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prorompe in quei pochi ed amarissimi [[Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte quarta. Discordia finale/25. A Celio - LVIII Ad Caelium|versi a Celio]] (il cui amore con la Clodia era finito con un grandissimo scandalo), i quali, secondo noi, son da mettere a capo dell’ultimo periodo, come il primo grido della coscienza del poeta, che riprende alla fine la padronanza di sè stesso, e può immergere con orrore lo sguardo in quell’abisso di vergogne e di sozzure. Non mi sembra però ragionevole il supporre questi versi posteriori al ritorno dalla Bitinia, quando la precipua cagione del viaggio non può non attribuirsi alla turpissima impudicizia di Lesbia, che determinò il poeta a farla, a tutti i costi, finita.
prorompe in quei pochi ed amarissimi [[Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte quarta. Discordia finale/25. A Celio - LVIII Ad Caelium|versi a Celio]] (il cui amore con la Clodia era finito con un grandissimo scandalo), i quali, secondo noi, son da mettere a capo dell’ultimo periodo, come il primo grido della coscienza del poeta, che riprende alla fine la padronanza di sè stesso, e può immergere con orrore lo sguardo in quell’abisso di vergogne e di sozzure. Non mi sembra però ragionevole il supporre questi versi posteriori al ritorno dalla Bitinia, quando la precipua cagione del viaggio non può non attribuirsi alla turpissima impudicizia di Lesbia, che determinò il poeta a farla, a tutti i costi, finita.


Nè maggior prova di acume a me par che faccia il {{AutoreIgnoto|Vorlaender}}, quando vuol sostenere che questo carme sia da posporre all’[[Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte quarta. Discordia finale/27. A Furio ed Aurelio - XI Ad Furium et Aurelium|XI]]; dappoichè dagli ultimi versi di questo rilevasi evidentemente, che il poeta, benchè non ancor del tutto guarito, avea racquistata pure tanta forza da parlare con certo sdegno compassionevole di Lesbia e dei suoi trecento drudi non solo, ma da ridersi delle pratiche di Furio e d’Aurelio, che, a dar retta allo {{Ac|Gustav Benjamin Schwab|Schwab}}, tentarono riconciliarlo con lei; mentre la straziante ripetizione dei versi a Celio:
Nè maggior prova di acume a me par che faccia il {{Ac|Wilhelm Vorländer|Vorlaender}}, quando vuol sostenere che questo carme sia da posporre all’[[Catullo e Lesbia/Traduzione/Parte quarta. Discordia finale/27. A Furio ed Aurelio - XI Ad Furium et Aurelium|XI]]; dappoichè dagli ultimi versi di questo rilevasi evidentemente, che il poeta, benchè non ancor del tutto guarito, avea racquistata pure tanta forza da parlare con certo sdegno compassionevole di Lesbia e dei suoi trecento drudi non solo, ma da ridersi delle pratiche di Furio e d’Aurelio, che, a dar retta allo {{Ac|Gustav Benjamin Schwab|Schwab}}, tentarono riconciliarlo con lei; mentre la straziante ripetizione dei versi a Celio:
{{Blocco centrato|<i><poem>
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Lesbia nostra, Lesbia illa,
Lesbia nostra, Lesbia illa,