Pagina:Storia delle arti del disegno III.djvu/381: differenze tra le versioni
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de’ magnati, ed alle violenze del popolo, il quale più volte rinnovò la scena di togliere la signoria a tutti i nobili, e grandi della città, obbligandoli a cedere tutte le loro fortezze; come scrive {{AutoreCitato|Giovanni Villani|Giovanni Villani}}<ref>''Hist. Fiorent. lib. 10. cap. 19.'' presso il {{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|Muratori}} ''Tom. XIII. col. 612''.</ref>, e il Pontefice Giovanni XXII. in una lettera presso il {{AutoreCitato|Odorico Raynaldi|Rainaldo}}<ref>''Annal. Tom. XXIV. anno 1327, n. 11. pag. 349.''</ref>, che fece nell’anno 1327. per favorire Lodovico il Bavaro; e così fece nell’anno 1347. Cola di Rienzo, ossia Niccola di Lorenzo, come narra lo stesso Villani<ref>''lib. 12. cap. 89. col. 969''.</ref>, che si era fatto dichiarare tribuno dal Popolo Romano per rimetterlo nell’antica indipendenza. A tal eccesso erano giunti i tiranni, i quali aveansi usurpato in varj tempi il dominio della città, che non contenti del guasto stato fatto in tante guerre civili da essi, e dai loro predecessori, agli antichi palazzi, archi trionfali, ed altri monumenti, cercarono di far danaro cogli avanzi; cioè coi marmi, colle colonne, ed altri pezzi di qualche importanza; non risparmiando neppure i sepolcri delle famiglie romane, e i liminari delle chiese per venderli ai Napoletani, e ad altri. Non potè trattenerli il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} al vedere sì barbara strage di quegli ornamenti grandiosi, che tanta rinomanza aveano acquistata a questa città; e ne fece alte doglianze in quella orazione<ref>''Hortatoria ad Nicolaum Laurentii, oper. pag. 536''.</ref>, che diresse al mentovato Cola di Rienzo per animarlo a sottrarre una volta la misera Roma dal giogo di que’ barbari oppressori: ''Pro quibus sanguinem vestrum totiens fudistis, quos vestris patrimoniis aluistis, quos publica, inopia ad privatas copias extulistis, ii neque vos libertate dignos judicarunt, & laceratas Reipub. reliquias, carptim in speluncis, & infandis latrocinii sui penetralibus congesserunt: nec pudor apud gentes vulgandi facinoris, aut infœlicis patriæ miseratio, pietasque continuit, quo minus impie spoliata Dei'' |
de’ magnati, ed alle violenze del popolo, il quale più volte rinnovò la scena di togliere la signoria a tutti i nobili, e grandi della città, obbligandoli a cedere tutte le loro fortezze; come scrive {{AutoreCitato|Giovanni Villani|Giovanni Villani}}<ref>''Hist. Fiorent. lib. 10. cap. 19.'' presso il {{AutoreCitato|Ludovico Antonio Muratori|Muratori}} ''Tom. XIII. col. 612''.</ref>, e il Pontefice Giovanni XXII. in una lettera presso il {{AutoreCitato|Odorico Raynaldi|Rainaldo}}<ref>''Annal. Tom. XXIV. anno 1327, n. 11. pag. 349.''</ref>, che fece nell’anno 1327. per favorire Lodovico il Bavaro; e così fece nell’anno 1347. {{AutoreCitato|Cola di Rienzo|Cola di Rienzo}}, ossia Niccola di Lorenzo, come narra lo stesso Villani<ref>''lib. 12. cap. 89. col. 969''.</ref>, che si era fatto dichiarare tribuno dal Popolo Romano per rimetterlo nell’antica indipendenza. A tal eccesso erano giunti i tiranni, i quali aveansi usurpato in varj tempi il dominio della città, che non contenti del guasto stato fatto in tante guerre civili da essi, e dai loro predecessori, agli antichi palazzi, archi trionfali, ed altri monumenti, cercarono di far danaro cogli avanzi; cioè coi marmi, colle colonne, ed altri pezzi di qualche importanza; non risparmiando neppure i sepolcri delle famiglie romane, e i liminari delle chiese per venderli ai Napoletani, e ad altri. Non potè trattenerli il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}} al vedere sì barbara strage di quegli ornamenti grandiosi, che tanta rinomanza aveano acquistata a questa città; e ne fece alte doglianze in quella orazione<ref>''Hortatoria ad Nicolaum Laurentii, oper. pag. 536''.</ref>, che diresse al mentovato Cola di Rienzo per animarlo a sottrarre una volta la misera Roma dal giogo di que’ barbari oppressori: ''Pro quibus sanguinem vestrum totiens fudistis, quos vestris patrimoniis aluistis, quos publica, inopia ad privatas copias extulistis, ii neque vos libertate dignos judicarunt, & laceratas Reipub. reliquias, carptim in speluncis, & infandis latrocinii sui penetralibus congesserunt: nec pudor apud gentes vulgandi facinoris, aut infœlicis patriæ miseratio, pietasque continuit, quo minus impie spoliata Dei'' |