Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 2.djvu/64: differenze tra le versioni

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anche a traverso della barca, tanto è lunga la spada delle galeote; e in generale questa caccia pel vigore della belva somiglia a quella dei cinghiali. Di qui, dice, può congetturarsi che secondo Omero gli errori di Ulisse furono intorno alla Sicilia; perchè egli attribuisce a Scilla la pescagione or ora descritta, la quale è propria specialmente dello scoglio Scilleo, e perchè quelle cose ch’ei dice rispetto a Cariddi sono conformi ai fenomeni che si osservano nello Stretto. Perocchè in quel verso:
giudicare i poemi dal lato della ragione, nè cercare in esse la storia. . . Quando Ulisse dice:
<poem>
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''Per nove infausti sul mar pescoso''
''Tre fiate il rigetta e tre nel giorno''
''L’assorbe'', . . .</poem>crede che per errore di scrittura o di osservazione sia stato scritto ''tre'' volte invece di ''due''. Così anche quelle cose che si veggono nell’isola Meninge consuonano con quelle che il poeta dice dei Lotofagi: e se in qualche parte non sono concordi bisogna recarne le differenze o alla mancanza di cognizioni precise, od alla proprietà della poesia, che si compone di storia, di disposizione e di favola. Il fine poi della storia è la verità; come fece il poeta nell’enumerazione delle navi assegnando a ciaschedun lungo le qualità ad esso proprie, sicchè quale città disse ''pietrosa'', quale ''ultima'', quale ''abbondante di colombe'', e quale ''vicina al mare''. Della disposizione è fine l’evidenza, come quando introduce dei personaggi a combattere. E la favola finalmente tende al diletto ed alla meraviglia. Ora il fingere tutto non è nè credibile nè omerico: perocchè la poesia di lui è da tutti considerata come veramente filosofica, allontanandosi da Eratostene il quale comanda di non
''I venti rei di trasportaro'' . . . .<ref>Odiss., lib. {{Sc|ix}}, 82.</ref></poem>queste parole si debbono interpretare probabilmente di un viaggio non lungo (dacchè i venti rei o perniciosi non giovano al ben viaggiare), e non credere invece ch’egli sia uscito fuori sin nell’Oceano, come se l’aure gli fossero sempre soffiate in favore. Oltre di che poi, computando la distanza da’ Malei<ref>Il capo Maleo dell’antico Peloponneso, ora capo Malio nella Morea.</ref> alla Colonne di ventidue mila e cinquecento stadii, se noi poniamo (dice Polibio) che lo abbia compiuto in un corso uniforme di nove giorni, dovremo dire che navigasse ogni giorno due mila e cinquecento stadii. Ma chi ha mai raccontato che dalla Licia o da Rodi qualcuno arrivasse ad Alessandria in due giorni<ref>In tutte queste misure Polibio non va pienamente d’accordo colle osservazioni più esatte dei moderni; ma la differenza però non è tale da togliere all’argomento il suo valore.</ref>? A coloro poi i quali domandano come mai Ulisse venuto tre volte in Sicilia, nè una volta pure attraversasse lo Stretto, risponderemo, che anche dopo di lui evitarono tutti di navigarvi.»

Queste cose dice Polibio, ed altre ancora dirittamente: ma quando nega che Ulisse sia uscito fuori a navigar nell’Oceano, ed esamina il suo viaggio con un’accurata misura dei giorni e delle distanze, allora non sa