Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 2.djvu/180: differenze tra le versioni

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oriente afferma «che quella parte la quale va attraverso la Persia dall’Eritreo alla Media ed ai paesi settentrionali par che non sia minore di otto mila stadii, e che, qualora comprendansi certi promontorii, si allunga fino a più di nove mila. Quello poi che rimane per giungere alle Porte caspie attraversando la Paratacena e la Media è di circa tre mila». - Aggiunge inoltre «che il Tigri e l’Eufrate discorrendo dall’Armenia verso le parti meridionali, dopo essersi lasciate addietro le montagne de’ Gortinesi, e dopo avere formato un gran cerchio abbracciando quell’ampia regione che dicesi Mesopotamia, danno volta e dirigonsi verso il levante d’inverno ed il mezzogiorno, principalmente l’Eufrate; il quale avvicinandosi sempre al Tigri, lambe il baluardo di Semiramide, e s’accosta al borgo detto Opi quanto è lo spazio di duecento stadii; poi attraversa Babilonia e cade nel golfo Persico. E di qui (dice) risulta la figura della Babilonia e della Mesopotamia somigliante ad una nave da trasporto». - Così dice Eratostene: e certo anche nel descrivere questa terza Sezione egli commette alcuni errori che noi verremo considerando; ma non però tutti quelli che Ipparco gli attribuisce. Esaminiamo pertanto quello che costui dice.
{{Pt|l’|all’}}oriente afferma «che quella parte la quale va attraverso la Persia dall’Eritreo alla Media ed ai paesi settentrionali par che non sia minore di otto mila stadii, e che, qualora comprendansi certi promontorii, si allunga fino a più di nove mila. Quello poi che rimane per giungere alle Porte caspie attraversando la Paratacena e la Media è di circa tre mila». - Aggiunge inoltre «che il Tigri e l’Eufrate discorrendo dall’Armenia verso le parti meridionali, dopo essersi lasciate addietro le montagne de’ Gortinesi, e dopo avere formato un gran cerchio abbracciando quell’ampia regione che dicesi Mesopotamia, danno volta e dirigonsi verso il levante d’inverno ed il mezzogiorno, principalmente l’Eufrate; il quale avvicinandosi sempre al Tigri, lambe il baluardo di Semiramide, e s’accosta al borgo detto Opi quanto è lo spazio di duecento stadii; poi attraversa Babilonia e cade nel golfo Persico. E di qui (dice) risulta la figura della Babilonia e della Mesopotamia somigliante ad una nave da trasporto». - Così dice {{AutoreCitato|Eratostene|Eratostene}}: e certo anche nel descrivere questa terza Sezione egli commette alcuni errori che noi verremo considerando; ma non però tutti quelli che Ipparco gli attribuisce. Esaminiamo pertanto quello che costui dice.


Ipparco volendo confermare ciò che ha detto fin dal principio, cioè che l’India non debbasi porre fra’ luoghi più meridionali, come Eratostene propone, dice che questo si fa al tutto evidente per quelle ragioni medesime che lo stesso Eratostene reca in mezzo<ref>A facilitare l’intelligenza di quanto Strabone viene dicendo gioverà la unita figura rappresentante i triangoli ipotetici da Ipparco formati per combattere le opinioni di Eratostene. Questa figura la dobbiamo al Gossellin, il quale vi ha indicate anche alcune misure che Strabone ha omesse.<br/>{{Centrato|[[File:Triangoli ipotetici.png|400px]]}}</ref>. «Secondo Eratostene il lato settentrionale della terza Sezione è determinato da una linea di dieci mila stadii che va dalle Porte caspie sino all’Eufrate.
{{AutoreCitato|Ipparco di Nicea|Ipparco}} volendo confermare ciò che ha detto fin dal principio, cioè che l’India non debbasi porre fra’ luoghi più meridionali, come Eratostene propone, dice che questo si fa al tutto evidente per quelle ragioni medesime che lo stesso Eratostene reca in mezzo<ref>A facilitare l’intelligenza di quanto Strabone viene dicendo gioverà la unita figura rappresentante i triangoli ipotetici da Ipparco formati per combattere le opinioni di Eratostene. Questa figura la dobbiamo al {{AutoreCitato|Pascal François Joseph Gossellin|Gossellin}}, il quale vi ha indicate anche alcune misure che Strabone ha omesse.<br/>{{Centrato|[[File:Triangoli ipotetici.png|400px]]}}</ref>. «{{Pt|Se-|alSe-}}
=== no match ===
Il lato meridionale, da Babilonia ai confini della Carmania è di poco più che nove mila stadii. Quello che guarda ad occidente, partendo da Tapsaco e seguitando l’Eufrate fino a Babilonia fa quattromila e ottocento stadii, e d’ivi innanzi fin dove sbocca quel fiume se ne contan tre mila: le regioni poi che da Tapsaco si distendono al nord, in parte son misurate per lo spazio di mille e cento stadii, e il rimanente no. Poichè dunque, dice, il fianco settentrionale della terza Sezione è di dieci mila stadii all’incirca, e la linea retta parallela ad esso da Babilonia fino al lato orientale fu computata poco meno che nove mila; perciò è manifesto che Babilonia non debb’esser più orientale del luogo in cui si passa l’Eufrate vicino a Tapsaco, se non se di mille stadii o poco più».

