Pagina:Storia delle arti del disegno.djvu/142: differenze tra le versioni

Nessun oggetto della modifica
Astigmatique (discussione | contributi)
Nessun oggetto della modifica
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
{{Annotazione a lato|..e pei pavimenti.}} §. 26. Oltre l’uso, che faceasi del vetro comune per tali vasi, adoperavasi eziandio ai pavimenti; e questi fatti talora con vetri di vario colore compartiti ad arte, veniano a formare una specie di musaico. Nella summentovata Isola Farnese si sono trovati de’ pezzi di pavimento di vetro d’un colore uniforme, cioè fatto di lastre verdi della grossezza di una tegola ordinaria<ref name=pagina142>Meriterebbero una particolare illustrazione, Plinio ''lib. 36. cap. 25. sect. 64.'', ove scrive: ''Pulsa deinde ex humo pavimenta in cameras transiere, e vitro: novitium & hoc inventum. Agrippa certe in Thermis, quas Romæ, fecit, figlinum opus encausto pinxit: in reliquis albaria adornavit: non dubie vitreas facturus cameras, si prius inventum id fuisset, aut a parietibus scenæ, ut diximus. Scauri, pervenisset in cameras''; e {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} Epist. 86.: ''Pauper sibi videtur, & sordidus &c., nisi vitro absconditur camera''. Arduino li spiega di lavori di pezzetti di palla di vetro a musaico; {{AutoreCitato|Filippo Buonarroti (antiquario)|Buonarroti}} ''Osserv. istor. sopra alc. medagl.''</ref>.
{{Annotazione a lato|..e pei pavimenti.}} §. 26. Oltre l’uso, che faceasi del vetro comune per tali vasi, adoperavasi eziandio ai pavimenti; e questi fatti talora con vetri di vario colore compartiti ad arte, veniano a formare una specie di musaico. Nella summentovata Isola Farnese si sono trovati de’ pezzi di pavimento di vetro d’un colore uniforme, cioè fatto di lastre verdi della grossezza di una tegola ordinaria<ref name=pagina142>Meriterebbero una particolare illustrazione, Plinio ''lib. 36. cap. 25. sect. 64.'', ove scrive: ''Pulsa deinde ex humo pavimenta in cameras transiere, e vitro: novitium et hoc inventum. Agrippa certe in Thermis, quas Romæ, fecit, figlinum opus encausto pinxit: in reliquis albaria adornavit: non dubie vitreas facturus cameras, si prius inventum id fuisset, aut a parietibus scenæ, ut diximus, Scauri, pervenisset in cameras''; e {{AutoreCitato|Lucio Anneo Seneca|Seneca}} ''Epist. 86.: Pauper sibi videtur, et sordidus etc., nisi vitro absconditur camera''. Arduino li spiega di lavori di pezzetti di pasta di vetro a musaico; {{AutoreCitato|Filippo Buonarroti (antiquario)|Buonarroti}} ''Osserv. istor. sopra alc. medagl.''</ref>.


{{Annotazione a lato|Specie di musaico fuso.}} §. 27. Nel connettere insieme i vetri composti e colorati sembra che l’arte sia giunta al punto di perfezione in due pezzi, che vidersi pochi anni addietro in Roma. Sì l’un che l’altro appena hanno un pollice in lunghezza, e un terzo di pollice in larghezza. Uno di questi su un fondo cupo, ma di vario colore, rappresenta un uccello, simile ad un’anitra, colorito con tinte vivissime, sul gusto cinese anziché ad imitazione della natura: franchi e forti ne sono i tratti, il colore è bello {{Pt|spic-|}}
{{Annotazione a lato|Specie di musaico fuso.}}
<ref follow="pagina141">o poco più, gira intorno questa iscrizione: BIBE VIVAS MULTIS ANNIS: la quale è una di quelle acclamazioni convivali, che secondo l’osservazione del {{AutoreCitato|Filippo Buonarroti (antiquario)|Buonarroti}}, ''Osservazioni sopra alcuni frammenti ec. tav. XV. pag. 98., cav. XIX. pag. 212''., metter soleano gli antichi sulle tazze di vetro. Questa non ha piede né base, come non l’aveano molte tazze antiche; onde per sostenerle ritte era d’uopo d’una base incavata nel mezzo, che ''engytheca'', o ''angotheca'' chiamavasi. V. Buonarr. ''cit. pag. 212''., e {{AutoreCitato|Filippo Venuti|Venuti}} ''Dissert. sopra i coli vinarj degli ant. Tom. I. Saggi di diss. dell’Accad. di Cortona, dissert. VII. pag. 83''. I caratteri dell’iscrizione sono di color verde, e azzurra è la rete: amendue assai lucenti. La coppa ha il colore dell’opalo, quel misto cioè di rosso, bianco, giallo, e azzurro, che acquistar sogliono i vetri quando stanno lungamente sotterra, {{AutoreCitato|Marco Antonio Boldetti|Boldetti}} ''Osserv. sopra i cimit. di Roma, T. I. lib. I. c. 