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l’affliggeva e noiosamente gli rodeva la radice del core, di continovo tormentandolo, il non aver potuto sodisfare al desiderio e comandamento del suo signore, non sapendo ciò che quello di lui devesse imaginarsi, non avendo mai avuto nuova alcuna di ciò che egli fatto s’avesse. Con questi ed altri pensieri miseramente mio fratello, in tanta sua calamitá pascendosi d’amarissime lagrime, menava una dolente vita. Ma vedete qualmente Fortuna, quando buona pezza s’è di noi preso trastullo, come sa voltar la vela e cangiar stile. Erano i corsali con prospero vento arrivati vicini a le secche de la Barbaria, e, sperando in poco d’ora discender in terra e toccar la desiata patria arena, ecco in un volger d’occhi levarsi un impetuosissimo soffiamento di contrario vento, che mal grado loro gli sforzò a voltar le vele e darsi in preda a la rapidissima violenza del tempestoso e adirato mare, che verso la spiaggia romana a viva forza gli cacciava, di maniera che capitarono sopra Nettuno. Quivi, trovando sette barche di mercadanti che tornavano da la fiera di Salerno, e spinti anco essi da la fortuna vi s’erano ridutti, senza alcuna contesa i mori le presero, e fecero tutti schiavi coloro che suso v’erano. I corsali scaricarono le barche di tutta la mercadanzia e la posero sovra le loro galeotte, e tra l’altre cose vi missero alcune some di mandorle. Era stato mio fratello piú di tre giorni senza cibarsi. Fecero le mandorle, che a canto a lui erano state poste, venirgli appetito di mangiare; il perché con mani e con denti, a la meglio che puoté, aprí uno di quei sacchi e cominciò avidissimamente a romper mandorle e mangiarle. Sentendo questo, gli altri prigioneri: – Deh, frate, – gli dissero, – per Dio, lascia stare quei sacchi, ché se i corsali se n’accorgono, tu sarai cagione che tutti saremo bastonati senza alcuna pietá. – Ma eglino cantavano ad un sordo. Egli, che vòto e morto di fame era e si sentiva mancare, attendeva pure coi denti a ristorarsi, lasciando garrire chi voleva. Gli uomini nettunesi, che le galeotte dei corsali giá scoperte avevano, mandarono subito un ispedito messo al capitano Antonio Doria, il quale a Monte Carcelli alora in compagnia di ventidue galere si trovava. Fra questo mezzo andarono i mori per istar quella notte a l’isola de la Palmiruola, per esser poi la matina a Ponzo, per prender quivi acqua per rinfrescamento e riprender un’altra volta il camino de l’Affrica. Ma, come proverbialmente si dice, «una ne pensa il ghiotto ed un’altra il tavernaro». Cominciava giá ad appropinquarsi il tempo de la liberazione dei nostri cristiani e la cattivitá dei perfidi mori, a ciò che qual l’asino aveva dato ne la parete, tale ricevesse.