Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/291: differenze tra le versioni

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sofferse. Seduta accanto a me, per non farmi vedere le sue lacrime essa guardava immola le mani che teneva intrecciate in grembo. Ripetè il suo rimprovero.
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sofferse. Seduta accanto a me, per non farmi vedere le
Come devi essere rude con chi non ami, se lo sei tanto con me.
sue lacrime essa guardava immola le mani che teneva

intrecciate in grembo. Ripetè il suo rimprovero:
Buon diavolo come sono, mi lasciai intenerire da quelle lacrime e pregai Carla di squarciarmi le orecchie con la sua grande voce nel piccolo ambiente. Essa ora se ne schermiva e dovetti persino minacciare di andarmene se non fossi stato compiaciuto. Devo riconoscere che mi sembrò per un istante anche di aver trovato un pretesto per riconquistare almeno temporaneamente la mia libertà, ma, alla minaccia, la mia umile serva si recò con gli occhi bassi a sedere al pianoforte. Dedicò poi un istante breve breve al raccoglimento e si passò la mano sul viso quasi a scacciarne ogni nube. Vi riuscì con una prontezza che mi sorprese e la sua faccia, quando fu scoperta da quella mano, non ricordava affatto il dolore di prima.
Come devi essere rude con chi non ami, se lo

sei tanto con me!
Ebbi subito una grande sorpresa. Carla diceva la sua canzonetta, la raccontava, non la gridava. Le grida — come essa poi mi disse — le erano state imposte dal suo maestro; ora le aveva congedate insieme a lui. La canzonetta triestina.
Buon diavolo come sono, mi lasciai intenerire da

quelle lacrime e pregai Carla di squarciarmi le orecchie
' Fazzo l’amor xe vero Cossa ghe xe de mal Volè che a sedes’ani Stio là come nn cocal...
con la sua grande voce nel piccolo ambiente. Essa ora

se ne schermiva e dovetti persino minacciare di andar¬
è una specie di racconto o di confessione. Gli occhi di Carla brillavano di malizia e confessavano anche più delle parole. Non c’era paura di sentirsi leso il timpano ed io m’avvicinai a lei, sorpreso e incantato. Se¬
mene se non fossi stato compiaciuto. Devo riconoscere
che mi sembrò per un istante anche di aver trovato un
pretesto per riconquistare almeno temporaneamente la
mia libertà, ma, alla minaccia, la mia umile serva si
recò con gli occhi bassi a sedere al pianoforte. Dedicò
poi un istante breve breve al raccoglimento e si passò
la mano sul viso quasi a scacciarne ogni nube. Vi riuscì
con una prontezza che mi sorprese e la sua faccia, quan¬
do fu scoperta da quella mano, non ricordava affatto il
dolore di prima.
Ebbi subito una grande sorpresa. Carla diceva la sua
canzonetta, la raccontava, non la gridava. Le grida —
come essa poi mi disse — le erano state imposte dal suo
maestro; ora le aveva congedate insieme a lui. La can¬
zonetta triestina:
' Fazzo l’amor xe vero
Cossa ghe xe de mal
Volè che a sedes’ani
Stio là come nn cocal...
è una specie di racconto o di confessione. Gli occhi di
Carla brillavano di malizia e confessavano anche più
delle parole. Non c’era paura di sentirsi leso il tim¬
pano ed io m’avvicinai a lei, sorpreso e incantato. Se¬
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