38. p. 185.''; colore che nasce dalle sottilissime e impercettibili laminette vitree, che sollevansi nella superficie. [Se pure questo colore non gli fu dato dall’artista, come si dava al vetro per farne gemme false, Plinio ''lib. 37. cap. 16. sect. 22''., e forse anche bicchieri, come pare si abbia dallo stesso Plinio ''lib. 36. cap. 16. sect. 67.''] In quella tazza certamente la rete né i caratteri furonvi saldati in alcun modo; ma il tutto è stato lavorato al torno su una soda massa di vetro freddo colla ruota, nella stessa guisa in cui si fanno i camei. L’azione della ruota scorgesi ad evidenza nelle asticelle, le quali riescono più o meno angolose, secondo che quella più o meno ha potuto girarvi dentro. Di tal maniera di lavoro parla Plinio ''lib. 36. cap. 26. sect. 66.'' descrivendo i varj modi, con cui a’ suoi tempi si dava la forma al vetro cavato dalla fornace. Essendone estratto per la prima volta, dic’egli, ora fondesi di nuovo, e tingesi d’un qualche colore, ora col soffio se gli dà quella figura che più piace, ora lavorasi al torno, e qualche volta ancora s’incide come l’argento. La città di Sidone, al dire del medesimo Storico, celebre si rendette per siffatti lavori, i quali sotto il nome di vasi ''murrhini'' crebbero in tanto pregio che a’ tempi di Nerone due ne furono pagati sei mila sesterzj.</ref>
§. 27. Nel connettere insieme i vetri composti e colorati
sembra che l’arte sia giunta al punto di perfezione in due pezzi, che vidersi pochi anni addietro in Roma. Sì l’un che l’altro appena hanno un pollice in lunghezza, e un terzo di pollice in larghezza. Uno di questi fu un fondo cupo, ma di vario colore, rappresenta un uccello, simile ad un’anitra, colorito con tinte vivissime, sul gusto cinese anziché ad imitazione della
natura: franchi e forti ne sono i tratti, il colore è bello {{Pt|spic-|}}
<ref follow="pagina141">o poco più, gira intorno questa iscrizione: BIBE VIVAS MULTIS ANNIS: la quale è una di quelle acclamazioni convivali, che secondo l’osservazione del {{AutoreCitato|Filippo Buonarroti (antiquario)|Buonarroti}}, ''Osservazioni sopra alcuni frammenti ec. tav. XV. pag. 98., cav. XIX. pag. 212''., metter soleano gli antichi sulle tazze di vetro. Questa non ha piede né base, come non l’aveano molte tazze antiche; onde per sostenerle ritte era d’uopo d’una base incavata nel mezzo, che ''engytheca'', o ''angotheca'' chiamavasi. V. Buonarr. ''cit. pag. 212''., e {{AutoreCitato|Filippo Venuti|Venuti}} ''Dissert. sopra i coli vinarj degli ant. Tom. 1. Saggi di diss. dell’Accad. di Cortona, dissert. VII. pag. 83''. I caratteri dell’iscrizione sono di color verde, e azzurra è la rete: amendue assai lucenti. La coppa ha il colore dell’opalo, quel misto cioè di rosso, bianco, giallo, e azzurro, che acquistar sogliono i vetri quando stanno lungamente sotterra, {{AutoreCitato|Marco Antonio Boldetti|Boldetti}} ''Osserv. sopra i cimit. di Roma, T.I lib. I. c. 8. p. 185.; colore che nasce dalle sottilissime e impercettibili laminette vitree, che sollevansi nella superficie. [ Se pure questo colore non gli fu dato dall’artista, come si dava al vetro per farne gemme false, Plinio ''lib. 37. cap. 16. sect. 22''., e forse anche bicchieri, come pare si abbia dallo stesso Plinio lib. 36. cap. 16. sect. 67.''] In quella tazza certamente la rete né i caratteri furonvi saldati in alcun modo; ma il tutto è stato lavorato al torno fu una soda massa di vetro freddo colla ruota, nella stessa guisa in cui si fanno i camei. L’azione della ruota scorgesi ad evidenza nelle asticelle, le quali riescono più o meno angolose, secondo che quella più o meno ha potuto girarvi dentro. Di tal maniera di lavoro parla Plinio ''lib. 36. cap. 26. sect. 66. descrivendo i varj modi, con cui a’ suoi tempi si dava la forma al vetro cavato dalla fornace. Essendone estratto per la prima volta, dic’egli, ora fondesi di nuovo, e tingesi d’un qualche colore, ora col soffio se gli dà quella figura che più piace, ora lavorasi al torno, e qualche volta ancora s’incide come l’argento. La città di Sidone, al dire del medesimo Storico, celebre si rendette per siffatti lavori, i quali sotto il nome di ''vasi murrhini'' crebbero in tanto pregio che a’ tempi di Nerone due ne furono pagati sei mila sesterzj.</ref>