſo in Oriente
Al re de’ Sericani e Nabatei;
E come Orlando la guardo ſouente
Da morte, da diſnor, da caſi rei:
E che ’l fior virginal coſi auea ſaluo,
Come ſe lo porto del materno aluo.
{{gap|8em}}[56]
Forſe era ver, ma non pero credibile
A chi del ſenſo ſuo foſſe ſignore;
Ma parue facilmente a lui poſſibile,
Ch’era perduto in via piu graue errore.
Quel che l’huom vede, Amor gli fa inuiſibiIe,
E l’inuiſibil fa vedere Amore.
Queſto creduto fu; che ’l miſer ſuole
Dar facile credenza a quel che vuole.
{{gap|8em}}[57]
— Se mal ſi ſeppe il cauallier d’Anglante
Pigliar per ſua ſciocchezza il tempo buono,
Il danno ſe ne aura; che da qui inante
Nol chiamera Fortuna a ſi gran dono
(tra ſe tacito parla Sacripante):
Ma io per imitarlo gia non ſono,
Che laſci tanto ben che m’e conceſſo,
E ch’a doler poi m’abbia di me ſteſſo.
{{gap|8em}}[58]
Corro la freſca e matutina roſa,
Che, tardando, ſtagion perder potria.
So ben ch’a donna non ſi puo far coſa
Che piu ſoaue e piu piaceuol ſia,
Ancor che ſe ne moſtri diſdegnoſa,
E talor meſta e flebil ſe ne ſtia:
Non ſtaro per repulſa o finto ſdegno,
Ch’io non adombri e incarni il mio diſegno. —
{{gap|8em}}[59]
Coſi dice egli; e mentre ſ’apparecchia
Al dolce aſſalto, vn gran rumor che ſuona
Dal vicin boſco gl’intruona l’orecchia,
Si che mal grado l’impreſa abbandona:
E ſi pon l’elmo (ch’auea vſanza vecchia
Di portar ſempre armata la perſona),
Viene al deſtriero e gli ripon la briglia,
Rimonta in ſella e la ſua lancia piglia.
{{gap|8em}}[60]
Ecco pel boſco vn cauallier venire,
Il cui ſembiante e d’huom gagliardo e fiero:
Candido come nieue e il ſuo veſtire,
Vn bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non puo patire
Che quel con l’importuno ſuo ſentiero
Gli abbia interrotto il gran piacer ch’auea,
Con viſta il guarda diſdegnoſa e rea.
{{gap|8em}}[61]
Come e piu appreſſo, lo ſfida a battaglia;
Che crede ben fargli votar l’arcione.
Quel che di lui non ſtimo gia che vaglia
Vn grano meno, e ne fa paragone,
L’orgoglioſe minacce a mezzo taglia,
Sprona a vn tempo, e la lancia in reſta pone.
Sacripante ritorna con tempeſta,
E corronſi a ferir teſta per teſta.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/47]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[62]
Non si vanno i leoni o i tori in salto
A dar di petto, ad accozzar sì crudi,
Sì come i duo guerrieri al fiero assalto,
Che parimente si passar li scudi.
Fe’ lo scontro tremar dal basso all’alto
L’erbose valli insino ai poggi ignudi;
E ben giovò che fur buoni e perfetti
Gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.
{{gap|8em}}[63]
Già non fero i cavalli un correr torto,
Anzi cozzaro a guisa di montoni:
Quel del guerrier pagan morì di corto,
Ch’era vivendo in numero de’ buoni:
Quell’altro cadde ancor, ma fu risorto
Tosto ch’al fianco si sentì gli sproni.
Quel del re saracin restò disteso
Adosso al suo signor con tutto il peso.
{{gap|8em}}[64]
L’incognito campion che restò ritto,
E vide l’altro col cavallo in terra,
Stimando avere assai di quel conflitto,
Non si curò di rinovar la guerra;
Ma dove per la selva è il camin dritto,
Correndo a tutta briglia si disserra;
E prima che di briga esca il pagano,
Un miglio o poco meno è già lontano.
{{gap|8em}}[65]
Qual istordito e stupido aratore,
Poi ch’è passato il fulmine, si leva
Di là dove l’altissimo fragore
Appresso ai morti buoi steso l’aveva;
Che mira senza fronde e senza onore
Il pin che di lontan veder soleva:
Tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.
{{gap|8em}}[66]
Sospira e geme, non perché l’annoi
Che piede o braccio s’abbi rotto o mosso,
Ma per vergogna sola, onde a’ dì suoi
Né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
E più, ch’oltre il cader, sua donna poi
Fu che gli tolse il gran peso d’adosso.
Muto restava, mi cred’io, se quella
Non gli rendea la voce e la favella.
