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tanto meno ne potevano avere, quanto che mai non fu recato lume in camera, e di giorno sempre si scusarono le donne di trovarsi insieme. Aveva già ciascuna di loro assai grande il ventre, onde i mariti ne facevano meravigliosa festa, come quelli che portavano fermissima openione aversi l’un l’altro posto il cimiero di Corneto in capo. Ma eglino avevano pur lavorato il proprio terren loro e non l’altrui, e l’acqua era corsa a l’ingiù ove deveva la sua possessione inacquare. Veggendosi adunque le fedele e belle compagne in questa tresca amorosa esser diventate gravide, cosa che più non le era avvenuta, cominciarono tra loro a divisare in che modo e per qual via potessero da questa impresa retirarsi, dubitando che qualche scandalo non v’accadesse, che fosse cagione tra i lor mariti accrescer maggior nemicizia. E mentre che erano in questi pensieri, avvenne cosa che senza gli avvisi loro aperse la via d’ultimare la pratica, ma non già nel modo che elle desideravano. Abitava su quel rio o sia canale, non molto lontano da le case di costoro, una giovane assai bella e gentile, che ancora venti anni non aveva compiti, la quale poco innanzi era restata vedova, essendo morto messer Niccolò Delfino suo marito, ed ella fu figliuola di messer Giovanni Moro, e aveva nome Gismonda. Questa oltre a la dote avuta dal padre, ch’era di più di dieci mila zecchini, si trovava buona somma di danari, di gemme, vasi d’argento ed altre robe donatele dal marito per sovra dote. Di lei Aloise Foscari nipote del duce era fieramente innamorato, e faceva ogni opera di averla per moglie. Onde vagheggiandola tutto il dì e sollecitando l’impresa, e con messi ed ambasciate tutto il giorno ricercandola, tanto seppe fare e dire, che ella fu contenta una notte a una de le finestre de la casa, che in una callisella o sia vietta rispondeva, dargli udienza. Aloise oltra modo lieto di così desiderata nuova, venuta la notte, là circa le cinque o sei ore con una scala di fune, perchè la finestra era molto alta, se n’andò tutto solo. Quivi giunto e fatto il segno che gli era stato imposto, attendeva che la sua donna, secondo l’ordine messo, giù mandasse lo spago per tirar la scala in alto, il che in poco d’ora fu fatto. Onde avendo ben attaccata la scala a lo spago, non dopo molto la vide esser tirata suso. Gismonda, come il capo de la scala ebbe in mano, quello accomandò strettamente legato a non so che, e fece segno a l’amante che su salisse. Egli, che da amore era fatto audacissimo, animosamente per la scala in alto ascese. Ed essendo già quasi su la finestra salito, troppo più ingordo di voler entrar dentro ed abbracciar la donna che a la finestra era che non bisognava,