A ciò rispondiamo, che questo potrebbe esser vero qualora le Porte caspie e i confini della Carmania e della Perside fossero esattamente sotto lo stesso meridiano, dal quale poi le linee che vanno verso Babilonia e Tapsaco si partissero ad angoli retti: perocchè in questo caso la linea condotta dalle frontiere comuni della Carmania e della Perside sino a Babilonia, e prolungata di quivi fino al meridiano di Tapsaco, parrebbe al senso uguale o quasi uguale a quella che fosse condotta dalle Porte caspie a Tapsaco; e Babilonia sarebbe di tanto più orientale che Tapsaco, di quanto la linea che va dalle Porte caspie a questa città supera quella che dai confini della Carmania si stende a Babilonia stessa. Ma Eratostene non disse nè che quella linea la quale segue il lato occidentale dell’Ariana sia nella direzione del meridiano, nè che quella condotta dalle Porte caspie a Tapsaco formi un angolo retto col meridiano delle Porte caspie; ma piuttosto, al suo dire, quest’angolo sarebbe formato da quella che si tirasse lungo le montagne (del Tauro) con cui la linea che andasse dalle Porte caspie a Tapsaco formerebbe un angolo acuto. Nè dice che la linea condotta dalla Carmania a Babilonia sia parallela a quella che dalle Porte predette va a Tapsaco: oltre che, quando bene queste due linee fossero parallele, ma la prima di esse però non formasse un angolo retto col meridiano delle Porte caspie, questo non gioverebbe punto di più alla conclusione dell’argomento. Ma nondimeno Ipparco pigliando questa opinione siccome cosa già dimostrata, e tenendo che Babilonia sia, secondo Eratostene, più orientale di Tapsaco lo spazio di mille stadii, si finge poi da sè stesso un altro argomento, di cui si vale appresso, e dice: Che qualora alcuno immagini una linea retta tirata da Tapsaco verso le parti meridionali, ed una perpendicolare che da Babilonia vada a finire sopra questo meridiano, ne risulterà un triangolo rettangolo, formato di un lato che si stenderebbe da Tapsaco fino a Babilonia, della perpendicolare che andrebbe da Babilonia fino sul meridiano di Tapsaco, e di questo meridiano medesimo. In questo triangolo l’ipotenusa<ref>L’''Ipotenusa'' è la linea che in un triangolo rettangolo trovasi opposta all’angolo retto. Il testo greco lo dice chiaramente τὴν μὲν ὑποτείνουσαν τῇ ὀρθῇ (sottint. γωνία) ''la linea distesa sotto l’angolo retto''. I matematici poi hanno fatto dell’aggiuntivo ὑποτείνουσα ''ipotenusa'' il nome appellativo di questa linea.</ref> sarà la linea che va da Tapsaco a Babilonia, la quale egli fa di quattromila e ottocento stadii. La perpendicolare da Babilonia al meridiano di Tapsaco si stende poi poco più di mille, cioè per quanto la linea che va dalle Porte caspie a Tapsaco supera quella tirata dalla frontiera comune della Perside e della Carmania fino a Babilonia: e da questi due lati argomenta anche la lunghezza dell’altro molto maggiore della perpendicolare già detta. A questa lunghezza egli aggiunge anche quella che va da Tapsaco verso il settentrione fino ai monti d’Armenia, di cui una parte ha misurato Eratostene, ed era di mille e cento stadii, e nel restante la lasciò senza misurarla; ma Ipparco è di parere che sia almeno di mille stadii, sicchè le due parti insieme congiunte si stenderebbero a duemila e cento. Qualora dunque si aggiungano questi duemila e cento stadii alla lunghezza del lato su cui va a cadere la perpendicolare tirata da Babilonia, Ipparco stima che l’intervallo da questa linea, la quale è poi anche il parallelo di Babilonia, al parallelo dei monti armeni e d’Atene sia di due mila e quattrocento stadii. Dimostra poscia che la distanza del parallelo di Atene a quello che passa per Babilonia non è minore di duemila e quattrocento stadii, qualora si ammetta per tutto il meridiano quel numero di stadii ch’Eratostene dice. Ma se così è, i monti armeni e quelli del Tauro non potranno essere sotto il parallelo di Atene come vuole Eratostene, ma secondo i suoi calcoli stessi saranno più settentrionali per lo spazio di molte migliaia di stadii.

Ma oltre che Ipparco si vale di supposizioni già rifiutate per trarne il suo triangolo rettangolo, asserisce anche gratuitamente che l’ipotenusa di questo triangolo, cioè la retta che va da Tapsaco fino a Babilonia, sia di quattromila e ottocento stadii. E nel vero Eratostene dice che questa via costeggia l’Eufrate, e che la Mesopotamia col territorio babilonese è contenuta da un gran cerchio formato dall’Eufrate e dal Tigri, in modo però che la maggior parte della circonferenza è segnata dall’Eufrate. Il perchè la linea retta da Tapsaco a Babilonia non potrebb’essere<ref>Gli Editori francesi e il Coray hanno sostituito alla comune lezione ὅταν παρὰ τὸν Εὐφράτην εἴη, quella proposta dal Bréquigny e dal Tyrwhitt οὔτ᾽ ἂν, ec.</ref> lungo l’Eufrate, nè di quattromila e ottocento stadii, e nemmanco di una lunghezza che a questa si avvicinasse. Laonde il ragionamento d’Ipparco rimane abbattuto.

E già si è detto, che due linee le quali fossero condotte dalle Porte caspie, l’una a Tapsaco e l’altra ai monti d’Armenia (situati rimpetto a Tapsaco stessa, e per giudizio anche d’Ipparco, distanti da quella città almeno duemila e cento stadii) non potrebbon essere parallele nè fra loro, nè a quella che passa per Babilonia, e che fu chiamata da Eratostene fianco meridionale della terza Sezione. Egli adunque non potendo asserir l’estensione della strada che va lungo i monti, sostituisce invece quella da Tapsaco alle Porte caspie, aggiungendo peraltro che sono solo a un di presso conformi: oltre che volendo egli indicare lo spazio ch’è dall’Ariana sino all’Eufrate, non era gran fatto diverso il misurar l’una piuttosto che l’altra: ma chi gli appone di aver detto che sono parallele, si mostra deliberato a volerlo assolutamente accusare di puerile ignoranza. Queste cose pertanto si voglion lasciare in disparte, come da nulla. Ecco poi quello di che Eratostene si potrebbe accusare.