{{gap|8em}}[67]
— Deh! (diss’ella) signor, non vi rincresca!
Che del cader non è la colpa vostra,
Ma del cavallo, a cui riposo ed esca
Meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca
Che d’esser stato il perditor dimostra:
Così, per quel ch’io me ne sappia, stimo,
Quando a lasciare il campo è stato primo. —
{{gap|8em}}[68]
Mentre costei conforta il Saracino,
Ecco col corno e con la tasca al fianco,
Galoppando venir sopra un ronzino
Un messagger che parea afflitto e stanco;
Che come a Sacripante fu vicino,
Gli domandò se con un scudo bianco
E con un bianco pennoncello in testa
Vide un guerrier passar per la foresta.
{{gap|8em}}[69]
Rispose Sacripante: — Come vedi,
M’ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
E perch’io sappia chi m’ha messo a piedi,
Fa che per nome io lo conosca ancora. —
Ed egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi
Io ti satisfarò senza dimora:
Tu dei saper che ti levò di sella
L’alto valor d’una gentil donzella.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[62]
Non ſi vanno i leoni o i tori in ſalto
A dar di petto, ad accozzar ſi crudi,
Si come i duo guerrieri al fiero aſſalto,
Che parimente ſi paſſar li ſcudi.
Fe’ lo ſcontro tremar dal baſſo all’alto
L’erboſe valli inſino ai poggi ignudi;
E ben giouo che fur buoni e perfetti
Gli oſberghi ſi, che lor ſaluaro i petti.
{{gap|8em}}[63]
Gia non fero i caualli vn correr torto,
Anzi cozzaro a guiſa di montoni:
Quel del guerrier pagan mori di corto,
Ch’era viuendo in numero de’ buoni:
Quell’altro cadde ancor, ma fu riſorto
Toſto ch’al fianco ſi ſenti gli ſproni.
Quel del re ſaracin reſto diſteſo
Adoſſo al ſuo ſignor con tutto il peſo.
{{gap|8em}}[64]
L’incognito campion che reſto ritto,
E vide l’altro col cauallo in terra,
Stimando auere aſſai di quel conflitto,
Non ſi curo di rinouar la guerra;
Ma doue per la ſelua e il camin dritto,
Correndo a tutta briglia ſi diſſerra;
E prima che di briga eſca il pagano,
Vn miglio o poco meno e gia lontano.
{{gap|8em}}[65]
Qual iſtordito e ſtupido aratore,
Poi ch’e paſſato il fulmine, ſi leua
Di la doue l’altiſſimo fragore
Appreſſo ai morti buoi ſteſo l’aueua;
Che mira ſenza fronde e ſenza onore
Il pin che di lontan veder ſoleua:
Tal ſi leuo il pagano a pie rimaſo,
Angelica preſente al duro caſo.
{{gap|8em}}[66]
Soſpira e geme, non perche l’annoi
Che piede o braccio ſ’abbi rotto o moſſo,
Ma per vergogna ſola, onde a’ di ſuoi
Ne pria ne dopo il viſo ebbe ſi roſſo:
E piu, ch’oltre il cader, ſua donna poi
Fu che gli tolſe il gran peſo d’adoſſo.
Muto reſtaua, mi cred’io, ſe quella
Non gli rendea la voce e la fauella.
{{gap|8em}}[67]
— Deh! (diſſ’ella) ſignor, non vi rincreſca!
Che del cader non e la colpa voſtra,
Ma del cauallo, a cui ripoſo ed eſca
Meglio ſi conuenia che nuoua gioſtra.
Ne percio quel guerrier ſua gloria accreſca
Che d’eſſer ſtato il perditor dimoſtra:
Coſi, per quel ch’io me ne ſappia, ſtimo,
Quando a laſciare il campo e ſtato primo. —
{{gap|8em}}[68]
Mentre coſtei conforta il Saracino,
Ecco col corno e con la taſca al fianco,
Galoppando venir ſopra vn ronzino
Vn meſſagger che parea afflitto e ſtanco;
Che come a Sacripante fu vicino,
Gli domando ſe con vn ſcudo bianco
E con vn bianco pennoncello in teſta
Vide vn guerrier paſſar per la foreſta.
{{gap|8em}}[69]
Riſpoſe Sacripante: — Come vedi,
M’ha qui abbattuto, e ſe ne parte or ora;
E perch’io ſappia chi m’ha meſſo a piedi,
Fa che per nome io lo conoſca ancora. —
Ed egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi
Io ti ſatiſfaro ſenza dimora:
Tu dei ſaper che ti leuo di ſella
L’alto valor d’una gentil donzella.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/48]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[70]
Ella è gagliarda ed è più bella molto;
Né il suo famoso nome anco t’ascondo:
Fu Bradamante quella che t’ha tolto
Quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. —
Poi ch’ebbe così detto, a freno sciolto
Il Saracin lasciò poco giocondo,
Che non sa che si dica o che si faccia,
Tutto avvampato di vergogna in faccia.
