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questo fuggitivo piacere; se non gli impedisci i suoi amori, se non biasimi i suoi piaceri, se innanzi a le donne quel loderai, egli sempre ti sará amico. Dammi un avaro o vero un goloso; se al primo fai bere una medicina di danari e il secondo spesso inviti a mangiar teco, l’uno e l'altro subito è guarito. Or dammi un invidioso; che medicina troverai che possa sí pestifero umor purgare? Se questa tu cerchi sanare, egli ti converrá con la propria vita rimediargli, altrimenti non pensar che rimedio alcuno se gli trovi giá mai. E chi non sa se uno tòcco da questo pestifero morbo mi vede in corte, sacratissimo re, da te piú che lui favorire, e i servigi miei piú grati a te essere, o che io meglio di lui sappia l'armi essercitare, od in altro conto piú di lui valere, e di queste tal cose m’abbia invidia, chi non sa, dico, che cotestui mai non potrò sanare, s’egli non mi vede de la tua grazia privo, di corte cacciato e in estrema rovina messo? Se io gli donerò tutto 'l dí grandissimi doni, se li farò sempre onore, lodilo quanto sappia e gli faccia ogni servigio, il tutto è buttato via. Mai non cesserá di adoperarsi contra di me fin che non mi veda a l'ultima miseria condutto, ché tutti gli altri rimedi sono scarsi ed invalidi. Questo è quel velenoso morbo che tutte le corti ammorba, a tutte le vertuose operazioni nuoce, e a tutti i gentili spiriti cerca di far offesa. Questo è il tenebroso velo che spesso ad altrui adombra con tanta oscuritá gli occhi, che il vero non gli lascia vedere, e si offosca il giudicio che malagevolmente discerne il giusto da l’ingiusto, essendo cagione apertissima che mille errori ne l'operazioni umane tutto il dí si fanno. E per dirne quel che al presente al proposito nostro appartiene, non è in somma vizio al mondo che piú le corti guasti, che piú dissolva il vincolo de le sante compagnie, né che piú rovini i signori, come è il veleno de l'invidia, perciò che chi dá orecchia a l’invidioso, chi le sue maligne chimere ascolta, non è possibil che faccia cosa buona. Ma per venir al fin omai del mio ragionare, l’invidioso non tanto del suo bene s'allegra, non tanto dei suoi comodi gioisce, quanto de l’altrui male di continovo giubila e ride, e del profitto altrui piagne e s'attrista, e per veder cacciar dui occhi di capo al compagno, l’invidioso
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PARTE PRIMA
questo fuggitivo piacere; se non gli impedisci i suoi amori, se
non biasimi i suoi piaceri, se innanzi a le donne quel loderai,
egli sempre ti sarà amico. Dammi un avaro o vero un goloso;
se al primo fai bere una medicina di danari e il secondo spesso
inviti a mangiar teco, l’uno e l'altro subito è guarito. Or dammi
un invidioso; che medicina troverai che possa si pestifero umor
purgare? Se questa tu cerchi sanare, egli ti converrà con la pro¬
pria vite rimediargli, altrimenti non pensar che rimedio alcuno
se gli trovi già mai. E chi non sa se uno tòcco da questo pe¬
stifero morbo mi vede in corte, sacratissimo re, da te più che
lui favorire, e i servigi miei più grati a te essere, o che io me¬
glio di lui sappia l'armi essercitare, od in altro conto più di lui
valere, e di queste tal cose m’abbia invidia, chi non sa, dico,
che cotestui mai non potrò sanare, s’egli non mi vede de la tua
grazia privo, di corte cacciato e in estrema rovina messo? Se
10 gli donerò tutto '1 di grandissimi doni, se li farò sempre
onore, lodilo quanto sappia e gli faccia ogni servigio, il tutto
è buttato via. Mai non cesserà di adoperarsi contra rii me fin
che non mi veda a l'ultima miseria condutto, ché tutti gli altri
rimedi sono scarsi ed invalidi. Questo è quel velenoso morbo
che tutte le corti ammorba, a tutte le vertuose operazioni nuoce,
e a tutti i gentili spiriti cerca di far offesa. Questo è il tene¬
broso velo che spesso ad altrui adombra con tanta oscurità gli
occhi, che il vero non gli lascia vedere, e si offosca il giudicio
che malagevolmente discerne il giusto da l’ingiusto, essendo ca¬
gione apertissima che mille errori ne l'operazioni umane tutto
11 di si fanno. E per dirne quel che al presente al proposito no¬
stro appartiene, non è in somma vizio al mondo che più le corti
guasti, che più dissolva il vincolo de le sante compagnie, né che
più rovini i signori, come è il veleno de l'invidia, perciò che chi
dà orecchia a l’invidioso, chi le sue maligne chimere ascolta,
non è possibil che faccia cosa buona. Ma per venir al fin ornai
del mio ragionare, l’invidioso non tanto del suo bene s'allegra,
non tanto dei suoi comodi gioisce, quanto de l’altrui male di
continovo giubila e ride, e del profitto altrui piagne e s'attrista,
e per veder cacciar dui occhi di capo al compagno, l’invidioso