La divisione in membri differisce dalla divisione in parti (perchè quella in membri abbraccia sotto questo nome tanti spazii che abbiano il loro naturale contorno, ed una configurazione indicata dai punti stessi che servono a congiungerli; d’onde poi il poeta disse: ''a membro a membro''; ma nella divisione per parti non ha luogo questa circostanza), e noi ci serviamo dell’una o dell’altra secondochè dalla considerazione del tempo o del fine ci pare il meglio. Certo è che nelle cose geografiche tornano opportune le divisioni in parti, che considerano i luoghi per singolo; ma pur dobbiamo imitare le divisioni in membri piuttosto che quelle fatte ad arbitrio. Perocchè solo di questo modo è possibile pigliare i punti determinati e le circoscrizioni, delle quali il geografo ha bisogno. Si circoscrivono poi bene i paesi quando si possano usare o fiumi o monti o alcun mare, ovvero il nome, sia di una nazione sola, sia di nazioni diverse che li abitino, con una grandezza e figura determinata. Sempre però in luogo di una geometrica precisione basterà una indicazione in modo semplice e sommario. Così per indicare la grandezza di un paese basta indicarne la lunghezza e larghezza maggiore: come allorchè parlando della Terra abitata diciamo ch’essa ha settanta mila stadii di lunghezza, e meno della metà in larghezza. E per indicar la figura ci basterà paragonarla a qualcuna delle figure geometriche, per esempio la Sicilia ad un triangolo; od a qualch’altra figura conosciuta, come a dire l’Iberia alla pelle di un bue, il Peloponneso alla foglia di un platano. Quanto maggiore poi è lo spazio diviso, tanto più sono opportune le divisioni, per così dire, all’ingrosso. Quindi la Terra abitata, per mezzo del monte Tauro e del mare Mediterraneo, fu da Eratostene acconciamente divisa in due parti, l’una settentrionale e l’altra meridionale. E bene ha circoscritta anche l’India valendosi di un monte, di un fiume, di un mare, poi del nome unico ch’essa porta, siccome nazione composta di una gente sola; ed a ragione la disse quadrilatera e romboidale. Ma l’Ariana riceve men facilmente una buona circoscrizione per essere il suo fianco occidentale confuso<ref>Veggansi le carte secondo i sistemi di Eratostene e di Strabone, in fine di questo volume.</ref>. È circoscritta dai tre altri lati che sono rettilinei, e dal nome, ch’è di una sola nazione. La terza Sezione poi fu lasciata senza circoscriverla punto, e senza limiti: perocchè essa ha un lato comune e confuso coll’Ariana: il fianco meridionale fu preso negligentissimamente, siccome quello che non limita la detta Sezione, ma le passa pel mezzo, e lasciandone molte parti verso il mezzogiorno non ne descrive la maggiore lunghezza, perchè il fianco settentrionale è molto più lungo. E nemmanco l’Eufrate costituisce il fianco occidentale di questa terza Sezione; nè ciò farebbe quando bene scorresse per una linea retta. E nel vero non trovandosi i suoi punti estremi sotto uno stesso meridiano, perchè mai dovrebbe formare il lato occidentale, piuttostochè quello di mezzogiorno? Ed anche senza di ciò, è sì piccola cosa quanto rimane dall’Eufrate al mar di Cilicia e di Siria, che non par ragionevole il non allargare la terza Sezione anche a que’ due paesi, mentre e Semiramide e Nino ch’ivi regnarono soglion essere denominati Sirii; e quella fondò la città e la reggia di Babilonia, questi la metropoli della Siria; ed una stessa favella è rimasta fino ai dì nostri alle genti che sono al di qua e al di là dell’Eufrate. Lo smembrare pertanto con siffatta divisione una gente sì celebre, ed assegnarne alcune parti a nazioni straniere non è cosa che punto convenga. Nè Eratostene dirà che a questo lo costringesse la soverchia grandezza ch’avrebbe avuta la terza Sezione; perocchè ciò che va sino al mare non potrebbe mai pareggiarsi all’India, e nè anche all’Ariana ciò che si stende sino ai confini dell’Arabia felice e dell’Egitto. Il perchè sarebbe stato assai meglio allargare più oltre i confini di questa Sezione, come noi abbiam detto, con aggiungervi ciò che rimane fin al mare di Siria. Il lato meridionale non sarebbe più quale lo dice Eratostene, nè in linea retta; ma cominciandosi dalla Carmania piegherebbesi subito alla spiaggia destra marittima: perocchè chi navighi nel golfo Persico sino alla foce dell’Eufrate, e di quivi raggiunga i confini della Mesene<ref>La Mesene comprendeva le terre basse e sabbiose che l’Eufrate attraversava poco prima di versarsi nel golfo Persico. (G.)</ref> e della Babilonia (la quale è il principio dell’istmo che divide l’Arabia felice dal resto del continente); poi, attraversando quell’istmo si spinga fino all’estremo punto del golfo Arabico, a Pelusio ed alla Bocca canopica del Nilo, costui avrà percorso il lato meridionale. L’occidentale poi sarebbe la spiaggia marittima dalla Bocca canopica fino alla Cilicia.

La quarta Sezione sarebbe composta dell’Arabia felice, del golfo Arabico, di tutto l’Egitto e dell’Etiopia. La sua lunghezza determinerebbesi da due paralleli, l’uno dei quali è segnato a traverso del punto più occidentale; e la larghezza sarebbe lo spazio situato fra due altri paralleli, uno nel punto più settentrionale, l’altro in quello più meridionale: perocchè trattandosi di figure irregolari, delle quali non è possibile divisare coi lati la larghezza e la lunghezza, bisogna determinarne di questo modo l’estensione.

In generale poi è da considerare, che la lunghezza e la larghezza non si pigliano nel medesimo senso rispetto al tutto e rispetto alle parti. Nel tutto chiamasi lunghezza la maggiore distanza, e larghezza la minore: ma nelle parti, la loro lunghezza è lo spazio parallelo a quella del tutto, quand’anche la larghezza comprendesse una maggiore estensione. Laonde, poichè la lunghezza di tutta la terra abitata si piglia dall’oriente all’occidente, e la larghezza invece dal settentrione al mezzogiorno; e la prima descrivesi sopra una linea parallela all’equatore, e la seconda va nella direzione del meridiano: perciò bisogna che anche rispetto alle parti la lunghezza e la larghezza si piglino parallele a quelle del tutto. Di questa maniera si può meglio determinare primamente la grandezza della Terra abitata, poi anche la disposizione e la figura delle sue parti; e con questo confronto apparisce dov’esse o sono superiori, o rimangono superate dalle altre.

Ma Eratostene determina la lunghezza della Terra abitata sopra una linea che passa per le Colonne, per le Porte caspie e pel Caucaso, supponendola retta; poi quella della terza Sezione sopra una linea condotta dalle Porte caspie a Tapsaco; e quella della quarta sopra un’altra linea che attraversa le Porte caspie e la città degli eroi<ref>''Eroopoli'' situata all’estremità settentrionale ed occidentale del golfo Arabico, un poco più verso il nord che non sia la moderna Suez. (G.)</ref> fino allo spazio compreso fra le bocche del Nilo, e va necessariamente a finire nei luoghi vicini a Canopo<ref>Aboukir.</ref> e ad Alessandria; perocchè quivi è l’ultima bocca denominata Canopica od Eracleotica<ref>Questo nome le era dato da una città detta Eraclea, situata fra Canopo e l’imboccatura del Nilo, chiamata poi Maadié. (G.)</ref>. Ma o ch’egli supponga queste lunghezze sopra una sola linea retta, o ch’egli creda che facciano un angolo a Tapsaco, è però manifesto da quello ch’egli medesimo dice, che nè l’una nè l’altra di esse è parallela alla lunghezza della Terra abitata sopra una linea retta che attraversa il Tauro, il Mediterraneo fino alle Colonne, il Caucaso, Rodi ed Atene. Dice poi che da Rodi ad Alessandria, seguitando il meridiano onde sono attraversate amendue<ref>È un errore comune ad Eratostene, Ipparco e Strabone l’aver creduto che Rodi ed Alessandria fossero sotto uno stesso meridiano. (G.)</ref>, v’ha poco meno di quattro mila stadii. Quindi anche il parallelo di Rodi e quello di Alessandria sarebbero a questa distanza fra loro. Ma il parallelo di Eroopoli od è questo medesimo, od è poco più di questo meridionale: sicchè poi la linea che va a cadere sopra questo parallelo e sopra quello di Rodi e delle Porte caspie, senza distinzione s’ella sia diritta o no, non potrebbe mai essere parallela a nessuna di queste due. Qui dunque le lunghezze non sono bene determinate; e questo dee dirsi anche delle parti settentrionali. Ma tornando primamente ad Ipparco, vediamo quello ch’egli viene dicendo.