{{gap|8em}}[71]
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
Ebbe pensato invano, e finalmente
Si trovò da una femina abbattuto,
Che pensandovi più, più dolor sente;
Montò l’altro destrier, tacito e muto:
E senza far parola, chetamente
Tolse Angelica in groppa, e differilla
A più lieto uso, a stanza più tranquilla.
{{gap|8em}}[72]
Non furo iti due miglia, che sonare
Odon la selva che li cinge intorno,
Con tal rumore e strepito, che pare
Che triemi la foresta d’ogn’intorno;
E poco dopo un gran destrier n’appare,
D’oro guernito e riccamente adorno,
Che salta macchie e rivi, ed a fracasso
Arbori mena e ciò che vieta il passo.
{{gap|8em}}[73]
— Se l’intricati rami e l’aer fosco,
(disse la donna) agli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier ch’in mezzo il bosco
Con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo, io ’l riconosco:
Deh, come ben nostro bisogno intende!
Ch’un sol ronzin per dui saria mal atto,
E ne viene egli a satisfarci ratto. —
{{gap|8em}}[74]
Smonta il Circasso ed al destrier s’accosta,
E si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
Che fu presto al girar come un baleno;
Ma non arriva dove i calci apposta:
Misero il cavallier se giungea a pieno!
Che nei calci tal possa avea il cavallo,
Ch’avria spezzato un monte di metallo.
{{gap|8em}}[75]
Indi va mansueto alla donzella,
Con umile sembiante e gesto umano,
Come intorno al padrone il can saltella,
Che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d’ella,
Ch’in Albracca il servia già di sua mano
Nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.
{{gap|8em}}[76]
Con la sinistra man prende la briglia,
Con l’altra tocca e palpa il collo e ’l petto:
Quel destrier, ch’avea ingegno a maraviglia,
A lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
Monta Baiardo e l’urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
Lascia la groppa, e si ripone in sella.
{{gap|8em}}[77]
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
Venir sonando d’arme un gran pedone.
Tutta s’avvampa di dispetto e d’ira,
Che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l’ama egli e desira;
L’odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fu ch’esso odiò lei più che la morte;
Ella amò lui: or han cangiato sorte.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[70]
Ella e gagliarda ed e piu bella molto;
Ne il ſuo famoſo nome anco t’aſcondo:
Fu Bradamante quella che t’ha tolto
Quanto onor mai tu guadagnaſti al mondo. —
Poi ch’ebbe coſi detto, a freno ſciolto
Il Saracin laſcio poco giocondo,
Che non ſa che ſi dica o che ſi faccia,
Tutto auuampato di vergogna in faccia.
{{gap|8em}}[71]
Poi che gran pezzo al caſo interuenuto
Ebbe penſato inuano, e finalmente
Si trouo da vna femina abbattuto,
Che penſandoui piu, piu dolor ſente;
Monto l’altro deſtrier, tacito e muto:
E ſenza far parola, chetamente
Tolſe Angelica in groppa, e differilla
A piu lieto vſo, a ſtanza piu tranquilla.
{{gap|8em}}[72]
Non furo iti due miglia, che ſonare
Odon la ſelua che li cinge intorno,
Con tal rumore e ſtrepito, che pare
Che triemi la foreſta d’ogn’intorno;
E poco dopo vn gran deſtrier n’appare,
D’oro guernito e riccamente adorno,
Che ſalta macchie e riui, ed a fracaſſo
Arbori mena e cio che vieta il paſſo.
{{gap|8em}}[73]
— Se l’intricati rami e l’aer foſco,
(diſſe la donna) agli occhi non contende,
Baiardo e quel deſtrier ch’in mezzo il boſco
Con tal rumor la chiuſa via ſi fende.
Queſto e certo Baiardo, io ’l riconoſco:
Deh, come ben noſtro biſogno intende!
Ch’un ſol ronzin per dui ſaria mal atto,
E ne viene egli a ſatiſfarci ratto. —
{{gap|8em}}[74]
Smonta il Circaſſo ed al deſtrier ſ’accoſta,
E ſi penſaua dar di mano al freno.
Colle groppe il deſtrier gli fa riſpoſta,
Che fu preſto al girar come vn baleno;
Ma non arriua doue i calci appoſta:
Miſero il cauallier ſe giungea a pieno!
Che nei calci tal poſſa auea il cauallo,
Ch’auria ſpezzato vn monte di metallo.
