Lettera a Ruggero Bonghi intorno al libro De Vulgari Eloquio di Dante Alighieri: differenze tra le versioni

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È indispensabile un pochino di preambolo.
 
Al libro ''{{TestoCitato|De vulgari eloquentia|De Vulgari Eloquio}}'' è toccata una sorte, non nova nel suo genere, ma sempre curiosa e notabile; quella, cioè, d'esser citato da molti, e non letto quasi da nessuno, quantunque libro di ben piccola mole, e quantunque importante, non solo per l'altissima fama del suo autore, ma perchè fu ed è citato come quello che sciolga un'imbarazzata e imbarazzante questione, stabilendo e dimostrando quale sia la lingua italiana.
 
Prima che ne fosse pubblicato il testo originale, che fu nel 1577, in Parigi, per cura di Jacopo Corbinelli, il {{AutoreCitato|Gian Giorgio Trissino|Trissino}} l'aveva fatto conoscere con una sua traduzione, lavorata sopra un manoscritto e stampata in Vicenza per Tolomeo Janiculo, nel 1529. L'autorità di quel libro, sostenuta e combattuta fino da quel primo momento, e poi a vari e lunghi intervalli, fu rimessa in campo dal conte {{AutoreCitato|Giulio Perticari}}, nei due trattati: Degli scrittori del Trecento e de' loro imitatori (1817), e Dell'amor patrio di Dante e del suo libro intorno al Volgare Eloquio (1820).
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{{Qualità testo|5075%|lettere}}
 
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