Apponendo sempre ad Eratostene sentenze fantasticate a suo grado, prosegue a confutare con geometrico rigore ciò ch’egli pone per modo di dire. Sostiene quindi affermarsi da Eratostene «che la distanza da Babilonia alle Porte caspie sia di seimila e settecento stadii; e da Babilonia ai confini della Carmania e della Perside di più che nove mila, pigliando questa distanza sopra una linea retta condotta verso il levante equinoziale, la qual linea poi è perpendicolare rispetto al fianco che la seconda e la terza Sezione hanno a comune. Così secondo Eratostene risulta un triangolo rettangolo, coll’angolo retto verso i confini della Carmania, e coll’ipotenusa minore di uno dei lati che sono intorno al detto angolo. Il perchè (dice Ipparco) bisognerebbe attribuire la Perside alla seconda Sezione».

Contro tutto ciò già fu detto che nè la linea tirata da Babilonia alla Carmania si piglia in vece di un parallelo, nè quella che disgiunge le Sezioni in vece di un meridiano: di modo che a nulla riesce ciò che dice Ipparco contro Eratostene. E nel vero, mentre Eratostene dice che dalle Porte caspie a Babilonia v’ha quel numero di stadii che già si è registrato (cioè seimila e settecento), dalle Porte caspie a Susa quattromila e novecento, e da Babilonia a Susa tremila e quattrocento; Ipparco partendosi da queste medesime ipotesi, afferma che le Porte caspie, Susa e Babilonia formano un triangolo con angolo ottuso, che quest’angolo ottuso cade sopra Susa, e che i lati sono della grandezza già detta. Quindi ragiona che, in conseguenza delle premesse ipotesi, la linea meridionale onde sono attraversate le Porte caspie taglierà il parallelo di Babilonia e di Susa in un punto quattromila e quattrocento stadii più occidentale che non è quello in cui lo taglia la linea retta condotta dalle stesse Porte caspie ai confini della Carmania e della Perside; e che quest’ultima linea, la quale fa col meridiano delle Porte caspie un mezzo angolo retto<ref>Un angolo di 45 gradi. Il Gossellin poi osserva che a norma delle misure premesse quest’angolo sarebbe soltanto di 43° 5’.</ref>, va fra il mezzogiorno e il levante equinoziale: e siccome il corso dell’Indo è parallelo a codesta linea, perciò il fiume uscendo delle montagne dovrebbe dirigersi non verso il mezzogiorno, come afferma Eratostene, ma fra il mezzogiorno e il levante equinoziale, come fu descritto nelle carte antiche».

Ma chi mai concederà che il triangolo predetto sia d’angoli ottusi, senza concedere poi che quello ond’è contenuto sia rettangolo? Chi mai concederà che la linea condotta da Babilonia a Susa sia una di quelle che circondano l’angolo ottuso, e seguiti la direzione di un parallelo, poi non vorrà assentire questa medesima circostanza anche rispetto a tutta la linea che va fino alla Carmania? Chi mai concederà che sia parallela all’Indo la linea tirata dalle Porte caspie ai confini della Carmania? eppure senza di ciò è vano il ragionamento d’Ipparco.

«Inoltre, soggiunge Ipparco, anche Eratostene ha detto che la figura dell’India è romboidale: e come il fianco orientale si spinge molto verso oriente (massime nell’estremo suo promontorio il quale riesce anche a mezzogiorno più che il restante di quella spiaggia), così debb’essere eziandio del fianco formato dall’Indo». - Tutto ciò dice Ipparco come geometra, ma la sua censura peraltro non può persuadere<ref>Il testo, che nella lezione ordinaria non presenta alcun senso probabile, è stato corretto dagli Editori francesi e dal Coray: Πάντα δὲ ταῦτα λέγει γεωμετρικῶς ἐλέγχων, οὐ πιθανῶς.</ref>. E dopo essersi fatte da sè medesimo queste difficoltà, le scioglie dicendo: «Se l’errore di Eratostene risguardasse piccole distanze, si vorrebbe perdonare; ma cadendo manifestamente sopra migliaia di stadii non è comportabile, massime dicendo egli stesso che qualora la distanza è di quattro mila stadii, le variazioni riescono manifeste, siccome accade fra il parallelo di Atene e quello di Rodi».

Ma queste variazioni evidenti, prodotte dalla differenza delle latitudini<ref>Tutto questo paragrafo parve anche al Casaubono guasto e difficile a intendersi. Anche qui la lezione adottata dal Coray va pienamente d’accordo colla versione francese.</ref>, non sono tutte d’un modo, e perchè ci riescano realmente evidenti hanno d’uopo di una distanza talvolta maggiore, talvolta minore, secondo la natura dei climi; maggiore quando noi per giudicare della latitudine dobbiamo prestar fede all’occhio, alle produzioni del suolo, alla temperatura dell’aria; minore quando possiamo valerci di stromenti gnomonici o diottrici. Certo chi traccerà col sussidio del gnomone il parallelo di Atene o quello di Rodi e della Caria, probabilmente potrà sentire la differenza che nasce da una distanza di quattro cento stadii: ma quando un geografo per segnare in una larghezza di tre mila stadii una linea dall’occidente al levante equinoziale, si serve di una catena di monti larga quaranta mila stadii e di un mare che si distende per ben trenta mila; poi volendo indicare la situazione delle varie parti della Terra abitata rispetto a questa linea, dà alle une il nome di meridionali, alle altre quello di settentrionali, e finalmente compone di varii paesi ciò ch’egli chiama Sezioni: allora si vuole considerare quale significato egli dia a’ suoi termini, e con quale intendimento egli dica che la cotal parte di una Sezione ne costituisce il lato settentrionale, e la cotal’altra il lato di mezzodì, o quel d’occidente o l’orientale. E s’egli negligenta di evitare i grandi errori, ne renda conto: ma se la sua negligenza è solo intorno a cose di lieve momento, non v’ha cagione di confutarlo. Or qui in nessun modo potrebbe alcuno confutare Eratostene: perocchè nessuno potrebbe dare una geometrica dimostrazione di luoghi situati in tanta distanza l’uno dall’altro: nè Ipparco, dov’egli imprende a farla da geometra, si vale giammai di principj ricevuti, ma di proposizioni immaginate da lui a suo capriccio.

