Pagina:Il Sofista e l'Uomo politico.djvu/108: differenze tra le versioni

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nel {{TestoCitato|Timeo}}, nel {{TestoAssente|Critia}} e in molte parti delle {{TestoAssente|Leggi}}<ref>Cfr. {{Sc|Lutoslawski}}. O. c. p. 417.</ref>. Pare dunque più probabile ammettere un’evoluzione graduale che non un salto e poi un ritorno; nè dopo il Timeo si vedrebbe perchè dovesse essere scelta la forma dialogata, nel mentre stesso che anzi fin dal principio lo scrittore mostra d’aver già capito come sia divenuta inopportuna.
Autenticità e cronologia. 97

nel Timeo, nel Critia e in molte parti delie Leggi (1
E come per la forma, così per la sostanza: abbiamo già di sopra fatto notare come nel Sofista e nel Politico perduri ancora lo spirito socratico, con si può dir tutte le sue speciali caratteristiche all’infuori della majeutica, uno spirito che già tende a trasformarsi, ma che non è però ancora sostanzialmente mutato. Ebbene, nel {{TestoCitato|Timeo}} di questo spirito non vi è più alcuna traccia<ref>L’ironia di p. 40 D E è quasi una stonatura, e quella di p. 91 D E pare ironia a noi, ma non era forse secondo le intenzioni dell’autore.</ref>: la trasformazione è finita; il dogmatismo appare in tutta la sua compostezza.
Pare dunque più probabile ammettere un’ evoluzione

graduale che non un salto e poi un ritorno; nè dopo il
Viceversa nel Politico comincia a mostrarsi l’elemento pitagorico, che nel Timeo è assolutamente predominante. La dottrina della misura e della proporzione nel primo è accennata, nel secondo è svolta: quella della metempsicosi nel Politico è sottintesa (p. 272 E), nel Timeo è descritta nei particolari; le idee pitagoriche di un passato infinito e della prevalenza del male nel mondo sono comuni all’uno e all’altro dialogo e rappresentate nei miti rispettivi; ma mentre i due miti sono analoghi, in quanto tutt’e due si propongono lo stesso problema, — i rapporti dell’Essere col Non essere, della libertà con la necessità nell’ordine del mondo fenomenico, — quello del Politico lo risolve con l’alternativa, quello del Timeo con la conciliazione; quello del Politico ammette una successione infinita di periodi di tempo, quello del Timeo pone chiara la nozione dell’eternità come paradimma e quella del tempo come imitazione ad essa parallela: quello del Politico fa prevalere il male periodicamente,
Timeo si vedrebbe perchè dovesse essere scelta la
forma dialogata, nel mentre stesso chc anzi fin dal
principio lo scrittore mostra d’aver già capito corfle sia
divenuta inopportuna.
E come per la forma, così per la sostanza : abbiamo
già di sopra fatto notare come nel Sofista e nel Politico
perduri ancora lo spirito socratico, con ¦si può dir tutte
le sue speciali caratteristiche all’infuori della majeutica,
uno spirito che già tende a trasformarsi, ma chc non è
però ancora sostanzialmente mutato. Ebbene, nel Timeo
di questo spirito non vi è più alcuna traccia (2): la
trasformazione è finita; il dogmatismo appare in tutta
la sua compostezza.
Viceversa nel Politico comincia a mostrarsi l’elemento
pitagorico, che nel Timeo è assolutamente predomi¬
nante. La dottrina della misura e della proporzione nel
primo è accennata, nel secondo è svolta: quella della
metempsicosi nel Politico è sottintesa (p. 272 E), nel
Timeo è descritta ne^particolari; le idee pitagoriche di
un passato infinito e della prevalenza del male nel mondo
sono comuni all’uno e all’altro dialogo e rappresentate
nei miti rispettivi ; ma mentre i due miti sono analoghi,
in quanto tutt’e due si propongono lo stesso problema, —
i rapporti dell’Essere col Non essere, della libertà con la
necessità nell’ordine del mondo fenomenico,'— quello
del Politico lo risolve con l’alternativa, quello del Timeo
con la conciliazione; quello del Politico ammette una
successione infinita di periodi di tempo, quello del Timeo
pone chiara la nozione dell’eternità come paradimma e
quella del tempo come imitazione ad essa parallela:
quello del Politico fa prevalere il male periodicamente,
(lì Cfr. Lutoslawski. O. c. p. 417.
(2) L’ironia di p. 40 D E è quasi una stonatura, e
quella di p. 91 D E pare ironia a noi, ma non era forse
secondo le intenzioni dell’autore.
i-RACCAROU, Il Sofista.
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98 Capitolo V
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