Pagina:Emanuel Licha Nothing Less Nothing More.pdf/14: differenze tra le versioni

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Ancora più esplicito è il riferimento al corpo nel video dal titolo ''In & Out'':<br />“Ho individuato a Sarajevo un edificio distrutto dalla guerra, probabilmente era stato una scuola elementare. Oggi è una rovina che viene utilizzata dagli adolescenti per riunirsi; i ragazzi più grandi la usano come campo di calcio. Ho collocato un tubo di velluto rosso in modo da bloccare un buco causato da una granata nel muro esterno. Entro nell’edificio attraverso questo buco dopo essere penetrato nel tubo.”<br />Informe come un ectoplasma, rossa come il sangue denso, questa sorta di organicissima membrana si muove attraverso il varco dai contorni imprecisi creato dall’aggressione della guerra. Vi entra, contraendosi ed allungandosi in movimenti convulsi, per subito riuscirne, rendendo sensibile l’impressione di un corpo che penetra un grembo squarciato, che ne esce come attraverso una lacerazione: la reiterazione di questa dolorosa esplorazione esprime sia il moltiplicarsi spaventoso di tragici orrori negli anni della guerra, sia il loro continuo ripresentarsi alla memoria. Il momento in cui la guerra ha inferto la propria ferita sull’edificio, sul corpo sociale rappresentato dalla scuola, si ripete ossessivamente, intermezzato da momenti di vuoto, di stasi, di buio minaccioso: l’effetto stroboscopico del video evoca la sensazione provata da chi, durante la guerra, ha vissuto i bombardamenti. Il carattere del luogo – una scuola, dunque un luogo di formazione e punto di riferimento fondamentale della comunità - è evocato da un sonoro di voci di adolescenti intenti al gioco. In assenza di figure umane, le voci sembrano però essere emesse dai muri stessi, quasi che il luogo stesso fosse animato da una memoria inalienabile, indistricabilmente legata ai muri
<section begin="Licha"/>Ancora più esplicito è il riferimento al corpo nel video dal titolo ''In & Out'':<br />“Ho individuato a Sarajevo un edificio distrutto dalla guerra, probabilmente era stato una scuola elementare. Oggi è una rovina che viene utilizzata dagli adolescenti per riunirsi; i ragazzi più grandi la usano come campo di calcio. Ho collocato un tubo di velluto rosso in modo da bloccare un buco causato da una granata nel muro esterno. Entro nell’edificio attraverso questo buco dopo essere penetrato nel tubo.”<br />Informe come un ectoplasma, rossa come il sangue denso, questa sorta di organicissima membrana si muove attraverso il varco dai contorni imprecisi creato dall’aggressione della guerra. Vi entra, contraendosi ed allungandosi in movimenti convulsi, per subito riuscirne, rendendo sensibile l’impressione di un corpo che penetra un grembo squarciato, che ne esce come attraverso una lacerazione: la reiterazione di questa dolorosa esplorazione esprime sia il moltiplicarsi spaventoso di tragici orrori negli anni della guerra, sia il loro continuo ripresentarsi alla memoria. Il momento in cui la guerra ha inferto la propria ferita sull’edificio, sul corpo sociale rappresentato dalla scuola, si ripete ossessivamente, intermezzato da momenti di vuoto, di stasi, di buio minaccioso: l’effetto stroboscopico del video evoca la sensazione provata da chi, durante la guerra, ha vissuto i bombardamenti. Il carattere del luogo – una scuola, dunque un luogo di formazione e punto di riferimento fondamentale della comunità - è evocato da un sonoro di voci di adolescenti intenti al gioco. In assenza di figure umane, le voci sembrano però essere emesse dai muri stessi, quasi che il luogo stesso fosse animato da una memoria inalienabile, indistricabilmente legata ai muri <section end="Licha"/>