In miglior modo ragiona<ref>Leggo: βέλτιον λέγει col Coray e cogli Editori francesi, e non colle edizioni ordinarie βέλτιον λέγειν, che l’interprete latino tradusse ''praestat dicere''; come se Strabone soggiungesse qui le opinioni sue proprie, e non invece quelle d’Ipparco.</ref> poi Ipparco della quarta Sezione; ma continua nondimeno a far manifesta la sua inclinazione al criticare, e la sua tenacità delle ipotesi già premesse o di altre a quelle somiglianti. Ipparco rimprovera a buon diritto Eratostene per avere detto che la linea condotta da Tapsaco all’Egitto costituisce la lunghezza di questa quarta Sezione; il che torna lo stesso come a dire che la diagonale di un parallelogrammo corrisponde alla sua lunghezza. Perocchè non istanno sotto un medesimo parallelo Tapsaco e la spiaggia marittima dell’Egitto, ma sibbene sotto paralleli molto distanti fra loro; fra’ quali riesce obliqua e quasi diagonale la linea condotta da Tapsaco all’Egitto. Ma non è poi ragionevole che Ipparco si maravigli dell’avere Eratostene osato affermare, che da Pelusio a Tapsaco v’ha sei mila stadii, mentre ve n’ha più che otto mila. Perocchè dopo aver dimostrato come il parallelo di Pelusio è più meridionale che quello di Babilonia quanto è lo spazio di duemila e cinquecento stadii, e supponendo che nell’opinione di Eratostene il parallelo di Tapsaco sia ben quattromila e ottocento stadii più settentrionale che quello di Babilonia, ne risultano più che otto mila<ref>La lezione ordinaria è ''sette mila'' ἑπτακισχιλίων, ma il Casaubono notò che anticamente leggevasi ''otto mila''. Gli Editori francesi (ed il Coray) hanno restituita la lezione antica non solo coll’autorità di qualche bel manoscritto, ma anche sul seguente raziocinio. Ipparco assegnava settemila e centonovantacinque stadii a quella porzione del meridiano di Tapsaco ch’è compresa fra questa città ed il meridiano di Pelusio, e cinque mila ne contava dalla intersecazione di queste linee fino a Pelusio. Quindi egli dovette conchiudere al certo, che la distanza da questa città a Tapsaco in linea retta è di ottomila e settecento sessantadue stadii. (G.)</ref>. Ma come mai, io domando, può dimostrarsi che secondo Eratostene la distanza del parallelo di Babilonia da quello di Tapsaco sia di quattromila e ottocento stadii? Ben dice Eratostene che tanto v’ha da Tapsaco a Babilonia, ma che altrettanto poi vi avesse fra i paralleli dell’una e dell’altra città non lo disse. Perocchè egli non sostiene che Tapsaco e Babilonia siano sotto un medesimo parallelo; ma invece Ipparco stesso dimostra che, secondo Eratostene, Babilonia è più orientale di Tapsaco lo spazio di oltre due mila stadii. E noi abbiam già riferite le espressioni proprie di Eratostene, nelle quali asserisce che il Tigri e l’Eufrate circondano la Mesopotamia e la Babilonia, in modo però che la maggior parte della periferia è formata dall’Eufrate: perocchè dal settentrione scorre al mezzogiorno, poi si converte all’oriente, poscia di nuovo al mezzogiorno. Ora la via ch’ei fa da settentrione a mezzogiorno è una specie di meridiano; ma quel suo convertirsi alle parti orientali ed alla Babilonia è una deviazione dal meridiano, la quale non è poi in linea retta a motivo di quella periferia a cui già si è detto ch’esso principalmente contribuisce.

Disse poi ch’è di quattromila e ottocento stadii la via da Tapsaco a Babilonia ''lungo l’Eufrate''; e questo egli soggiunge per indizio che non si debba pigliar quella via nè come una retta, nè come misura della distanza fra i due paralleli. Quando poi questo non sia consentito, diviene insussistente anche il credere di poter dimostrare come una conseguenza, che costituendo un triangolo rettangolo fra Pelusio, Tapsaco e il punto in cui si tagliano il parallelo di Tapsaco e il meridiano di Pelusio<ref>Osserva il Gossellin che il testo debb’essere qui errato e manchevole, non potendosi comprendere come si parli qui del parallelo di Tapsaco e del meridiano di Pelusio, mentre dovrebbero avervi luogo soltanto il meridiano di Tapsaco e il punto in cui esso taglia il parallelo di Pelusio; nè si vede come sia vero che uno dei lati intorno all’angolo retto dovrebbe essere più lungo dell’ipotenusa.</ref>, uno dei lati intorno all’angolo retto, e propriamente quello nella direzione del meridiano sarebbe maggiore di quello che stendesi opposto all’angolo retto (l’ipotenusa) da Tapsaco a Pelusio. Così riesce insussistente anche quello che Ipparco soggiunge, dedotto da una proposizione non ricevuta: perocchè non si ha per vero che la distanza dal meridiano di Babilonia a quello delle Porte caspie sia di quattromila e ottocento stadii<ref>O più esattamente ''di quattromila e settecento settanta''.</ref>: e già fu dimostrato da noi come Ipparco ponga questa misura deducendola da principii ch’Eratostene non approva. Ma per dimostrare che non sussiste ciò che Eratostene insegna, Ipparco suppone che da Babilonia alla linea condotta (come Eratostene dice) dalle Porte caspie ai confini della Carmania v’abbiano più di nove mila stadii<ref>Leggasi ''novemila e duecento''.</ref>. Ora questo non dovevasi dire contro Eratostene, ma sibbene così<ref>Gli Editori francesi dichiarano che non presentando qui il testo una lezione sempre sicura, non è presumibile di cogliere sempre nel segno. Gioverà trascrivere qui il commento ch’essi aggiungono a tutto questo passo. Eratostene per indicare la ''grandezza'' e la ''figura'' delle sue varie Sezioni, ma in modo generale e sommario, potè pigliare sopra un’estensione assai grande i termini dei quali si valse. Nondimeno, al dir di Strabone, ebbe il torto quando per determinar la ''lunghezza'' di alcune di queste Sezioni si valse di linee oblique ed anche interrotte, che nella loro direzione si allontanavano troppo da quella del gran ''diaframma'' di cui ha parlato sì spesso. Affinchè queste linee potessero pigliarsi come ''lunghezze'' delle Sezioni sarebbe stato mestieri che si fossero almeno potute credere quasi parallele con quel medesimo ''diaframma'' sul quale Eratostene determinò la ''lunghezza'' di tutta la terra abitata.</ref>: Quando si vogliono determinare (comunque in modo generale) grandezze e figure, bisogna proporsi una norma; la quale poi qualche volta più, qualche volta meno si debbe osservare. Ora, dopo aver detto che l’ampiezza di quelle montagne che si distendono verso il levante equinoziale è di tre mila stadii, e così anche quella del mare fino alle Colonne d’Ercole, Eratostene vorrebbe considerare come una linea sola diverse linee condotte nella larghezza di questo spazio; ma questo potrebb’essergli assentito qualora si trattasse delle linee parallele a questo spazio medesimo, piuttostochè rispetto a quelle ond’esso è intersecato; e fra quest’ultime, rispetto a quelle che lo tagliano dentro, piuttosto che a quelle ond’è tagliato al di fuori; rispetto a quelle che per la loro brevità non escono dello spazio, piuttostochè a quelle altre le quali n’escono; insomma rispetto a linee di qualche estensione, piuttostochè quando si tratti di linee assai brevi; perchè allora più facilmente rimane nascosta la disuguaglianza delle lunghezze e la dissimilitudine delle figure.

