Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1890)/IV: differenze tra le versioni

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"Leggesi del re Currado, padre di Corradino, che quando era garzone, si avea in compagnia dodici garzoni di sua etade. Quando lo re Currado fallava, li maestri che gli eran dati a guardia, non batteano lui, ma batteano di questi garzoni suoi compagni per lui. E quei dicea: - Perchè non battete me, chè mia è la colpa? - Diceano li maestri: - Perchè tu sei nostro signore. Ma noi battiamo costoro per te: onde assai ti dee dolere, se tu hai gentil cuore, che altri porti pena delle tue colpe. - E perciò si dice che lo re Currado si guardava molto di fallire per la pietà di coloro."
 
Se il romanzo e la novella non giunse ad esser popolare tra noi, e non divenne un lavoro d'arte, la ragione è che una materia tanto poetica si mostrò quando lingua e arte erano ancora nell'infanzia, e rimasa fuori della vita e dei costumi riuscì un frivolo passatempo, come fu della poesia cavalleresca. Trattata da illetterati, questa materia non potè svilupparsi e formarsi, sopravvenuto in breve tempo il risorgimento de' classici e il rifiorire delle scienze, che trasse a sè l'animo delle classi colte. Quantunque «chierico» significasse ancora uomo dotto, e da' pergami e dalle cattedre si parlasse ancora latino, ed in latino si scrivessero le opere scientifiche, già il laicato usciva dalle università vigoroso ed istrutto, con la giovanile confidenza nella sua dottrina e nella sua forza. Se il chierico tendeva a restringere in pochi la dottrina e farne un privilegio della sua milizia, lo spirito laicale tendeva a diffonderla, a volgarizzarla, a farla patrimonio comune. La libertà municipale, aprendo la vita pubblica a tutte le classi, costituiva in modo stabile un laicato colto e operoso, a cui non bastava più il latino, e che, formato nelle scuole, superbo della sua scienza, in quotidiana comunione con le altre classi, aveva già un complesso d'idee comuni, che costituivano la base della coltura. Erano nuove forze che entravano in azione e davano un indirizzo proprio alla vita italiana. A quella gente quei romanzi e quei racconti doveano sembrare trastullo di oziosi, spasso di plebe. Le idee religiose, così come venivano bandite dal pergamo, non doveano aver molta grazia a' loro occhi; quella semplicità e rozzezza di esposizione dovea poco gradire a quegli uomini, che tutto codificavano e sillogizzavano. Certo non fu perciò estinta la razza de' novellatori e de' predicatori; ma lo spirito della classe colta se ne allontanò, e i ''Conti de' cavalieri'' e le ''Vite de' santi'' rimasero occupazione di uomini semplici e inculti, senza eco e senza sviluppo. La società mirava a divulgare la scienza, a diffondere le utili cognizioni, a far sua tutta la cultura passata, profana e sacra. I suoi eroi furono {{AutoreCitato|Publio Virgilio NasoneMarone|Virgilio}}, Ovidio, Livio, {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone|Cicerone}}, Aristotile, {{AutoreCitato|Platone}}, Galeno, Giustiniano, {{AutoreCitato|Anicio Manlio QuartoTorquato Severino|Boezio}}, santo Agostino e san Tommaso. Il volgare divenne l'istrumento naturale di questa coltura. I poeti bandivano la scienza in verso; i prosatori traslatavano dal latino gli scrittori classici, i moralisti e i filosofi. Era un movimento di erudizione e di assimilazione dell'antichità, che durò parecchi secoli, e che ebbe una grande azione sulla nostra letteratura. La materia, a cui più volentieri si volgevano i traduttori, era l'etica e la rettorica, l'arte del ben fare e l'arte del ben dire. Una delle più antiche versioni è il ''Libro di Cato'' o Volgarizzamento del Libro de' costumi, opera scritta in distici latini e divisa in quattro libri. L'opera ebbe tanta voga, che se ne fecero tre versioni, ed è spesso citata dagli scrittori. Nè è maraviglia, perchè ivi la morale è nella sua forma più popolana, essendo ciascuna regola del ben vivere chiusa in un distico, a guisa di motto o proverbio o sentenza, facile a tenere in memoria. Ecco un esempio:
<poem>
''Virtutem primam esse puto, compescere linguam: ''
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"Fu uno nobile e vertudioso uomo, cittadino nato di Capova del regno di Puglia, il quale era fatto abitante della nobile città di Roma, che avea nome {{AutoreCitato|Marco Tullio Cicerone}}, lo quale fu maestro e trovatore della grande scienzia di rettorica, la quale avanza tutte le altre scienzie per la bisogna di tutto giorno parlare nelle valenti cose, siccome in far leggi e piati civili e cherminali, e nelle cose cittadine, siccome in fare battaglie, ed ordinare schiere, e confortare cavalieri nelle vicende degl'imperii, regni e principati, e governare popoli e regni e cittadi e ville, e strane e diverse genti, come conversano nel gran cerchio del mappamondo della terra."
 
Il libro è dedicato a re Manfredi, il quale vi potrà avere «sufficiente e adorno ammaestramento a dire in piuvico e in privato». Accanto a Cicerone comparisce il grande poeta Virgilio, «il quale Virgilio si trasse tutto il costrutto dello intendimento della rettorica, e ne fece chiara dimostranza». Il frate, cercando le «magne virtudi» di Cicerone, aggiunge: «Sì mi mosse talento di volere alquanti membri del ''Fiore di rettorica'' volgarizzare di latino in nostra lingua, siccome appartiene allo mestiere de' laici, volgarmente». Onde pare che il tradurre volgarmente, in volgare, era mestiere dei laici, scrivendo i chierici in latino. Queste citazioni sono il ritratto del tempo. Ci si vede la grande impressione che facea su quelle menti {{AutoreCitato|Publio VrigilioVirigilio NasoneMarone|Virgilio}} e Cicerone, «d'arme maraviglioso cavaliere, franco di coraggio, armato di grande senno, fornito di scienzia e di discrezione, ritrovatore di tutte le cose». E ci si vede pure la gran fede nei miracoli della scienza, come se a vivere con buoni costumi e a ben dire in pubblico e in privato bastasse imparare le regole dell'etica e della rettorica. Nè si recavano in volgare le opere solo dell'antichità, ma anche le contemporanee scritte in latino. Cito fra gli altri il volgarizzamento fatto da Soffredi del Grazia, notaio pistoiese, de' ''Trattati di morale'', dottissima opera di Albertano da Brescia, scritta in prigione. Il primo trattato, ''Della dilezione di Dio e del prossimo e della forma della vita onesta'', è composto l'anno 1238. L'opera levò tal grido, che fu tradotta in francese e in inglese, e veramente ci è lì dentro raccolta tutta la dottrina del tempo intorno all'onesto vivere, sacra e profana. L'impulso fu tale che gli uomini più chiari si volsero a tradurre o compendiare grammatiche, rettoriche, trattati di morale, di fisica, di medicina. Ristoro di Arezzo scrivea sulla ''Composizione della terra''; {{AutoreCitato|Guido Cavalcanti|Cavalcanti}} scrivea una grammatica e una rettorica; ser Brunetto traduceva il trattato ''De inventione'' di Cicerone e parecchie orazioni di Sallustio e di Livio, e sotto nome di ''Fiore di filosofi e di molti savi'' raccoglieva i detti e i fatti degli antichi filosofi, Pitagora, Democrito, Socrate, Epicuro, Teofrasto, e di uomini illustri, come Papirio, Catone. Ecco i «fiori» di Plato:
 
"Plato fue grandissimo savio e cortese, in parole, e disse queste sentenzie:<br />