Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/381: differenze tra le versioni

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quello studio che oggi si mette a fuggire il dialetto. {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}} stesso era detto ''poeta da calzolai e da fornai''. Non pareva impossibile continuare il latino, come i greci continuavano il greco, parlare la lingua universale, la lingua della scienza e della coltura, essere intesi da tutti gli uomini istrutti.
quello studio che oggi si mette a fuggire il dialetto. {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}} stesso era detto ''poeta da calzolai e da fornai''. Non pareva impossibile continuare il latino, come i greci continuavano il greco, parlare la lingua universale, la lingua della scienza e della coltura, essere intesi da tutti gli uomini istrutti.


Ma queste tendenze trovavano naturale resistenza a Firenze, dove il volgare avea messo salde radici, illustrato da tanta gloria, nè potea parer vergogna scrivere nella lingua di Dante e del {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}}. Ivi una classe colta nettamente distinta non era, e popolo grasso e popolo minuto erano ancora il popolo, con una comune fisonomia. Grandissima l’ammirazione de’ classici; frequentissimi gli studii del {{AutoreCitato|Cristoforo Landino|Landino}}, del {{AutoreCitato|Manuel Crisoloro|Crisoloro}}, del {{AutoreCitato|Angelo Poliziano|Poliziano}}; si udiva a bocca aperta {{AutoreCitato|Giorgio Gemisto Pletone|Gemistio}} e il {{AutoreCitato|Marsilio Ficino|Ficino}} e il {{AutoreCitato|Giovanni Pico della Mirandola|Pico}}; si disputava di {{AutoreCitato|Platone|Platone}} e di {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}}, discussioni erudite, senza conclusione e serietà pratica; si applaudiva al Poliziano quando cantava la bellezza o la morte dell’Albiera o gli occhi di Lorenzo, ''purus apollinei sideris nitor'', come fossero gli occhi di Laura. Ma insieme si difendeva il volgare come gloria nazionale; e il {{AutoreCitato|Francesco Filelfo|Filelfo}} spiegava Dante, e il Landino sponeva il Petrarca, e {{AutoreCitato|Leonardo Bruni|Leonardo Bruni}} sosteneva essere il volgare lo stesso latino antico com’era parlato a Roma, e {{AutoreCitato|Lorenzo de' Medici|Lorenzo de’ Medici}} preferiva il Petrarca a’ poeti latini, chiamava unico Dante, celebrava la facondia e la vena del {{AutoreCitato|Giovanni Boccaccio|Boccaccio}}, e di {{AutoreCitato|Cino da Pistoia|Cino}}, e di {{AutoreCitato|Guido Cavalcanti|Cavalcanti}}, e di altri minori scrivea le lodi con acume e maturità di giudizio. Ci erano gli oppositori, i grammatici, i pedanti, che dicevano Dante uno spropositato, un ignorante, ''rerum omnium ignarum'', e che scrivea così male in latino. Ma in Firenze non attecchivano. Cristoforo Landino nel suo studio, dove spiegava a un tempo Dante e Virgilio, pigliando a esporre il Petrarca, insegnava non esser la lingua toscana al di sotto della latina, e non altrimenti che quella doversi
Ma queste tendenze trovavano naturale resistenza a Firenze, dove il volgare avea messo salde radici, illustrato da tanta gloria, nè potea parer vergogna scrivere nella lingua di Dante e del {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petrarca}}. Ivi una classe colta nettamente distinta non era, e popolo grasso e popolo minuto erano ancora il popolo, con una comune fisonomia. Grandissima l’ammirazione de’ classici; frequentissimi gli studii del {{AutoreCitato|Cristoforo Landino|Landino}}, del {{AutoreCitato|Emanuele Crisolora|Crisoloro}}, del {{AutoreCitato|Angelo Poliziano|Poliziano}}; si udiva a bocca aperta {{AutoreCitato|Giorgio Gemisto Pletone|Gemistio}} e il {{AutoreCitato|Marsilio Ficino|Ficino}} e il {{AutoreCitato|Giovanni Pico della Mirandola|Pico}}; si disputava di {{AutoreCitato|Platone|Platone}} e di {{AutoreCitato|Aristotele|Aristotile}}, discussioni erudite, senza conclusione e serietà pratica; si applaudiva al Poliziano quando cantava la bellezza o la morte dell’Albiera o gli occhi di Lorenzo, ''purus apollinei sideris nitor'', come fossero gli occhi di Laura. Ma insieme si difendeva il volgare come gloria nazionale; e il {{AutoreCitato|Francesco Filelfo|Filelfo}} spiegava Dante, e il Landino sponeva il Petrarca, e {{AutoreCitato|Leonardo Bruni|Leonardo Bruni}} sosteneva essere il volgare lo stesso latino antico com’era parlato a Roma, e {{AutoreCitato|Lorenzo de' Medici|Lorenzo de’ Medici}} preferiva il Petrarca a’ poeti latini, chiamava unico Dante, celebrava la facondia e la vena del {{AutoreCitato|Giovanni Boccaccio|Boccaccio}}, e di {{AutoreCitato|Cino da Pistoia|Cino}}, e di {{AutoreCitato|Guido Cavalcanti|Cavalcanti}}, e di altri minori scrivea le lodi con acume e maturità di giudizio. Ci erano gli oppositori, i grammatici, i pedanti, che dicevano Dante uno spropositato, un ignorante, ''rerum omnium ignarum'', e che scrivea così male in latino. Ma in Firenze non attecchivano. Cristoforo Landino nel suo studio, dove spiegava a un tempo Dante e Virgilio, pigliando a esporre il Petrarca, insegnava non esser la lingua toscana al di sotto della latina, e non altrimenti che quella doversi