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affinandosi. Non cantava più le canzonette triestine e poi neppure le napoletane, ma era passata ad antiche canzoni italiane e a Mozart e Schubert. Ricordo specialmente una « Ninna nanna » attribuita al Mozart, e nei giorni in cui sento meglio la tristezza della vita e rimpiango l’acerba fanciulla che fu mia e che io non amai, la «Ninna nanna» mi echeggia all’orecchio come un rimprovero. Rivedo allora Carla travestita da madre che trae dal suo seno i suoni più dolci per conquistare il sonno al suo bambino. Eppure essa, ch’era stata un’amante indimenticabile, non poteva essere una buona madre, dato ch’era una cattiva figlia. Ma si vede che saper cantare da madre è una caratteristica che copre ogni altra.
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affinandosi. Non cantava più le canzonette triestine e
Da Carla seppi la storia del suo maestro. Egli aveva fatto qualche anno di studii al Conservatorio di Vienna ed era poi venuto a Trieste ove aveva avuto la fortuna di lavorare per il nostro maggior compositore colpito da cecità. Scriveva le sue composizioni sotto dettatura, ma ne aveva anche la fiducia, cbe i ciechi devono concedere intera. Così ne conobbe i propositi, le convinzioni tanto mature e i sogni sempre giovanili. Presto egli ebbe nell’anima tutta la musica, anche quella che occorreva a Carla. Mi fu descritto anche il suo aspetto.
poi neppure le napoletane, ma era passata ad antiche

canzoni italiane e a Mozart e Schubert. Ricordo spe¬
giovine, biondo, piuttosto robusto, dal vestire negletto, una camicia molle non sempre di bucato, una cravatta che doveva essere stata nera, abbondante e sciolta, un cappello a cencio dalle falde spropositate. Di poche parole — a quanto mi diceva Carla e devo crederle perchè pochi mesi appresso con lei si fece ciarliero ed essa me lo disse subito, — e tutt’intento al compito cbe s’era assunto.
cialmente una « Ninna nanna » attribuita al Mozart, e
nei giorni in cui sento meglio la tristezza della vita e
rimpiango l’acerba fanciulla che fu mia e che io non
amai, la «Ninna nanna» mi echeggia all’orecchio come
un rimprovero. Rivedo allora Carla travestita da madre
che trae dal suo seno i suoni più dolci per conquistare
il sonno al suo bambino. Eppure essa, ch’era stata
un’amante indimenticabile, non poteva essere una buo¬
na madre, dato ch’era una cattiva figlia. Ma si vede che
saper cantare da madre è una caratteristica che copre
ogni altra.
Da Carla seppi la storia del suo maestro. Egli aveva
fatto qualche anno di studii al Conservatorio di Vienna
ed era poi venuto a Trieste ove aveva avuto la fortuna
di lavorare per il nostro maggior compositore colpito
da cecità. Scriveva le sue composizioni sotto dettatura,
ma ne aveva anche la fiducia, cbe i ciechi devono con¬
cedere intera. Così ne conobbe i propositi, le convin¬
zioni tanto mature e i sogni sempre giovanili. Presto
egli ebbe nell’anima tutta la musica, anche quella che
occorreva a Carla. Mi fu descritto anche il suo aspetto:
giovine, biondo, piuttosto robusto, dal vestire negletto,
una camicia molle non sempre di bucato, una cravatta
che doveva essere stata nera, abbondante e sciolta, un
cappello a cencio dalle falde spropositate. Di poche pa¬
role — a quanto mi diceva Carla e devo crederle per¬
chè pochi mesi appresso con lei si fece ciarliero ed essa
me lo disse subito, — e tutt’intento al compito cbe s’era
assunto.
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