Qualora, per cagione di esempio, nel determinare l’ampiezza di tutto il Tauro e del mare fino alle Colonne si pongano tre mila stadii, può intendersi ancora che il luogo sia un parallelogrammo, il quale comprenda dentro di sè tutto quel monte e tutto il mare già detto: ma quando se ne divida la lunghezza in più parallelogrammi, e si pigli prima la diagonale di tutto lo spazio, poi delle varie sue parti<ref>Cioè la diagonale dei parallelogrammi minori risultanti da queste divisioni. Il testo poi usa la voce ''diametro'' διαμέτρον.</ref>, non v’ha dubbio che la diagonale di tutto il parallelogrammo potrà stimarsi parallela ed uguale al lato della lunghezza, più comportabilmente che la diagonale dei parallelogrammi minori. E quanto più saran piccoli i parallelogrammi presi dentro al tutto, tanto più questo si troverà vero. Perocchè l’obliquità della diagonale e la sua difformità dalla linea della lunghezza si scorgono meno nelle grandi figure; sicchè in queste non sarebbe vergogna il dire che la diagonale ne costituisce la lunghezza. Qualora poi tu inclini la diagonale per modo ch’essa vada a cadere fuor di amendue od almeno fuor d’uno dei lati, non ha più luogo quello che abbiamo detto<ref>Cioè, non può più rappresentar la lunghezza del parallelogrammo.</ref>; e perciò io dissi che a disegnare grandezze e figure, comunque si faccia d’un modo generale, è necessario prestabilirsi una norma. Così qualora dalle Porte caspie si conduca da prima una linea che attraversi le montagne e che, seguitando sempre un medesimo parallelo, vada fino alle Colonne d’Ercole; poi se ne conduca una seconda la quale incontanente declini dalle montagne fin sopra Tapsaco; e finalmente una terza tanto estesa che da Tapsaco arrivi declinando fino all’Egitto: se all’ultimo si assumesse la lunghezza di queste due linee prese insieme come misura della lunghezza di questa porzione della Terra abitata, sarebbe lo stesso come misurare colla diagonale la lunghezza di uno di quei parallelogrammi particolari che abbiamo accennati poc’anzi<ref>Tutto questo passaggio è oscurissimo. Noi crediamo che si riferisca alla maniera con cui Eratostene avea rappresentato la figura e le dimensioni della sua quarta Sezione, ma Strabone ci ha tramandate in questo proposito soltanto alcune nozioni assai imperfette. Tutto ciò che può arguirsi da quello che ha detto e da quello che sta per dire si è: I.° Che l’Arabia era compresa in questa quarta Sezione: II.° Ch’Eratostene aveva misurata la lunghezza di questa medesima Sezione sopra una linea condotta da Tapsaco a Pelusio, od anche fino alla bocca del Nilo a Canopo: III.° Ch’Eratostene stesso avea creduta di sei mila stadii la distanza da Tapsaco a Pelusio: IV.° Che Strabone lo censurava per avere assegnata come misura della lunghezza di quella Sezione una linea, la quale non poteva per nessun modo considerarsi come quasi parallela a quella su cui avea misurata la lunghezza della Terra abitata. (Ed. franc.)</ref>. Qualora poi questa linea non fosse diagonale, ma rotta, tanto più errerebbe chi se ne valesse al fine predetto; e rotta appunto è la linea condotta delle Porte caspie per Tapsaco insino al Nilo.

Questo è ciò che può dirsi contro Eratostene. Contro Ipparco poi può dirsi anche questo, che, dopo avere esposta la censura delle cose dette da Eratostene, avrebbe dovuto proporre anche qualche rettificazione degli errori di lui, come noi facciamo: ma egli invece, se punto a questo pensò, comanda che ci dobbiam riportare alle carte antiche, le quali assai più che quella di Eratostene hanno bisogno di essere rettificate.

L’argomento poi che Ipparco soggiunge ha lo stesso difetto: perocchè piglia per fondamento una proposizione dedotta da dati non consentiti e da noi già riprovata, cioè che non ecceda la misura di mille stadii quello spazio onde Babilonia è più orientale di Tapsaco. Perocchè quando bene dai calcoli di Eratostene risultasse che Babilonia fosse per duemila e quattrocento stadii più orientale di Tapsaco (giacchè la via più breve da Tapsaco al luogo dove Alessandro passò il Tigri è di stadii duemila e quattrocento, e il Tigri e l’Eufrate dopo avere circondata la Mesopotamia discorrono verso l’oriente, poscia ritorconsi a mezzogiorno, avvicinandosi l’uno all’altro e tutti e due a Babilonia) non per questo vi sarebbe punto di assurdità nel suo ragionamento.

