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Versione delle 13:27, 12 dic 2015

14 i tempi di catullo.

nazionale; come avvenne in Francia per la male andata impresa del Messico; i turbolenti seminano zizzanie contro al Governo; e gli ambiziosi fanno tesoro del malcontento comune per trarre a sé l’attenzione di tutti, a cui sanno promettere mari e monti, e dare speranza di solida prosperità. O le armi ritornano vittoriose, e in tal caso il pericolo della repubblica ritorna a dismisura più grande; che la vittoria rende insolenti i soldati, e prepotenti i capitani; quelli non riconoscono altri fuor che i loro capi; questi nessuno al di là di sè stessi; la guerra civile è inevitabile, e dietro a questa la servitù: Cesare è la conseguenza di Silla.

Roma è un anfiteatro; in mezzo all’arena una donna, ferma ed intrepida, benché ferita: la libertà madre a tutti; sotto ai suoi piedi uno scettro. I gladiatori hanno imbrandito le daghe da un pezzo; i primi cadaveri ingombrano il circo; duellano a morte i superstiti: hanno armi ed insegne diverse; un fine e un’ambizione comune: il potere.

Caduto Silla, terribile incarnazione degli odii e delle vendette del vecchio patriziato, offeso al cuore dai Gracchi, da Mario, dagli uomini nuovi, come andavano detti, altri campioni, men feroci sì, ma non men risoluti, si contendono con ogni mezzo e con arte diversa il trionfo.

Catulo, Crasso, Lucullo, amministratori, non capitani, pretendono invano al sanguinoso ereditaggio di Silla.1

Sertorio abbandona il campo alla prima; s’impone

  1. Michelet, Hist, de la Républ. romaine, III, 4.