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{{Pt|la|nella}} negativa. Ma a Portici ho veduto tra i frantumi di roba vecchia gran frammenti di vetro fatto a tavola, o in lamina, che possano essere siate vetrate<ref>(i)</ref>. Che l’arte vetraria fosse comune fra i Romani, e il vetro di vilissimo prezzo, lo comprova un’infinità di fiaschi di vetro per diversi usi. I fiaschi d’olio sono fatti a foggia di quelli, in cui si manda fuori l’olio di Provenza. Mi fu allegato un giorno da un letterato in Roma un passo di {{AutoreCitato|Filone di Alessandria|Filone ebreo}}, come dimostrante l’uso delle vetrate presso gli antichi; e segnatamente nel libro ''De legazione ad Cajum'' mi fu questo più precisamente indicato poscia dal ministro della corte di Vienna a Napoli, il conte di Firmian, cavaliere profondamente versato in ogni genere d’erudizione, e dotato di gran discernimento, e d’alto intelletto senza la minima lega d’affettazione. Io rimasi su questa notizia non trovata mai allegata da alcuno; e poco mancava, che la sola parola di quello gran letterato non mi determinasse a fondarmici sopra. Intanto mi sono preso la briga di leggere l’accennato libro<ref>(a)</ref>, ma vi ho trovato netto, e tondo il contrario. Ivi parlandosi d’una delle stanze, ove furono introdotti gli ambasciatori ebrei d’Alessandria all’imperator Cajo, così {{Pt|di-|}}
{{Pt|la|nella}} negativa. Ma a Portici ho veduto tra i frantumi di roba vecchia gran frammenti di vetro fatto a tavola, o in lamina, che possano essere siate vetrate<ref>Vi ha alle stampe una lettera latina di ''D. A. Nixonii Angli ad Rodulphinum Venuti'', &c. [ ristampata nel Giornale de’ letterati, pubblicato in Roma nell’anno 1758. pag. 163. ], che è un compendio d’una sua dissertazione ''De laminis quibusdam candidi vitri e ruderibus Herculaneis effossis'', inserita negli Atti della Società Antiquaria di Londra. Quella lettera è scritta ai 31. di luglio 1759., ed ai 16. d’agosto dell’anno 1758. è scritta questa nostra del Winkelmann. Ma poi nell’anno 1771. in un muro a mezzo giorno di un casino antico disotterrato a Pompeja si trovò una finestra con una bellissima vetrata di poco più di tre palmi, quadra, composta di tanti vetri di circa un palmo l’uno, anch’essi quadri, i quali pareva, che fossero stati messi senza piombo per mezzo alla maniera inglese, perchè avevano essi una bastante grossezza, ed una perfezione cristallina. S’erano questi vetri conservati intieri al eccezione di due, perchè forse la pioggia de’ lapilli, ch’erano leggerissimi, era stata perpendicolare, né li avea rotti. Il solo telaro di legno erasi interamente consumato, e mutato in terra. Tutto ciò scrisse ad un nostro amico, il celebre signor abate D. {{AutoreCitato|Mattia Zarillo|Mattia Zarillo}} accademico Ercolanese.</ref>. Che l’arte vetraria fosse comune fra i Romani, e il vetro di vilissimo prezzo, lo comprova un’infinità di fiaschi di vetro per diversi usi. I fiaschi d’olio sono fatti a foggia di quelli, in cui si manda fuori l’olio di Provenza. Mi fu allegato un giorno da un letterato in Roma un passo di {{AutoreCitato|Filone di Alessandria|Filone ebreo}}, come dimostrante l’uso delle vetrate presso gli antichi; e segnatamente nel libro ''De legazione ad Cajum'' mi fu questo più precisamente indicato poscia dal ministro della corte di Vienna a Napoli, il conte di Firmian, cavaliere profondamente versato in ogni genere d’erudizione, e dotato di gran discernimento, e d’alto intelletto senza la minima lega d’affettazione. Io rimasi su questa notizia non trovata mai allegata da alcuno; e poco mancava, che la sola parola di quello gran letterato non mi determinasse a fondarmici sopra. Intanto mi sono preso la briga di leggere l’accennato libro<ref>''Oper. Tom. {{Sc|iI}}. pag. 599. edit. Mangey.''</ref>, ma vi ho trovato netto, e tondo il contrario. Ivi parlandosi d’una delle stanze, ove furono introdotti gli ambasciatori ebrei d’Alessandria all’imperator Cajo, così {{Pt|di-|}}<ref follow="pagina224">{{Pt|te|comunemente}} preferita a questo al tempo degl’imperatori, nel quale dominava tanto il lusso, come si usa ora dei cristalli. Altrimenti, chi potrà credere, che gli antichi non usassero i vetri, materia tanto comune da più secoli prima, e di cui non potevano ignorare le proprietà? Usavano anche il talco, pelli, e tavolette fatte di corno, ed altre materie. Vedi {{AutoreCitato|Johann Christoph Harenberg|Harenbergh}} ''De specular. vet. cap. 1. n. 5. in Thes. novo theol. philol. ec. Ikenii, Tom. {{Sc|iI}}. pag. 831''.</ref>

<ref follow="pagina224">{{Pt|te|comunemente}} preferita a questo al tempo degl’imperatori, nel quale dominava tanto il lusso, come si usa ora dei cristalli. Altrimenti, chi potrà credere, che gli antichi non usassero i vetri, materia tanto comune da più secoli prima, e di cui non potevano ignorare le proprietà? Usavano anche il talco, pelli, e tavolette fatte di corno, ed altre materie. Vedi {{AutoreCitato|Johann Christoph Harenberg|Harenbergh}} ''De specular. vet. cap. 1. n. 5. in Thes. novo theol. philol. ec. Ikenii, Tom. {{Sc|iI}}. pag. 831''.</ref>

(1) Vi ha’ alle stampe una lettera latina di D. A. Nixonii Angli ad Rodulphinum Venuti
j 6/c. [ ristampata nel Giornale de’ lette-

ed ai 16. d’agosto dell’anno 1758. è scritta quella nostra del Winkelmann. Ma poi nell’anno 1771. in un muro a mezzo giorno di un casino antico disotterrato a Pompeja si trovò una finestra con una bellissima vetrata di poco più di tre palmi, quadra, composta di tanti vetri di circa un palmo l’uno, anch’essi quadri, i quali pareva, che fossero stati medi senza piombo per mezzo alla maniera inglese, perchè avevano essi una ballante grossezza, ed una perfezione cristallina. S’erano questi vetri conservati intieri al eccezione di due, perchè forse la pioggia de’ lapilli, ch’erano leggerissimi, era (tata perpendicolare,
rati, pubblicato in Roma nell’anno 17J8. né li avea rotti. Il (olo telaro di legno erasi
pjg-iC;. ], che è un compendio d’una lua diC- interamente conCumato, e mutato in terra.

icrtazione De laminis qui! vi- Tutto ciò feri ffe ad un noftto amico:.

tri e ruderibus Herculaneis cffujsis, inferita bre (ìgnor abate D. Mattia Zarillo accademinegli
Atti della Società Antiquata di Londra. co Ercolancfe.

Quella lctteu è feruta ai 31, di luglio 1759., (a) Oper.Tom.{{Sc|iI}}. pag.jgg. tdit. Mungey.