Così va errato Ipparco anche nel raziocinio che soggiunge subito dopo: nel quale vorrebbe provare che la strada da Tapsaco alle Porte caspie, a cui Eratostene assegnò dieci mila stadii, viene da lui annunciata siccome diritta, comunque non l’abbia poi misurata sopra una linea retta, perchè questa è molto più breve. Il modo con cui Ipparco ragiona è il seguente. Dice «che anche secondo Eratostene è uno stesso meridiano quello che passa per la bocca Canopica e quello delle Cianee, ed è distante da quello di Tapsaco seimila e trecento stadii: e le Cianee sono distanti seimila e seicento stadii da quel monte Caspio ch’è presso alla gola<ref>Pare che Strabone indichi sotto questo nome la valle di Kur o dell’antico ''Cyrus'' nella Giorgia. Il monte Caspio dee corrispondere alle alte montagne della Giorgia dove si dividono le acque, e da un lato vanno a cadere nel mar Nero, dall’altro nel mar Caspio. (G.)</ref> che mette dalla Ciolchide al mar Caspio; sicchè, tolti tre cento stadii, la distanza del meridiano delle Cianee a quello di Tapsaco, od a quello del monte Caspio è la stessa; e in qualche modo si trovano sotto uno stesso meridiano Tapsaco e il monte predetto<ref>Il monte Caspio è invece molto più orientale del meridiano di Tapsaco.</ref>. In conseguenza di ciò le Porte caspie debbono essere ugualmente distanti e da Tapsaco e dal monte Caspio predetto; non però a dieci mila stadii da entrambi cotesti luoghi, come Eratostene afferma di Tapsaco, bensì ad una distanza molto minore. Il perchè poi in linea retta la distanza da Tapsaco alle Porte caspie è molto minore di dieci mila stadii; i quali non possono contarsi se non misurandoli sopra una linea obliqua.» - Ma contro Ipparco noi diciamo: Che Eratostene parla di linea retta all’ingrosso, come è proprio della geografia, e così anche del meridiano e delle linee condotte verso il levante meridionale<ref>Le ''parallele''.</ref>; ma Ipparco esamina con rigor geometrico tutto ciò ch’egli dice, come se si trattasse di linee determinate ad una ad una con matematici istromenti: mentre poi Ipparco stesso nello stabilire le perpendicolari e le parallele non ha osservata sempre la geometrica esattezza, ma si valse parecchie volte della semplice congettura. Questo dunque è uno degli errori d’Ipparco. Un secondo si è, ch’egli non conserva le distanze stabilite da Eratostene, nè sopra quelle poi fonda le sue confutazioni; ma se le finge da sè a suo grado. Però innanzi tutto, dicendo Eratostene che dall’imboccatura del Bosforo Tracio sino al Fasi v’hanno otto mila stadii, poi dal Fasi alle Dioscurie sei cento, e da queste al Caspio il viaggio di cinque giorni (il quale secondo lo stesso Ipparco ci congettura che corrisponda a mille stadii), la somma totale da Eratostene assegnata è di novemila e seicento stadii. Ma Ipparco ne sottrae una parte e dice: «Dalle Cianee al Fasi v’ha cinquemila e seicento stadii, e di quivi al Caspio altri mille»: sicchè non è già secondo Eratostene che il Caspio e Tapsaco si troverebbero sotto uno stesso meridiano, ma piuttosto secondo Ipparco. Ma sia pur questa l’opinione anche di Eratostene: come mai ne potrebbe peraltro conseguitare che la distanza dal Caspio alle Porte caspie, e da Tapsaco a questo medesimo punto, siano eguali<ref>Il meridiano del monte Caspio è 2625 stadii più vicino che quello di Tapsaco alle Porte caspie. (G.)</ref>?

Nel secondo libro Ipparco, dopo avere ripigliato il discorso intorno alle montagne del Tauro, delle quali noi abbiamo già bastevolmente parlato, trapassa alle parti settentrionali della Terra abitata: poi espone le cose dette da Eratostene intorno ai luoghi vicini al Ponto<ref>Così il testo: περὶ τῶν μετὰ τὸν Πόντον τόπων. Ma gli Editori francesi non esitarono a tradurre: ''intorno ai paesi situati all’occidente del Ponto Eussino'', perchè nel vero Eratostene parla soltanto di questi.</ref>: cioè, che il settentrione presenta tre grandi promontorii; uno dei quali è quello su cui sta il Peloponneso; l’altro è l’Italico; il terzo è il Ligustico<ref>Il primo di questi promontorii comprendeva tutta la Grecia, l’altro l’Italia, il terzo la Spagna; ed Eratostene lo chiamò ''Ligustico'', perchè i Liguri, essendosi impadroniti di una porzione delle spiagge di Gallia e di Spagna, aveano dato il proprio nome a quella parte del Mediterraneo che la bagna.</ref>; e tutti e tre insieme abbracciano il golfo Adriatico ed il Tirreno. Ipparco poi dopo avere così in generale esposto ciò che dice Eratostene, fa prova di censurarle tutte ad una ad una, ma sempre con argomenti desunti dalla geometria piuttosto che dalla geografia. Ma vi sono cotanti errori nella moltitudine delle cose dette da Eratostene e da Timostene (lo scrittore dei Porti, cui Eratostene loda sopra gli altri, sebbene contraddica poi a sè stesso perchè si allontana molte volte dalle opinioni di lui) ch’io non credo opportuno l’intrattenermi a confutare nè que’ due scrittori sì traviati dal vero, nè Ipparco. Il quale in parte ha omesso parecchi errori di Eratostene e di Timostene, altri non ha rettificati, e solo li censurò come asserzioni false e contraddicenti.