{{gap|8em}}[75]
Indi va manſueto alla donzella,
Con vmile ſembiante e geſto vmano,
Come intorno al padrone il can ſaltella,
Che ſia duo giorni o tre ſtato lontano.
Baiardo ancora auea memoria d’ella,
Ch’in Albracca il ſeruia gia di ſua mano
Nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.
{{gap|8em}}[76]
Con la ſiniſtra man prende la briglia,
Con l’altra tocca e palpa il collo e ’l petto:
Quel deſtrier, ch’auea ingegno a marauiglia,
A lei, come vn agnel, ſi fa ſuggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
Monta Baiardo e l’urta e lo tien ſtretto.
Del ronzin diſgrauato la donzella
Laſcia la groppa, e ſi ripone in ſella.
{{gap|8em}}[77]
Poi riuolgendo a caſo gli occhi, mira
Venir ſonando d’arme vn gran pedone.
Tutta ſ’auuampa di diſpetto e d’ira,
Che conoſce il figliuol del duca Amone.
Piu che ſua vita l’ama egli e deſira;
L’odia e fugge ella piu che gru falcone.
Gia fu ch’eſſo odio lei piu che la morte;
Ella amo lui: or han cangiato ſorte.
</poem><section end="1d" />
==[[Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/49]]==
<section begin="1c" /><poem>
{{gap|8em}}[78]
E questo hanno causato due fontane
Che di diverso effetto hanno liquore,
Ambe in Ardenna, e non sono lontane:
D’amoroso disio l’una empie il core;
Chi bee de l’altra, senza amor rimane,
E volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d’una, e amor lo strugge;
Angelica de l’altra, e l’odia e fugge.
{{gap|8em}}[79]
Quel liquor di secreto venen misto,
Che muta in odio l’amorosa cura,
Fa che la donna che Rinaldo ha visto,
Nei sereni occhi subito s’oscura;
E con voce tremante e viso tristo
Supplica Sacripante e lo scongiura
Che quel guerrier più appresso non attenda,
Ma ch’insieme con lei la fuga prenda.
{{gap|8em}}[80]
— Son dunque (disse il Saracino), sono
Dunque in sì poco credito con vui,
Che mi stimiate inutile e non buono
Da potervi difender da costui?
Le battaglie d’Albracca già vi sono
Di mente uscite, e la notte ch’io fui
Per la salute vostra, solo e nudo,
Contra Agricane e tutto il campo, scudo? —
{{gap|8em}}[81]
Non risponde ella, e non sa che si faccia,
Perché Rinaldo ormai l’è troppo appresso,
Che da lontan al Saracin minaccia,
Come vide il cavallo e conobbe esso,
E riconohbe l’angelica faccia
Che l’amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguì tra questi duo superbi
Vo’ che per l’altro canto si riserbi.
</poem><section end="1c" />
 
<section begin="1d" /><poem>
{{gap|8em}}[78]
E queſto hanno cauſato due fontane
Che di diuerſo effetto hanno liquore,
Ambe in Ardenna, e non ſono lontane:
D’amoroſo diſio l’una empie il core;
Chi bee de l’altra, ſenza amor rimane,
E volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo guſto d’una, e amor lo ſtrugge;
Angelica de l’altra, e l’odia e fugge.
{{gap|8em}}[79]
Quel liquor di ſecreto venen miſto,
Che muta in odio l’amoroſa cura,
Fa che la donna che Rinaldo ha viſto,
Nei ſereni occhi ſubito ſ’oſcura;
E con voce tremante e viſo triſto
Supplica Sacripante e lo ſcongiura
Che quel guerrier piu appreſſo non attenda,
Ma ch’inſieme con lei la fuga prenda.
{{gap|8em}}[80]
— Son dunque (diſſe il Saracino), ſono
Dunque in ſi poco credito con vui,
Che mi ſtimiate inutile e non buono
Da poterui difender da coſtui?
Le battaglie d’Albracca gia vi ſono
Di mente vſcite, e la notte ch’io fui
Per la ſalute voſtra, ſolo e nudo,
Contra Agricane e tutto il campo, ſcudo? —
{{gap|8em}}[81]
Non riſponde ella, e non ſa che ſi faccia,
Perche Rinaldo ormai l’e troppo appreſſo,
Che da lontan al Saracin minaccia,
Come vide il cauallo e conobbe eſſo,
E riconohbe l’angelica faccia
Che l’amoroſo incendio in cor gli ha meſſo.
Quel che ſegui tra queſti duo ſuperbi
Vo’ che per l’altro canto ſi riſerbi.
</poem><section end="1d" />
 
[[de:Ariosts rasender Roland]]
[[es:Orlando furioso, Canto 1]]
[[fr:Roland furieux/ChantI]]