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che con lagrime e sospiri non le rispondeva. Il che ella veggendo e mossa a pietà, al figliuolo cosí disse: — Figliuol mio caro, io m’averei creduto che in cosa del mondo mai da me guardato non ti fossi e che tutti gli affanni tuoi m’avessi scoperto; ma io mi truovo molto ingannata. Tuttavia, mercé de la mia diligenza, io ho ritrovato la cagion del tuo male. So che tu ami Lucrezia, che al nostro amico a Padova rubasti. Il che quanto sia stato bell'atto, tu il puoi molto ben pensare. Ma ora è tempo d’aiuto e non di correzione. Or vivi allegramente e confortati e attendi a ristorarti, ché la tua Lucrezia riaverai, la quale io ho fatto mettere in un monastero, parendomi che, non la ritrovando, tu devessi compiacermi e prender moglie, come saria il debito tuo di fare. — Galeazzo questo sentendo, parve che da morte a vita risuscitasse, e vergognosamente le confessò come egli amava più Lucrezia che la propria vita, pregandola affettuosamente che alora gliela facesse venire. Ella lo astrinse ad avere per quel giorno pazienza, e che voleva che si cibasse e si confortasse, promettendogli il seguente giorno andarla a pigliare e menarla in casa. Che diremo noi? Galeazzo or ora voleva morire, avendone perduto il sonno, il cibo, e a questa semplice promessa tutto si confortò. Egli desinò e cenò la sera, e la notte, con speranza di riaver la sua Lucrezia, dormi assai bene. Venuto il seguente giorno, egli di letto levato sollecitò la madre che per Lucrezia mandasse. La quale, per compiacere al figliuolo, montò in carretta e al monastero giunta si fece dar la giovane e a casa la condusse. Come i dui amanti si videro, di dolcezza piangendo si corsero a gettarsi le braccia al collo, e strettissimamente abbracciandosi beveva l'uno de l’altro le calde e salse lagrime. Galeazzo, poi che ebbe mille volte la sua Lucrezia amorosamente basciata e ribasciata, tuttavia piagnendo cosí le disse: — Anima mia dolce, come sei stata senza me? che vita è stata la tua? Non t’è egli fieramente rincresciuto non mi aver in questo tempo veduto? Certamente io mi sono pensato di morire, né so bene come io mi viva. Oimè, vita mia, chi m’assicura che altri, in questo tempo che da me sei stata lontana, non abbia godute queste tue bellezze? io mi
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che con lagrime e sospiri non le rispondeva. Il che ella veg¬
gendo e mossa a pietà, al figliuolo cosi disse: — Figliuol mio
caro, io m’averei creduto che in cosa del mondo mai da me
guardato non ti fossi e che tutti gli affanni tuoi m’avessi sco¬
perto; ma io mi truovo molto ingannata. Tuttavia, mercé de
la mia diligenza, io ho ritrovato la cagion del tuo male. So che
tu ami Lucrezia, che al nostro amico a Padova rubasti. Il che
quanto sia stato bell'atto, tu il puoi molto ben pensare. Ma ora
è tempo d’aiuto e non di correzione. Or vivi allegramente e
confortati e attendi a ristorarti, ché la tua Lucrezia riaverai,
la quale io ho fatto mettere in un monastero, parendomi che,
non la ritrovando, tu devessi compiacermi e prender moglie,
come saria il debito tuo di fare. — Galeazzo questo sentendo,
parve che da morte a vita risuscitasse, e vergognosamente le
confessò come egli amava più Lucrezia che la propria vita, pre¬
gandola affettuosamente che alora gliela facesse venire. Ella lo
astrinse ad avere per quel giorno pazienza, e che voleva che
si cibasse e si confortasse, promettendogli il seguente giorno
andarla a pigliare e menarla in casa. Che diremo noi? Galeazzo
or ora voleva morire, avendone perduto il sonno, il cibo, e a
questa semplice promessa tutto si confortò. Egli desinò e cenò
la sera, e la notte, con speranza di riaver la sua Lucrezia, dormi
assai bene. Venuto il seguente giorno, egli di letto levato sollecitò
la madre che per Lucrezia mandasse. La quale, per compiacere
al figliuolo, montò in carretta e al monastero giunta si fece
dar la giovane e a casa la condusse. Come i dui amanti si vi¬
dero, di dolcezza piangendo si corsero a gettarsi le braccia al
collo, e strettissimamente abbracciandosi beveva l'uno de l’altro
le calde e salse lagrime. Galeazzo, poi che ebbe mille volte la
sua Lucrezia amorosamente basciata e ribasciata, tuttavia pia¬
gnendo cosi le disse: — Anima mia dolce, come sei stata senza
me? che vita è stata la tua? Non t’è egli fieramente rincre¬
sciuto non mi aver in questo tempo veduto? Certamente io mi
sono pensato di morire, né so bene come io mi viva. Oimè,
vita mia, chi m’assicura che altri, in questo tempo che da me
sei stata lontana, non abbia godute queste tue bellezze? io mi
M. Bandello, Novelle.
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