Potrebbe forse qualcuno censurare Eratostene perchè dice che tre sono i promontorii dell’Europa, e pone fra questi quello del Peloponneso, mentr’esso invece si compone di parecchie parti. Perocchè anche il Sunio<ref>Capo ''Colonna''.</ref> si spinge in mare al pari della Laconia, ed è poco meno meridionale del capo Maleo<ref>Capo ''Malio'' o ''Sant’Angelo''.</ref>, e fa un seno non dispregevole<ref>Strabone accenna qui il golfo Saronico ora d’Engia. Avrebbe potuto citare anche il golfo Argolico o di Napoli ch’è pure fra il Maleo ed il Sunio. (G.)</ref>. Così anche il Chersoneso di Tracia<ref>La penisola di Gallipoli lungo lo stretto dei Dardanelli. Il golfo ''Melas'' o ''Nero'' è il golfo di ''Saros''. (G.)</ref> abbraccia insieme col Sunio il golfo Melas, e gli altri golfi di Macedonia che vengono appresso. Ma volendo anche passare sotto silenzio cotesto errore, le distanze determinate quasi tutte con manifesta inesattezza accusano un’eccessiva ignoranza dei luoghi, la quale non ha bisogno di geometriche dimostrazioni, ma è manifesta e attestata dalle cose stesse. Come a dire che mentre il transito da Epidamno<ref>Epidamno è ''Durazzo'' sulle coste dell’Albania - Il golfo Termaico dicesi ora di Saloniki.</ref> al golfo Termaico è di più che due mila stadii, egli lo fa di soli seicento: così da Alessandria a Cartagine contò più che tredici mila stadii<ref>Cioè ''tredicimila e cinquecento''. Le misure poi che Strabone stesso viene indicando fanno ascendere la distanza fra Alessandria e Cartagine a diecimila e cento stadii, anzichè a soli nove mila. (G.)</ref> mentre non ve n’ha più che nove mila; giacchè, secondo Eratostene stesso, Caria e Rodi sono sotto un medesimo parallelo con Alessandria, e lo stretto di Sicilia è sotto quel di Cartagine; e tutti poi s’accordano a dire che la navigazione dalla Caria allo Stretto non è di più che nove mila stadii. E senza dubbio, se si trattasse di paesi lontani potrebb’essere conceduto di considerare come un meridiano solo due meridiani che non fossero tra loro discosti se non quanto Cartagine è realmente più occidentale che lo stretto di Sicilia: ma qui Eratostene s’inganna manifestamente nello spazio di tre mila stadii<ref>Così dice il testo, ma notano gli Editori francesi che dee leggersi ''quattro mila''. In tutto poi questo passaggio il testo è oscuro ed incerto.</ref>. Egli poi avendo posta sotto lo stesso meridiano di Cartagine anche Roma che n’è tanto più occidentale<ref>Così il testo: δυσμικωτέραν; ma si sa che Roma è invece più orientale di Cartagine.</ref>, non lascia più nulla da aggiungere all’eccessiva sua ignoranza di que’ luoghi e degli altri che vengono appresso verso il ponente fino allo stretto. Ad Ipparco però il quale non tolse a scrivere una Geografia, ma solo ad esaminare le cose dette da Eratostene nel suo libro, conveniva fermarsi a censurarne ogni parte che di censura fosse capace; ma noi abbiamo creduto di doverne esaminare le opinioni soltanto in quelle parti dove Eratostene, comunque commetta parecchi errori, ha nondimeno detto il vero: e ne abbiamo riferite le parole sue proprie, talvolta per mostrarne gli errori, tal altra invece per difenderlo contro le censure d’Ipparco, al quale non abbiamo creduto di doverla perdonare, quando egli muove qualche censura fondata unicamente sul desiderio di criticare. Ma dove ci è sembrato ch’Eratostene a gran partito s’inganni, e che Ipparco giustamente ne lo riprenda, abbiam giudicato che a noi dovesse bastare, per rettificarne gli errori, lo esporre nella nostra Geografia le cose siccome esse sono realmente. Perocchè dove gli errori sono continui ed evidenti, gli è il meglio non far ricordanza di nessuno, se non forse di rado ed in generale; come noi ci proponiamo di fare nelle singole parti del nostro libro. Ed ora basti il dire che Timostene, Eratostene e quelli che precedettero anche a costoro ignorarono al tutto le cose d’Iberia e le celtiche, e molto più poi quelle di Germania e di Britannia, e le getiche<ref>I Geti occupavano la parte orientale della Moldavia e della Bessarabia fra il Danubio ed il Dniester, detto altre volte Tyras o Danaster. I Bastarni abitavano la parte settentrionale della Moldavia ed una porzione dell’Ucrania. (G.)</ref> e le bastarniche. Furono grandemente ignoranti anche delle cose spettanti all’Italia, all’Adria ed al Ponto Eussino, ed alle altre parti settentrionali che quivi tengono dietro. Ma forse anche questo potrebbe parer desiderio di censurare. Perocchè Eratostene dice che, rispetto ai paesi molto lontani, egli si vale delle distanze da altri assegnate, nè punto si cura di avvalorarle, ma le riferisce come le trova, con aggiungere qualche volta se la strada s’accosta o no alla linea retta. Quando pertanto trattasi di distanze che non si possono misurare se non per via di confronto, e rispetto alle quali non vanno d’accordo gli autori, non vuolsi assoggettare ad un rigoroso esame ciò ch’Eratostene dice, come fa Ipparco sia nei luoghi già citati, sia dove Eratostene pone la distanza fra l’Ircania e la Battriana, ed i luoghi situati più oltre, o quella ch’è dalla Colchide al mare Ircano. Perocchè non è ragionevole il giudicarlo con ugual rigore quando si tratta di luoghi siffatti e quando descrive paesi posti nel seno del nostro continente<ref>Sebbene il testo dica in generale τῶν κατὰ τὴν ἠπειρῶτιν, ''i luoghi situati nella terra continentale'', è ragionevole l’interpretazione adottata dagli Editori francesi. Perchè trovandosi nel continente anche l’Ircania e quegli altri luoghi rispetto ai quali Strabone dice che gli errori si possono perdonare, è ben naturale che alludesse solo alle parti del continente più conosciute dai Greci quando volle indicare quei luoghi dove non è perdonabile l’avere errato.</ref>: ed anche rispetto a questi, siccome dissi, sarebbe stato conveniente ch’egli ne avesse parlato come geografo, anzi che colle norme della geometria.

Ipparco adunque, dopo avere notato in sul fine del secondo libro delle Osservazioni scritte da lui intorno alla Geografia di Eratostene alcune cose risguardanti l’Etiopia, dice poi nel terzo, che la maggior parte delle sue considerazioni saranno matematiche, ma in qualche parte poi anche geografiche. Contuttociò mi pare che non le abbia poi fatte punto nè poco geografiche, ma sì piuttosto che sieno matematiche del tutto<ref>Osserva il Gossellin che Strabone, come colui che poco seppe di geometria e d’astronomia, non conobbe abbastanza l’assoluta necessità di adoperare queste scienze al perfezionamento della geografia. Di questo (egli aggiunge) avremo occasione di persuaderci fin troppo nel progresso del libro, vedendo la pochissima cura ch’ei pone nel trascrivere gli esatti risultamenti delle osservazioni e dei calcoli de’ suoi precessori.</ref>; di che Eratostene stesso gli diede motivo. Perocchè di frequente esce a parlare di cose spettanti alla scienza piuttostochè alla storia ch’egli s’era proposta; e venuto a tal punto, reca in mezzo ragioni non accurate ma inconcludenti; e così egli in certo modo è matematico nelle cose di geografia, e geografo in quelle di matematica, dando sotto amendue gli aspetti ansa a coloro che vogliono contraddirlo. Però in questo (terzo) libro egli e Timostene soggiacciono a giuste censure; sicchè a noi non rimane da aggiungere verun’altra considerazione, ma ci debbono bastare quelle recate in mezzo da Ipparco.

{{Sezione note}}.